A caccia di esopianeti

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Uno dei grandi successi dell’astronomia di questi ani è stato l’individuare e censire i pianeti extrasolari. Il primo transito esoplanetario fu individuato nel 1999. Dopo una decina d’anni eravamo a quota 100 e ora siamo arrivati a circa 4000 transiti. La maggior parte derivano dalla missione Kepler della Nasa, che dovrebbe concludersi quest’anno, la quale quale dal 2009 al 2013 ha monitorato senza sosta la variazione di luminosità di 150.000 stelle, comprese tra le costellazioni del Cigno e della Lira.


Dal 2013 in poi, per un guasto meccanico, Kepler ha dovuto puntare un altro settore cosmico, continuando però nelle sue scoperte, utilizzando il metodo del transito, che consiste nel rilevare la diminuzione di luminosità della curva di luce di una stella quando un pianeta gli transita davanti, causando un’eclisse. La diminuzione è correlata alla dimensione relativa della stella madre, del pianeta e della sua orbita.


Per ovvi motivi, più un pianeta è grande, più è facile da rilevare: parlando di casa nostra, se il transito di Giove davanti al Sole provoca un calo di luminosità dell’1%, quello causato dalla nostra cara e vecchia Terra è appena dello 0,01%. Per cui, dei 5000 possibili pianeti identificati da Kepler, di cui 3500 confermati, abbiamo per questa distorsione nel selezionare i dati, la seguente distribuzione statistica:



il 19% di dimensione minore a 1,25 volte il raggio terrestre;
il 31% di dimensione compresa tra 1,25 e 2 volte il raggio terrestre, le cosiddette super Terre;
il 42% di dimensione compresa tra 2 e 6 volte il raggio terrestre, i cosiddetti Nettuniani;
il 6% di dimensione compresa tra 6 e 15 volte il raggio terrestre, i cosiddetti Gioviani;
il 2% di pianeti con dimensione superiore a 15 volte il raggio terrestre, i cosiddetti Supergioviani.

Alcune osservazioni di Kepler stanno rimettendo in discussione la teoria standard della formazione dei pianeti, basata sull’assunto che tutti i sistemi solari potessero essere simili al nostro. In realtà è probabile che noi siamo più un’eccezione, che una regola. Se scegliamo a caso uno dei sistemi extrasolari, ad esempio, abbiamo il 50% delle possibilità che abbia almeno un pianeta più grande della Terra in un’orbita più ravvicinata rispetto al nostro Mercurio, cosa su cui, prima del 1999 nessuno avrebbe scommesso un centesimo.


Ora che il buon vecchio Kepler sta per chiudere bottega, come procederà la ricerca. Il primo passo è il progetto TESS della Nasa, presentato dal Massachusetts Institute of Technology e sponsorizzato anche da Google, il cui lancio, utilizzando un Falcon 9 v1.1 della SpaceX , è avvenuto il 18 aprile. TESS valuterà nei due anni di ricerca previsti circa 500.000 stelle i classe spettrale G e K, ossia nane gialle e arancioni, con magnitudine apparente tra 5 e 12, catalogando almeno 3.000 pianeti, di cui circa 500 dalle dimensioni simili alla Terra o super Terre.


L’esplorazione sarà suddivisa in 26 settori di osservazione di 24° x 96° , con una sovrapposizione ai poli eclittici per aumentare la sensibilità nei confronti di esopianeti caratterizzati da masse più piccole e periodi orbitali più lunghi. Ogni settore sarà osservato per due orbite, ognuna delle quali durerà 13,7 giorni, mappando durante il primo anno l’emisfero sud e quello nord durante il secondo.


Ognuna delle lenti del TESS acquisirà immagini con una cadenza di due minuti alla ricerca di diminuzioni di luminosità causate da pianeti in transito, con immagini full frame acquisite ogni 30 minuti in grado di offrire informazioni fotometriche per più di venti milioni di stelle nell’arco di sessioni di osservazione di diverse settimane, che offriranno anche l’opportunità di rilevare altri fenomeni di transito, quali lampi di raggi gamma. Un approccio quantitativo, basato sulla forza bruta, che però si integrerà con strumenti, come dire, più qualitativi, come



Automated Planet Finder (APF) un telescopio ottico di 2,4 metri di diametro situato presso l’Osservatorio Lick, ad una quota di 1280 metri s.l.m. sul monte Hamilton, circa 20 km a est di San Jose in California, progettato per la ricerca per la ricerca di pianeti extrasolari di massa compresa tra 5 e 20 volte quella della Terra, ed entrato pienamente in funzione in gennaio 2014
HARPS (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) spettrografo per velocità radiali di tipo Echelle di grande precisione installato nel 2002 sul telescopio di 3,6 metri di diametro dell’ESO posto all’Osservatorio di La Silla, in Cile, diventato operativo a febbraio 2003, basato sul principio della variazione della velocità radiale di una stella soggetta a forze gravitazionali di corpi ruotanti attorno ad essa
ESPRESSO (Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanet and Stable Spectroscopic Observations), spettrografo Echelle per esopianeti rocciosi ed osservazioni stabili[ è uno spettrografo di tipo Echelle di terza generazione a dispersione incrociata e connesso mediante fibra ottica installato al Very Large Telescope (VLT) dell’European Southern Observatory.
Cheops, che uno dei troppo trascurati successi della ricerca scientifica italiana

Cheops, il cui acronimo sta per CHaracterizing ExOplanet Satellite, ed è la prima delle missioni di classe Small, ossia a basso costo del programma “Cosmic Vision 2015-2025” dell’Agenzia spaziale Europea (Esa). Il piccolo satellite, dal peso di 250 kg, inizierà la sua missione con un lancio del razzo Soyuz dalla base europea di Kourou, Guyana Francese, che lo porterà in un’orbita a 700 km di altezza con un’inclinazione di 98° rispetto all’equatore, dove opererà per almeno quattro anni. Il payload scientifico di Cheops è un telescopio molto compatto, poco più di 30 cm di diametro e di lunghezza, che dedicherà le sue osservazioni alla misura della luce che giunge da stelle i cui pianeti sono stati individuati da altri strumenti, da terra o dallo spazio.


Il telescopio è stato realizzato completamente in Italia nei laboratori della Leonardo SpA. di Firenze, con la collaborazione di Thales Alenia Space di Torino e dell’azienda Media Lario di Bosisio Parini, in provincia di Lecco, sotto la guida dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). In termini pratici, se TESS trovasse indizio che potessero fare pensare a un pianeta simile alla Terra, saranno attivati gli scienziati che lavorano su Cheops o sugli altri strumento, per incominciare un’analisi più approfondita.


E questo potrà anche permettere di monitorare le caratteristiche della sua atmosfera; durante il transito del pianeta davanti alla stella, le molecole e atomi dell’atmosfera assorbono parte delle lunghezze d’onde della luce, modificandone lo spettro. Con un poco di attenzione, possiamo misurare le differenze tra spettro in condizioni normali e di transito, identificando le caratteristiche dell’atmosfera planetaria; se vi identificassimo quantità significativi di ossigeno, avremmo un importante indizio sulla presenza della Vita.


Ora, TESS e Cheops sono il primo passo di per una nuova campagna di esplorazione spaziale, che vedrà collaborare il James Webb Space Telescope, l’erede di Hubble con strumenti dedicati, come FINESSE della NASA e ARIEL dell’ESA che analizzeranno la infrarossa proveniente dai sistemi extrasolari, che permette di identificare con maggiore facilità molecome come acqua e anidride carbonica.


Per poi culminare nella missione PLATO del 2026, che prevede il lancio satellite tecnologicamente molto sofisticato, composto da una batteria di 26 piccoli telescopi caratterizzati da un campo di vista simile a quello dell’occhio umano, anche questi progettati nei laboratori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) di Padova, Catania e Milano, e saranno costruiti nei laboratori della Leonardo di Firenze. PLATO di fatto, scrutando tutta la volta celeste, unirà la potenza di fuoco di TESS, con la precisione e la capacità di analisi di Cheops…

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Published on July 14, 2018 06:26
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Alessio Brugnoli
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