Joe R. Lansdale – Trilogia del drive-in [Recensione]
Prendiamo carta e penna e appuntiamo sul foglio bianco cosa sappiamo dei drive-in. Per esperienza diretta? Assolutamente nulla, a parte l’omonimo programma che ha lanciato la carriera di personaggi come Giorgio Faletti (a proposito, mi è tornata voglia di leggere Io uccido). Se invece consideriamo l’immaginario collettivo, proveniente dallo tsunami di cultura americana che ci ha travolti e sommersi, riusciamo a costruirci un’immagine molto chiara di una distesa di centinaia di auto parcheggiate davanti a uno schermo gigante. È una scena da film che narra di gente che a sua volta guarda film, in un circolo che non si è interrotto con il passaggio degli anni ’80, ma ha continuato a sopravvivere nei nostalgici ricordi di noi italiani teledipendenti.
Ovviamente, un pezzo così importante del mosaico americano non poteva sottrarsi al mostro della fiction horrorifica e l’esempio maggiore è la trilogia di Joe R. Lansdale “La notte del drive-in”, pubblicata a partire dal 1983 e arrivata in Italia sotto vari titoli. Se qualcuno mi chiedesse di esprimere un parere sull’opera di Lansdale, non potrei articolarlo meglio di questo commento trovato su Goodreads:
It’s like if Lewis Carroll and a psychopath dropped acid, then had a baby and that baby took shrooms and wrote a book.
Già, proprio così. La trilogia è un’auto truccata spinta oltre il limite del buonsenso, una distesa di violenza disumana narrata attraverso gli occhi di un ragazzo texano e filtrata poco e male, il che la rende largamente accettabile. Dopo che Jack (il narratore) e i suoi amici Bob e Randy, una volta arrivati all’Orbit per una maratona di film horror vi rimangono imprigionati a causa di una non meglio identificata cometa rossa, le uccisioni, gli stupri, gli episodi di cannibalismo e le crocifissioni si susseguono come in un sanguinoso b-movie sfuggito alle maglie della censura.
Man mano che si avanza nella narrazione, le atrocità vengono raccontate sempre con maggiore naturalezza e per i protagonisti la lotta per la sopravvivenza diventa la quotidianità. Certo, qualche perplessità può anche sorgere quando due uomini vengono fusi insieme da un fulmine che li trasforma in una specie di semidio, ma queste sono sottigliezze. Non ci siamo forse abituati anche noi alla violenza di tutti i giorni? Non dovremmo sentirci un po’ più colpevoli e meno indifferenti?
Il primo episodio, La notte del drive-in, è diventato negli anni un cult della letteratura horror ma i suoi seguiti non sono, a mio avviso, della stessa caratura. Il secondo capitolo, dal terrificante titolo italiano de Il giorno dei dinosauri, ricalca il predecessore ma risulta più debole, forse per il fatto di non avere un villain all’altezza del Re del Popcorn (il semidio di cui si parlava prima). Popalong Cassidy ne è solo una pallida imitazione, un bamboccione sadico che si atteggia a nuovo Messia del tubo catodico. Nel romanzo conclusivo, La gita per turisti, più articolato e riflessivo, si cerca di dare al tutto una giustificazione metafisica, ma pesa il fatto di essere stato scritto ventidue anni dopo il primo, la cui freschezza è solo un miraggio. Le voci dei personaggi iniziano ad assomigliarsi tutte ed è difficile in certi punti distinguere i personaggi secondari. E vi prego: qualcuno mi dica che fine ha fatto Bob, perso tra il secondo e il terzo libro.
Nel bene e nel male, la trilogia del Drive In è comunque un’esperienza difficilmente ripetibile e, in particolare per quanto riguarda La notte del drive-in, qualcosa di immancabile nella libreria del bravo lettore horror. Anche perché non è facile trovare in giro qualcuno capace di creare tali sboccate gemme come Lansdale.


