GLORIOUS- cp1- Le (im)parità sessuali, per lei
«Ora tu dimmi perché a trentadue anni, io dovrei
interpretare la madre di uno che ne ha ventuno? Se me lo spieghi, potrei anche
accettarlo» chiede Morgan al suo collaudato amico e agente Giovanni, ma lui
sospira e arriccia le labbra ondeggiando i baffi ispidi che ormai non cura più.
Morgan aveva capito già da qualche mese che
qualcosa non andava e che Gio’ aveva perso il mordente. Non solo stava cedendo
l’agenzia, ma anche la sua carriera e quella dei suoi colleghi. Conosce
Giovanni da oltre dieci anni quando era ancora a Roma presso L’Accademia di
Gigi Proietti per esercitarsi dopo la laurea al Teatro Piccolo di Milano. C’è
stata subito una buona sinergia tra loro, così è iniziata una proficua
collaborazione e una buona amicizia.
«Perché quel pivello ha un milione di fan su
Facebook e tu nemmeno ci sei, su Facebook» dice secco abbassando lo sguardo
triste e rassegnato. «E c’è anche un’altra cosa chiamata Instagram che sta
diventando sempre più popolare. E lui c’è anche là.»
«Sì, ho capito. È una roba per le foto, ma è solo per
chi ha Apple. Sono pochi» replica lei.
«Pochi?» sbotta lui. «Tu nemmeno ci provi. Tu
nemmeno hai quei nuovi telefoni che usano i ragazzi» dice toccando il tavolo
con le dita, simulando quello che fanno i giovani d’oggi; toccano delle icone e
spostano fotografie come fosse un computer col touchscreen. «Come puoi
pretendere di competere con loro?»
Morgan incrocia le braccia, accavalla le gambe
sotto il tavolo e scuote la testa in direzione della grande vetrata alla sua
destra; osserva fuori mentre il vento d’aprile trasporta i primi pollini
bianchi che fluttuano nell’aria come fiocchi di zucchero filato.
Sono alla solita trattoria “La Taverna”. Lei
ricorda ancora tanti anni fa quando dall’altra parte della strada c’era il
Blockbuster, la catena di negozi di videonoleggio che ora nel 2012 non esiste
più se non con pochissimi punti vendita che sono risorti dopo il fallimento della
casa madre in America. I tempi cambiano, i negozi chiudono e le persone devono
rinnovarsi se vogliono arrivare a fine mese perché non basta più avere un
attestato che dimostri i meriti e le competenze. Oggi conta di più avere dei dannati
followers nei social che saper recitare.
«Quello fa le pernacchie in video» gli ricorda
lei, afflitta. «E non solo.»
«Ha successo perché fa ridere» insiste lui.
«Piace alle ragazzine. Nessuno lo tiene in
considerazione come attore serio perché non lo è!» Fa spallucce Morgan fissando
sempre fuori della vetrata.
«Sono le ragazzine che creano la popolarità oggi,
non più il talento» dice amareggiato.
«Che mondo schifoso.» Morgan serra le labbra in
una smorfia che spera le impedisca di sbottare in uno sfogo personale. Sarebbe
l’ennesimo e sarebbe come i suoi precedenti: gratuito. Non serve a nulla, ma fa
fatica a non essere depressa e incazzata ogni volta che un pupattolo o una
pupattola del cavolo le soppiantano un ruolo solo per colpa di questi dannati
social.
Lei ha recitato a teatro con la grandissima
Mariangela Melato e ora si ritrova a discutere di sciocchezze come Facebook.
«Alessandro Haber non è in Facebook, ma lui arriva
da un’epoca in cui per emergere dovevi superare la critica degli esperti di
settore, non certo essere oggetto degli umori dei ragazzini che hanno come
termine di paragone solo le boiate americane in cui ci sono le risate finte.
Cosa ne sanno loro di Vittorio Gassman, Alberto Sordi o Monica Vitti» continua
gesticolando con un braccio che trova però rassegnazione appoggiandosi infine
inerme come la frase che non finisce.
Lui chiude il volto tra le mani e poggia i gomiti
sul tavolo. «È tutto inutile, con te» borbotta ancora. «Tu non hai nemmeno il
cellulare, mentre io sì e ho trent’anni più di te. Cioè, tu usi ancora la
segreteria telefonica. Alle volte, trovarti è un’impresa impossibile» dice e fa
una pausa guardandola sconfortato. «Amica mia, o cambi tu o non puoi pretendere
che il mondo si fermi. Sei tu che devi metterti a correre. È un fiume in piena e
non ci possiamo fare nulla. Mi dispiace» sospira e le prende la mano. «O fai
sua madre o niente ruolo. E tanto prenderanno un’altra al tuo posto senza
troppi problemi. Io sto cercando di aiutarti» le ripete.
«Lo so» gli batte un paio di volte il palmo della
mano e gli sorride.
Si fissiamo a lungo e in silenzio entrambi
consapevoli di essere in balia di qualcosa di inarrestabile e tragico come uno
tsunami che sta spazzando via il buon gusto e il teatro di qualità in favore
della visibilità su internet. Che tristezza!
Morgan e Gio’ finiscono il pranzo sorseggiando
l’amaro e chiedono il conto.
«Hai novità dall’Agenzia Conte Dorian?»
Lui annuisce. «Il dottor Dal Borgo sta valutando
tutti, ma non si è ancora pronunciato su di te. Mi ha dato la sua parola però che
cercherà di fare del suo meglio per dare un’opportunità a tutti con un nuovo
curriculum e un portfolio multimediale. Almeno mi ritirerò con un peso in meno
sulla coscienza» le dice con sincero affetto.
Una speranza
c’è, pensa Morgan annuendo.
L’Agenzia Conte Dorian arriva da Hong Kong e ha
una sede anche in New York. Da meno di un anno è anche a Milano e sa che sono
in fase di trasloco in piazza Gae Aulenti in zona Garibaldi. Si dice in giro
che diverrà l’agenzia più importante qui in Italia visti i molti contatti con
l’estero.
«Speriamo. Nel frattempo valuterò il ruolo di
madre di quel cretino» sbuffa pensando che deve pur arrivare a fine mese in
qualche modo e, da quando vive da sola, è molto difficile.
«Tieni duro, vedrai che prima o poi qualcosa cambierà»
le dice, ma nemmeno lui ci crede e la sua rassegnazione non la conforta
affatto. Anzi, vede le macerie del negozio fantasma del Blockbuster e pensa
alla sua carriera con ansia crescente. Se non combatte lei per sé stessa,
nessuno lo farà al suo posto. Non certo Gio’, che per quanto gli sia
affezionata, ha gettato la spugna. Ha perso la voglia di rimettersi in gioco,
ma non lei.
Lei sente di avere ancora molto da dare al teatro,
da tempo valuta di fare della televisione ma teme di svendere la sua arte. E
questa nuova generazione non la capisce, o non le importa poi tanto di capirla,
ma forse deve cambiare idea e rivedere anche il suo look naturale e spontaneo.
Si alzano e si salutano.
Morgan esce e si avvia a piedi lungo una via
tranquilla di Milano, che le sembra sempre più straniera. Non è sempre stato
così, quando stava con Paolo era diverso. Entrambi attori, quasi coetanei,
stessi gusti, stessi ritmi di vita ai margini della società.
Dodici anni d’intenso amore, finito senza
essersene accorta. Era appena arrivata in Italia e quando l’ha visto è stato un
colpo di fulmine. C’è stato solo lui.
Bella
ricompensa, si dice cinicamente ironica.
Senza preavviso, senza segnali cui aggrapparsi,
lui un giorno le dice che ha conosciuto un’altra che lo stimola, una ventenne
fresca che lo fa sentire ancora in corsa e le ha detto “ciao”.
Per Morgan è stato come un incidente d’auto. Anzi,
se fosse morto sarebbe stato meglio, almeno lo avrebbe pianto. Così invece ha
solo un cuore fatto a pezzi che si porta in giro dentro un involucro di
plastica sperando che si aggiusti col tempo. Vive in compagnia di un costante
rancore che a tratti ha dei picchi d’ira per tutte quelle giovani che se ne
vanno in giro a rubare gli uomini delle altre più grandi, che li hanno
sopportati e supportati nei momenti di crisi come lei ha fatto per Paolo.
Doveva farsi sposare come fanno tutte, altro che
la convivenza e l’emancipazione!
Ora avrebbe gli alimenti e l’appartamento. Così
non ha nulla se non gli anni donati all’uomo sbagliato. Da orfana, poi, soffre
due volte perché Paolo era anche la sua unica famiglia oltre al teatro. Ma
anche la sua compagnia s’è sciolta e ora gira come un cane randagio.
Ma si sa, gli uomini sono più fortunati; con gli
anni, acquisiscono fascino e carisma mentre la donna invecchia e basta. Non è
giusto!
Si ferma davanti alla vetrina di un negozio
d’abbigliamento e si osserva. È dimagrita ancora, i pantaloni le fanno delle
pieghe un po’ dappertutto. Ormai non ha più l’aspetto di una donna, potrebbe
fare l’androgino anche nella vita vera da tanto che è un palo con i capelli
neri e arruffati.
Non è mai stata formosa, ma ora sfiora l’anoressia.
Lo sa, ma non ci può fare nulla.
La depressione non è facile da curare e il dover
recitare con un cretino certo non le è d’aiuto.
Fa per riprendere a camminare quando un gruppetto
di ragazze la urta e lei barcolla.
«Scusi signore» dice una biondina con la quarta di
seno al vento che a stento sta nella maglietta e le cosce lunghe e magre come
quelle di una gazzella. Le sorride e ammicca e Morgan resta disorientata da
tanta sfacciataggine.
«Non vedi che è una lesbica, scema» le dice
l’amica e lei cambia espressione di colpo.
Fissa ora Morgan con sdegno e se ne va di corsa
come se fosse inseguita da una tigre.
«Non sono lesbica!» grida ma tanto è inutile
perché non è la prima volta che le succede.
Tempo fa aveva recitato nei panni di un uomo in
un’opera indipendente e aveva riscosso un discreto successo tra le più giovani.
Poi capivano che era una donna e ne restavano inorridite, tanto che ha detto a
sé stessa che non avrebbe più accettato ruoli maschili o androgeni.
Morgan ha bisogno di essere apprezzata e amata dal
pubblico, ma oggi sembrano più interessati alla persona e non più alla
recitazione.
Se fossi
nata uomo, avrei avuto una vita più facile e ora sarei famoso e pieno di donne.
Riprende a camminare sentendo che come donna si è
preclusa molte strade; anche quella di farsi una sua famiglia sembra ormai
persa. Dopo Paolo, dopo il suo tradimento, sente che mai più potrà fidarsi di
un uomo. Mai più!
Vaga per Milano con l’anima pesante, trascinando i
piedi e senza una meta precisa.
Cerca solo di motivarsi per accettare quel ruolo
da madre che non le si addice e che non sopporta, visto che sua madre l’ha
abbandonata ancora in fasce, e che non può ancora comprendere ma che si
sforzerà di assumere perché deve pagare l’affitto.
In un certo senso, si sta svendendo per un’imparità
sessuale che le è imposta dalle stesse donne.
È davvero un mondo assurdo.


