Arabi e Zero

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Su un gruppo Facebook che amministro, si è scatenata qualche giorno fa una discussione sul ruolo che hanno avuto gli arabi nella diffusione della numerazione posizionale, dello zero e della matematica. Da una parte, ci sono i negazionisti, che affermano come il loro ruolo sia abbastanza marginale, altri invece che ne ribadiscono con forza l’importanza.


In realtà, come spesso avviene in questi casi la realtà è assai più complessa di quella che appare a prima vista.


Per prima cosa, non sono gli arabi i primi a fare da ponte da Occidente e Oriente e viceversa, specie nell’ambito della matematica: dai tempi dei Persiani, tra addetti a lavori del Mediterraneo e dell’India, c’è una sorta di continuo scambio di idee, diretto o mediato.


Ad esempio che Aryabhata, nel 476 d.C. scrivendo il primo trattato di geometria indiana, l’Aryabhatiya, tutto in versi, cosa che può sembrare strana a noi moderni, tradusse pari pari alcune dimostrazioni degli Elementi di Euclide.


OppureVarahamihira che nel V secolo studiò le equazioni trigonometriche, scrisse due trattati, il Romaka Siddhanta (“Dottrina dei Romani”) e il Paulisa Siddhanta (“Dottrina di Paulo”, dove questo fantomatico Paolo è esplicitamente citato come matematico di Alessandria d’Egitto), in cui si discute delle geometria e dei calcoli astronomici ellenistici.


E al contempo, i matematici greci studiavano le opere indiane, tanto che un commentatore del VI secolo del Brihat-Samhita, sempre opera di Varahamihira, scrive:


“I Greci, benché barbari, devono essere onorati poiché hanno mostrato enorme interesse per la nostra scienza...”


Un esempio di questo nel fatto che Antemio di Tralle, l’ingegnere che fece i calcoli statici per Santa Sofia, nello scrivere il suo libro Perì paradòxon mechanemàton, nel capitolo dedicato alle Coniche, riprende un paio di dimostrazioni, tradotte in greco, contenute nel trattato indiano anonimo Sulba Sutras, la cui compilazione ultima risale probabilmente al II secolo d.C.


Per cui, indipendentemente dagli arabi, le idee circolavano: se non fossero esistiti, il ruolo di mediatori culturali lo avrebbero svolto i Sasanidi.


Lo stesso vale per lo 0 e la notazione posizionale. Come tutti sanno, nel Vecchio Mondo, questa viene concepita in India, in un processo lungo e controverso: la prima citazion nota è presente nella Sezione I manoscritto di Bakhshali, una di sorta di manuale di aritmetica, con regole ed esercizi,scritto per fare entrare in testa la materia a Hasika figlio di Vasistha, il cui autore è un brahmino che si fa chiamare “il figlio di Chajaka” o “re dei calcolatori”.


Che sia “il figlio di Chajaka” sia il geniale inventore dello 0 o un povero insegnante alle prese con un allievo somaro, non è dato saperlo: tuttavia, nonostante questa precoce apparizione, il concetto di zero stentò a decollare in India. Ad esempio, nel trattato Vasavadatta, scritto da Subandhu, datato tra il 385 e il 465, il concetto di zero, interpretato come non numero, è analogo a quello che ne avevano i greci e i romani.


Bisogna aspettare Brahmagupta e Bhaskara I, immensi matematici per la completa teorizzazione dello zero e il suo inserimento nella numerazione posizionale: ciò avviene nel VII secolo. Il primo riferimento allo zero e alla numerazione posizionale decimale nel Mediterraneo, tra l’altro, avviene già intorno al 662, a opera del vescovo siriano nestoriano Severo Sabokt, di lingua e cultura bizantina.


Se i trattati di Brahmagupta e Bhaskara I sono stati compilati intorno al 640/650 a.C. l’informazione è arrivata nel mondo bizantino indipendentemente dagli arabi e in tempi assai ristretti: solo, che rimane confinata agli addetti ai lavori, dato che la conoscenza specialistica è qualcosa di ben diverso dall’uso comune. A riprova di questo contatto diretto, vi è il termine che usano i matematici bizantini per indicare lo zero: típota, niente, traduzione letterale del sanscrito sunyia.


Solo nella seconda parte dell’VIII secolo, nel 766 per la precisione, che giunge a Baghdad la copia di una delle versioni del Siddhānta, probabilmente del Brahmasphuta Siddhānta, con tanto di riferimento al sistema di numerazione hindu e alla trigonometria indiana. Il libro viene ben studiato e nel 775 è tradotto in arabo. Anche in questo caso, nessuno del grande pubblico si fila lo 0, tranne i professionisti del settore.


Un contributo determinante per la sua diffusione lo da al-Khwārizmī con il suo Al-jabr wa’l muqābalah scritto verso l’825; ora benché, dal punto di vista teorico sia inferiore all’algebra ellenistica di Diofanto e all’algebra indiana di Brahmagupta, è un testo comprensibile ed efficace nel trattare l’aritmetica e le equazioni di secondo grado. Insomma un utilissimo bignami matematico, che in occasione del boom economico del mondo arabo del X secolo, frutto dei commerci di una società globalizzata, diventa il principale strumento di diffusione della notazione posizionale tra i mercanti.


Intanto, che succede a Bisanzio e nel resto d’Europa ? Lo zero, pur conosciuto, è patrimonio di pochi: una delle testimonianza dell’epoca è legata a un monastero della Chora di Rhegion, in Calabria, una delle zone più ricche tra i domini del Basileus, dove l’egumeno lo utilizzava nei conti delle entrate e uscite.


Mentre tra noi barbari, il primo a usare la notazione posizionale indiana e lo zero è il codice di Barcellona di Gerberto di Aurillac, del 967, in cui si cerca di spiegare la matematica a quel testone di Borrel II; scherzando, all’epoca eravamo così incivili da scambiare l’abilità nei calcoli del futuro papa Silvestro II per magia…


In verità, pur avendo a disposizione tale strumento, l’economia dell’epoca, assai poco sviluppata, non vedeva il bisogno di utilizzarlo. Fu il boom economico e la crescita degli scambi del 1200 a renderlo indispensabile e questo fece la fortuna di Fibonacci che nel Liber Abaci scrive


Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur


Ora, il boom economico e la trasmissione delle idee sarebbero avvenuti anche senza arabi… Però avrebbe avuto forme differenti e di certo, non sarebbe stato accompagnato anche dai loro contributi originali nella matematica.

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Published on November 11, 2019 12:59
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Alessio Brugnoli
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