La Strage del Pane
In questi giorni, in cui in molti paesi del Sud America, a cominciare dal Cile, le proteste per la crisi economica sono represse nel sangue dai militari, quasi è passato inosservato un anniversario di un evento analogo, che si svolse però qui in Italia, la strage del pane di Palermo, ricordata in una targa in un angolo quasi nascosto di via Maqueda.
Nel 1943, in Sicilia vi era la fame nera: i pochi che si salvavano erano i soldati, e neppure tutti, che a sentire mio nonno
“Mangiavamo poco e da schifo, ma almeno mangiavamo”.
La situazione era talmente grave che persino Edda Ciano, la figlia di Mussolini, scriveva al padre segnalandogli che
“da mesi che mancano la pasta e il pane e il problema è gravissimo e può da un momento all’altro diventare catastrofico anche politicamente”
Per questo e non per l’aiuto della Mafia, che ci fu, ma fu alquanto limitato, gli Alleati furono accolti dalla popolazione civile come liberatori; la speranza che aiutassero il palermitano medio a riempirsi la pancia.
Il problema è che l’AMGOT, il governo militare alleato,trascurando la continua polemica tra inglesi e americani, che minava sempre le sue decisioni, non era certo costituito da fulmini di guerra. Da una parte, decise come i salari dei lavoratori fossero fissati ai valori precedenti il momento dell’invasione, a eccezione di quelli dei dipendenti civili delle forze armate alleate ai quali si sarebbero applicati i valori di una scala salariale preventivamente fissata sulla base dell’esperienza della classificazione e dei valori salariali inglesi in Tripolitania e delle vaghe informazioni ricevute dall’Italia.
Peccato che nessuno di quei fenomeni ipotizzò come, in una situazione di occupazione militare, il costo della vita potesse esplodere, anche grazie all’emissione allegra delle Amlire, che alimentò una spirale inflazionistica: di conseguenza, il costo della vita salì del 200%. Per cercare di mettere una pezza, l’AMGOT cercò di congelare i prezzi delle derrate alimentari e dei beni di consumo, allienandoli ai livelli ufficiali prescritti dalle leggi emesse durante la guerra dal Fascismo: come risultato, esplose la borsa nera.
Borsa nera che fu peggiorata dalla disorganizzazione fantozziana degli ufficiali agli affari civili (Civil Affairs Officier’s, CAO’s) e della distorta percezione della realtà dell’AMGOT: di fatto, la razione alimentare quotidiana delle tessere annonarie, 300 gr. di pane e 40 gr. di pasta, non fu mai garantita, a causa dell’inagibilità di dei ponti, delle strade e delle ferrovie, causata dai proprio dai bombardamenti alleati.
La situazione, già brutta di suo, peggiorò l’undici febbraio 1944, quando il proclama numero 16 del generale Alexander, governatore militare di tutto il territorio italiano occupato, sanciva la fine dell’amministrazione Alleata in Sicilia, durata sette mesi esatti, ed il ritorno dei poteri politici ed amministrativi sull’isola al Governo italiano, pur sotto la supervisione della Commissione Alleata di Controllo.
Sia il prefetto Paolo D’Antoni, sia l’Alto Commissario Salvatore Aldisio (ex ministro badogliano, molto legato a don Luigi Sturzo e padrino di battesimo del Presidente Mattarella) cercarono di risolvere quanto possibile il problema, anche per togliere un argomento propagandistico ai separatisti siciliani, ma le risorse erano quelle che erano.
La mattina del 19 ottobre 1944, i palermitani, esasperati, decisero di andare a manifestare davanti Palazzo Comitini, l’attuale sede della Provincia, all’epoca invece occupata provvisoriamente dagli uffici della Prefettura e dell’Alto Commissariato.
La folla, dopo avere percorso via Cavour, cominciò a reclamare pane e generi di prima necessità ed anche per denunciare l’imperante mercato nero dominato da “intrallazzisti” e speculatori senza scrupoli. Una larga fetta di scioperanti era costituita da impiegati comunali che chiedevano l’estensione, anche a loro, degli aumenti di stipendio che il governo centrale aveva riconosciuto agli impiegati statali.
Purtroppo, sia il Prefetto, sia Aldisio, che forse sarebbero riusciti a calmare gli animi, erano a Roma: il Viceprefetto Giuseppe Pampillonia si fece prendere dal panico e decise di telefonare al comando militare della Sicilia (il comandante era quel generale Giuseppe Castellano che firmò l’ armistizio dell’ 8 settembre a Cassibile), per chiedere un congruo contingente di soldati da impiegare per disperdere la folla.
Dalla caserma Ciro Scianna di corso Calatafimi i soldati del 139esimo fanteria Bari utilizzato per costituire la IV Brigata Sicurezza Interna, la Sabaudia, furono fatti partire alla volta di via Maqueda su due camion al comando del giovanissimo sottotenente Calogero Lo Sardo di Canicattì. Ai circa cinquanta soldati, armati con fucile modello ’91 comprensivo di due pacchetti di cartucce, furono consegnate a testa due bombe a mano.
A quanto pare, il sottotenente, prima di intervenire, fece sosta in in Questura, verosimilmente per chiedere istruzioni al governo italiano; presidente del Consiglio e Ministro degli Interni ad interim era Ivanoe Bonomi.
Qualcuno, non si è mai appurato chi, diede ordine di applicare la famigerata circolare, datata luglio 1943, del generale Roatta che autorizzava, in presenza di adunate sediziose, a sparare ad altezza d’ uomo, confermata nell’agosto del 1944 dal governo Bonomi.
Arrivati a via Maqueda, i soldati cominciarono a sparare a destra e manca: fu un eccidio, caddero 24 persone, tra cui due donne e 15 ragazzi, oltre a 158 feriti molti dei quali moriranno nei giorni successivi.
Giovanni Pala, uno dei soldati che apparteneva al secondo drappello, che non sparò, così raccontò la vicenda.
In Via Maqueda non era in corso alcun assalto. Eppure, quando la nostra colonna raggiunse alle spalle la folla, il tenente diede l’ordine di scendere dai mezzi e di caricare i fucili. Tutto accadde in pochi istanti; i soldati che erano in testa al convoglio cominciarono a sparare ad altezza d’uomo e a scagliare bombe. Fu il terrore, una scena bestiale
La notizia della strage fu censurata sia dal governo italiano, sia dalle autorà alleate: fu autorizzata soltanto la pubblicazione, sul Giornale di Sicilia del 20 ottobre 1944, del manifesto a firma del Partito d’ Azione, del Pci, della Dc, del partito della Democrazia del lavoro, del Pli e del Partito socialista nel quale veniva sottolineata la gravità dei fatti affermando che
come vogliamo che nelle masse si accresca la coscienza di popolo civile così esigiamo che la vita dei cittadini sia a tutti sacra.
Furono deferiti al tribunale militare un sottotenente, tre sottufficiali e 21 soldati, ma il processo farsa, tenuto a Taranto, derubricò le accuse a
“eccesso colposo di legittima difesa”
Il che portò alla loro assoluzione
“per essere, i delitti, estinti da amnistia”.
ossia il condono delle pene proposto alla fine della seconda guerra mondiale in Italia dal Ministro di grazia e giustizia Palmiro Togliatti, approvato dal governo italiano, promulgata con decreto presidenziale 22 giugno 1946, n.4.
Alessio Brugnoli's Blog

