Rebab, Rabab,Viole e Ribeca


Pochi conoscono al-Farabi ed è un vero peccato, perchè si tratta di uno dei rari geni universali della storia umana: fu filosofo, uno dei primi a sviluppare una logica alternativa a quella aristotelica, psicologo, esaltando le facoltà dell’immaginazione come base dell’intelletto attivo, sociologo e politologo, riscrisse in chiave islamica la Repubblica di Platone, mistico sufi e musicologo, inventando un buon numero di strumenti musicali e il sistema tonale ancora in uso nella musica tradizionale araba.


Al-Farabi era un appassionato suonatore di rebab, strumento ad arco forse inventato in Afghanistan intorno all’Ottavo secolo, l’equivalente islamico della lira bizantina, sia per la longevità, sia per la sua enorme capacità di generare varianti: nell’Asia di sud-est, infatti il rebab è un grosso strumento simile alla viola da gamba mentre spostandosi verso ovest gli strumenti tendono ad essere più piccoli e dal suono più acuto.


Nella versione afghana, quella più vicina all’originale, il rebab ha una cassa armonica lunga e stretta, ricavata da un unico pezzo di legno, da cui deriva anche il manico, ed è fornito da tre o quattro corde, di cui una doppia, che vibra in simpatia con la compagna accordate di quinta, che si suonano pizzicandolo.



In particolare, in Egitto, è presente una versione chiamata rabab, a due corde, dalla forma stretta e convessa, suonato con un arco, in un modo assai simile a quello comunemente conosciuto per suonare il contrabbasso europeo.


Il rebab ha un’importanza fondamentale, anche se misconosciuta della storia della musica europea: in Al-Andalus, la Spagna islamica, si era sviluppata una peculiare versione di questo strumento, dal corpo allungato e sottile con lati rettilinei divergenti ed estremità inferiore arrotondata, cavigliere fortemente angolato, due corde, e una netta divisione fra le due parti del piano armonico, l’inferiore in pergamena e la superiore in legno con rosette ornamentali.


Con la Reconquista, il rebab, a quanto pare il Cid ne era un appassionato suonatore, nella zona di Valencia subì un’ulteriore evoluzione: si allungò ulteriormente, sono a superare il mezzo metro, con un’unica rosetta più grande che andava a sostituire le diverse aperture precedenti, il cavigliere che venne prendendo una forma a falcetto con una testa di animale scolpita, spesso un leone. Anche il numero di corde aumentò passando da tre, a sei corde, mantenendo però la forma piatta del ponticello, al quale esse venivano fissate. Dato che le taglie erano molto diverse anche l’accordatura poteva variare. L’estensione non poteva andare oltre a una nona maggiore. Il rebab valenziano veniva suonato verticalmente, in due modi differenti: in alcuni casi, le sue corde venivano pizzicate, in altri, invece, si usava l’archetto.



Sempre a Valencia, dal rebab pizzicato, che aveva la cassa armonica lievemente più ampia dell’altro, nacque la vihuela de mano, o come fu chiamata in Italia “viola da mano”, uno strumento di forma ampia e dai fianchi con rientranze, e con corde che venivano pizzicate. La successiva evoluzione avvenne in Sicilia, nell’ambito della corte dei Chiaramonte, in cui un intraprendente musicista, decise di suonarla come un liuto.



In parallelo, il rebab suonato con l’archetto, accogliendo alcune influenze della viella provenzale, sempre a Valencia, si trasformò nella vihuela de arco o viola d’arco, più piccole quelle della vihuela de mano, con manico lungo e sottile, con cavigliere ad angolo e rientranze a spigolo; inoltre, questo strumento continuava a essere suonato in posizione verticale.



Una contemporanea evoluzione avveniva intanto nel regno di Castiglia, in cui il rebab dava origine alla ribeca, la cui cassa aveva la foggia di una mezza pera che si prolungava nel manico, su cui si trova la tastiera. Come nell’antenato islamico, a cassa dello strumento non era assemblata unendo più liste di legno opportunamente sagomate, bensì ricavata in un pezzo unico insieme al manico, scavando un singolo blocco di legno massiccio. Costruita con legno piuttosto duro, la ribeca acveva la tavola armonica piana su cui erano praticati due fori a forma semicircolare. Lo strumento aveva da due a cinque corde, accordate per intervalli di quinta, sempre suonate tramite un archetto.


Ora grazie ad Alfonso d’Aragona, che conquistò il regno di Napoli, e introdusse la vihuela de mano e vihuela de arco e ai Borgia, che le portarono a Roma e le utilizzarono nelle prestigiose cappelle pontificie, i due strumenti ebbero un enorme successo: la vihuela de mano divenne il capostipite della grande famiglia delle chitarre, mentre vihuela de arco, come si può bene immaginare fu l’antenato dei violini e delle viole.


Invece per il matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona, la ribeca ebbe invece un enorme successo in Inghilterra, per essere poi progressivamente sostituita dal violino ai tempi degli Stuart.

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Published on August 07, 2019 12:08
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Alessio Brugnoli
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