I violini di Dylan Thomas






In questa sera che corre troppo veloce, in cui ci cacciano presto dai giardini, come se fossimo pericolosi criminali e forse, in un’Italia guidata da somari e popolata da mediocri, è considerato più degno di stima essere un ladro che un artista, ascoltando la musica dei violini, mi è tornato nel cuore, quel naufrago della vita chiamato Dylan Thomas, un ragazzo piccolo e magro, dai capelli ribelli, color castano topo e grandi occhi marroni e verdi, timidi, presuntuosi e meravigliati, che Marlowe aveva come uniche amanti la bottiglia e la sigaretta.



Dylan Thomas era un fallito, un puttaniere, un ubriacone, capace di ammazzarsi bevendo 18 whisky di seguito. Era un poeta, voce di soprannaturale dolcezza e profondità. Fantasma mortale, che nulla dice in modo diretto, ma per parabole, specchi ed enigmi.



Per questo ne sono innamorato e forse un poco lo invidio: gli bastava vedere una parola starsene sola, per amarla e farla cantare, sotto un acquazzone di altre parole, generando una musica densa, di seta e di acciaio, segno della corruzione che ci pervade e della vita che ci rigenera. Puri suoni, ritmi. rime, metafore, che di continuo si edificano e sgretolano, in un girotondo folle e infantile, che mai pare avere fine.



Un poeta merita tale nome quando fa sentire al mondo il suo dramma, battendosi sia contro la morte, sia contro la vita. Dylan, con tutte le sue debolezze e follie, che lo rendevano umano, quest gridava… E le sue parole sono come la vita:preziose, complicate, ambigue. Chi le ama non sa cosa sta amando. O forse, comprende una verità tanto banale, tanto dimentica, che Dylan ci sussurrava in ogni suo verso.


Nonostante tutto l’impegno che mettiamo nel distruggerci, qualcosa di noi, l’amore che diamo, la bellezza che inseguiamo, i nostri sogni, sopravvive sempre. Perché, come ben canta


E la morte non avrà più dominio.

I morti nudi saranno una cosa

Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;

Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,

Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;

Benchè ammattiscano saranno sani di mente,

Benchè spofondino in mare risaliranno a galla,

Benchè gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;

E la morte non avrà più dominio.


E la morte non avrà più dominio.

Sotto i meandri del mare

Giacendo a lungo non moriranno nel vento;

Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,

Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;

Si spaccherà la fede in quelle mani

E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;

Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;

E la morte non avrà più dominio.


E la morte non avrà più dominio.

Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,

Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;

Dove un fiore spuntò non potrà un fiore

Mai più sfidare i colpi della pioggia;

Ma benchè matti e morti stecchiti,

Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;

Irromperanno al sole fino e che il sole precipiterà,

E la morte non avrà più dominio.


E Le danze di Piazza Vittorio, ogni volta che cantano e ballano non fanno nulla più che celebrare il trionfo della Vita.


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Published on September 04, 2018 14:03
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Alessio Brugnoli
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