Salvator Mundi
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Diciamola tutta: non manca anno che salti fuori la notizia del ritrovamento di un Caravaggio o Leonardo perduto. Molto dipende dal fatto che i due pittori, in maniera diversa, sono due icone pop; l’uno rappresenta il bello maledetto, l’altro il grande saggio pieno di misteri, una sorta di Gandalf o di Silente del Rinascimento.
Sono convinto che un Tiziano o un Piero della Francesca riapparsi dal nulla, sarebbero accolti con assai meno scalpore. Tuttavia, al di la dell’immaginario che è fiorito attorno ai due pittori, per entrambi vi sono oggettivi nel delimitare il loro catalogo.
Caravaggio, con l’ausilio della camera ottica e di altri artifici tecnici, ha avuto una produzione copiosa, replicando più volte uno stesso soggetto: in più, ebbe anche in vita abili falsari, come il maestro di Carpineto e ottimi imitatori, ad esempio Bartolomeo Manfredi.
Leonardo fu invece a capo di una bottega numerosa, che produceva, quadri e oggetti che oggi chiameremmo di design, in quantità indistriale; opere che il genio fiorentino concepiva, delineava a grandi linee, magari anche rifiniva, ma che venivano realizzate per gran parte dai suoi allievi.
Proprio per questo le polemiche sull’attribuzione oltre ad essere accese, probabilmente mai si placheranno. L’ultimo caso è il Salvator Mundi: sappiamo che, poco prima di abbandonare Milano per la caduta degli Sforza, Leonardo avrebbe dipinto una tavola del Salvator mundi, con la mano destra per benedire e nella sinistra tiene il globo, simbolo del suo potere universale, ispirato alla tradizione fiamminga.
Opera destinata che era destinata a un committente privato a cui, alcuni studi grafici, conservati soprattutto al castello di Windsor, possono essere riferiti.
Quadro di cui si erano perse le tracce, ma di cui avevamo un’idea del suo aspetto, grazie all’incisione di questo soggetto che nel 1650 circa ne aveva tratto Wenceslaus Hollar e ad alcune copie, come quella appartenente marchese de Ganay, opera forse di Francesco Melzi, che Leonardo nominò nel suo testamento erede di
“tutti et ciascheduno li libri che edicto testatore ha de presente et altri istrumenti et portracti circa l’arte sua et industria de pictori”
e la tavola conservata nella Cappella Muscettola di San Domenico Maggiore a Napoli, opera forse di Cesare da Sesto, che diffuse lo stile leonardesco in sud Italia.
Copia, quelle di de Ganay, che ebbe una storia avventurosa: comprata dal re di Francia Luigi XII, e poi sarebbe passato a Carlo I Stuart e Henrietta Maria, come dono di nozze per i due sovrani inglesi. Tuttavia Carlo I Stuart viene decapitato nel 1649 e nel 1651 la sua collezione viene messa all’asta. Il quadro in questione viene così descritto:
«A peece of Christ done by Leonardo at 30.00,00 / sold to Stone / 23 Oct. 1651».
Lo acquista John Stone che poi, nel 1659 lo restituisce a Carlo II Stuart, che, rientrato in città nel 1666 dopo la peste, fa inventariare sotto questo titolo il Salvator Mundi:
«Leonard de Vince our Savior with a globe in one hand and holding up the other».
Il quadro passò a suo figlio Giacomo, il terzo Re a possedere il quadro. Tuttavia ben presto dovette fuggire dall’Inghilterra e il quadro passò nelle mani della sua amante, Catherine Sedley, la cui figlia portò in dote questo quadro in occasione del matrimonio con John Sheffield. Passato di padre in figlio e tenuto in condizioni precarie, la famiglia si stancò presto di possedere questo quadro. Risultato? Fu venduto all’asta, il 24 febbraio 1763, per 2 sterline. Due. Durante l’Ottocento passò nelle mani del Marchese De Ganay
Il presunto originale, sta avendo una storia altrettanto originale: dopo l’occupazione francese di Milano, finì in un convento di Nantes, il cui patrimonio fu disperso durante la Rivoluzione Francese. Il quadro ricompare a fine Ottocento: viene acquistato per conto di Francis Cook, che, convinto di non possedere un capolavoro, lo lasciò in uno stato precario e allora, nel 1958, fu venduto per 45 sterline.
Nel 2005 invece fu acquistato da un americano, Robert Simon, una sorta di “cacciatore” di opere d’arte minori, per 10000 dollari. L’opera venne portata ai curatori del Metropolitan Museum per una valutazione e poi a quelli del Museum of Fine Arts di Boston, curatori che però non si pronunciarono. Infine nel 2010 fu portato alla National Gallery dove Nicholas Penny, il direttore, invitò quattro studiosi per valutarlo: Carmen C. Bambach, curatrice del dipartimento di grafica del Metropolitan Museum, Pietro Marani e Maria Teresa Fiorio, studiosi milanesi autori di diversi saggi su Leonardo e sul Rinascimento, e Martin Kemp, professore emerito di storia dell’arte all’Università di Oxford e noto studioso di Leonardo. I pareri furono tutti positivi, così si decise di procedere al restauro e di esporre l’opera alla grande mostra monografica su Leonardo che si tenne nel museo londinese dal 9 novembre 2011. Scelta, ad onor del vero, che fu assai contestata.
Un colpo di scena che ne fece salire verticalmente la quotazione, tanto che nel 2013 la tela fu venduta all’oligarca russo Dmitrij Rybolovlev per 90 milioni. Passano altri anni e altre storie e, nel 2017, Rybolovlev, forse stufo di avere un Leonardo appeso in casa, chiama Christie’s e chiede che mettano in vendita il quadro; in un’asta infuocata, in cui secondo il New York Times si sfidarono il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman e forse un rappresentante della Corte degli Emirati Arabi, il prezzo del quadro passò da 90 a 450 milioni di dollari.
Il museo Louvre di Abu Dhabi, partner del ben più noto Louvre di Parigi, annunciò, un mese dopo la vendita, che il capolavoro sarebbe arrivato ad arricchire la sua collezione. Ma la presentazione programmata a settembre dello scorso è stata annullata e del dipinto al museo non c’è traccia. Il dipartimento culturale degli Emirati arabi uniti, secondo quanto si legge sul Nyt, non ha mai voluto rispondere alle domande sull’ubicazione dell’opera. Da parte sua, il personale del museo di Abu Dhabi ha dichiarato al quotidiano statunitense di non sapere dove si trovi il dipinto. E pure l’ambasciata saudita a Washington ha rifiutato di commentare.
E già si potrebbe scrivere un romanzo, pensando a chissà quali giochi di potere nell’Arabia Saudita; ma complicare ulteriormente lo scenario, è saltata fuori una strampalata teoria, che tira in mezzo anche il buon Trump, affermando come l’acquisto del quadro non sia nulla più che una copertura per un pagamento per i servizi di una società specializzata nelle fake news, che orchestrò la sua campagna elettorale.
Più semplicemente, però, l’acquirente potrebbe aver deciso di tenere per sé il capolavoro, in un luogo privato; oppure potrebbe aver ceduto alle voci che affermano che l’attribuzione leonardiana non sia vera, decidendo di sottoporre il quadro a ulteriori controlli…
Alessio Brugnoli's Blog

