Evoluzione di una post-verità
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Bisogna essere onesti: è da più di vent’anni che, in forme differenti, si discute del reddito di base. Di fatto, molti sostengono che, con il diffondersi dell’automazione e dell’IA, processo, ricordiamolo, rallentato dalla globalizzazione, che per parecchio tempo ha reso più conveniente investire in delocalizzazione che in innovazione, trend invertito negli ultimi anni, in cui un robot è tornato economicamente più conveniente di un operaio asiatico, si creerà una condizione di disoccupazione di massa.
Per cui, per mantenere un’economia di tipo capitalistico, i soldi percepiti dagli stipendi dovranno essere progressivamente sostituiti da quelli provenienti da forme più o meno dirette di sussidi statali. Ipotesi che, trascurando qualsiasi ragionamento di sostenibilità finanziaria, si scontra con un problema filosofico: la singolarità tecnologica, modificando radicalmente tutti i rapporti di produzione e quindi la sovrastruttura, renderà infondata qualsiasi nostra previsione e ragionamento a priori.
Però, come è possibile che un argomento, trattato da ristretti circoli di economisti e futurologi, sia diventato in Italia tema da chiacchiere da bar sport ?
Tutto è cominciato con il fortunato saggio di Jeremy Rifkin La fine del lavoro, che proponeva come rimedi della disoccupazione tecnologica, la crescita del Terzo Settore e della Sharing Economy. Saggio che fu letto ed equivocato da Beppe Grillo, il quale scambiò un trend a medio termine con uno a breve e, forse ispirato da qualche poco compresa lettura transumanista, sostituì le soluzioni proposte da Rifkin con l’italico “damo li sordi a tutti”
Tema che è diventato un suo cavallo di battaglia: nella scorsa legislatura, una pattuglia di senatori grillini, capitanati da Nunzia Catalfo, ispirata dal modello di welfare danese, proponeva di introdurre un sussidio di disoccupazione di cui avevano diritto, cito l’articolo 4
tutti i soggetti che hanno compiuto il diciottesimo anno di età, risiedono nel territorio nazionale, percepiscono un reddito annuo calcolato ai sensi dellarticolo 3, comma 1, e che sono compresi in una delle seguenti categorie:
a)soggetti in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea;
b)soggetti provenienti da Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale.
Ovviamente come a Copenaghen, tale sussidio, per essere erogato, doveva soddisfare una serie di specifiche condizioni. Insomma, una forma di welfare già sperimentata, che però, nell’adattamento all’italiana, oltre a una poca chiarezza nel calcolo della soglia di povertà, non teneva conto del fatto che, se nello Jutland il sistema dei centri per l’impiego è capillare e ben rodato, in Italia è allo sbando. In più, dato che chiamarlo con il suo vero nome, sussidio per disoccupazione, o perché pareva poco roboante e dava scarsa visibilità sui media, o per omaggiare Beppe Grillo, si è trasformato in ben più retorico reddito di cittadinanza.
Con la campagna elettorale, o per cinismo, se qualcuno promette la flat tax o l’abolizione della legge Fornero, io posso pure dire che regalerò soldi a destra e manca, o per effettiva ignoranza della proposta Catalfo, un onesto sussidio di disoccupazione si è ritrasformato in “damo li sordi e pure tanti a tutti”, con candidati grillini, poi eletti, che promettevano di regalare 2000 euro al mese a capoccia. Dopo il successo elettorale, Di Maio ha dovuto rimettere tutti in riga, ribadendo il valore originale della proposta, con due variazioni:
Qualcuno, facendosi due conti, per rendere più sostenibile alle finanze dello Stato tale sussidio ha deciso di renderlo percepibile non all’individuo, ma al nucleo famigliare. Per cui, i 780 euro mensili, in diverse zone d’Italia, risultano essere assai poco d’aiuto
Dato lo stato carente dei centri di avvio all’impiego, si è deciso di anteporre la loro riforma all’erogazione del sussidio: il che significa che i primi soldi, conoscendo i tempi italici, si cominceranno a vedere tra tre o quattro anni.
Detto questo, io sono contrario a priori ai sussidi di disoccupazione, ma come dice bene il buon Li er Barista
“Se a uno je prometti de daje ‘na Ferrari subito e ‘nvece je tocca pure aspettà pe’ ave ‘n’ apetta, magari è sempre mejo de rimanè a fette, magari je serve più l’apetta che la Ferrari, però nun te lamentà se t’aspetta sotto casa, pe’ corcatte come ‘na zampogna”
Alessio Brugnoli's Blog

