Bayes e gli Alieni
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La scoperta di numerosi pianeti extrasolari ha causato due distinte reazioni nei miei amici che bazzicano il mondo della fantascienza: da una parte vi sono gli entusiasti, convinti che l’Universo pulluli di omini verdi, dall’altra gli scettici, che lo immaginano come un deserto privo di vita.
Tale divisione si è ulteriormente acuita, paradossalmente, proprio a causa delle ricerche paleontologiche sulla nostra buona, cara vecchia Terra. Negli ultimi anni, infatti, ci sono sempre più indizi sul fatto che i primi organisti unicellulari fossero già presenti in giro quattro miliardi di anni fa, appena 500 milioni di anni dopo la formazione del nostro pianeta.
In più è ormai certo il fatto che la Terra fosse abitata 3,5 miliardi di anni fa, con Archea che sfruttavano la fotosintesi, che producevano o consumavano metano, cosa che fa pensare come all’epoca, l’evoluzione avesse compiuto parecchi passi…
Il che farebbe pensare come la Vita, date le giuste condizioni al contorno, tenda ad apparire con facilità e quindi non sia così rara in giro per l’Universo. Così, nel 2002 Charles H. Lineweaver e Tamara M. Davis provarono, partendo da questa intuizione, a calcolare quale fosse la relativa probabilità della vita in giro per le Galassie, lavorando sulla distribuzione di Poisson.
A valle dei loro ragionamenti, i due scienziati ipotizzarono che nel 13% dei pianeti simili alla Terra, con almeno un miliardo di anni sul groppone, vi fossero esseri viventi più o meno complessi. Il problema è che, come spesso accade quando si entra nel campo dell’inferenza statistica, fa capolino il buon vecchio teorema di Bayes.
Così nel 2012 David Spiegel e Edwin Turner hanno provato ad esaminare il problema applicando tale metodo: così nel loro articolo, Bayesian analysis of the astrobiological implications of life’s early emergence on Earth, hanno dimostrato come tutte le stime fatte dipendono purtroppo dal valore che si da a priori alla probabilità che esista la vita nell’Universo.
Semplificando all’osso il loro ragionamento, posto
P(A/E) = (P(E/A) P(A))/P(E)
con
P(A/E) la probabilità che sia vita in uno dei tanti luoghi dell’Universo, nel caso questa sia presente su uno specifico pianeta
P(E/A) la probabilità che vi sia la vita uno specifico pianeta, nel caso questa fosse presente in un altro luogo dell’Universo
P(A) probabilità che vi sia vita in un altro luogo dell’Universo
P(E) probabilità che la vita sia presente su uno specifico pianeta.
Nel caso specifico della Terra, P(E)=1
Per cui avremo
P(A/E) = P(E/A) P(A)
In più, nell’ipotesi che lo sviluppo della vita sulla Terra sia indipendente ad esempio da quella avvenuto su Trappist 1, avremo
P(E/A)= P(E) P(A)/P(A)= P(E)=1
ossia
P(A/E)= P(A)
Di conseguenza, tornando al discorso di Spiegel e Turner, la probabilità che vi sia vita nel resto dell’Universo, è indipendente dal fatto che questa si apparsa, anche in tempi rapidi, sulla nostra Terra. Inoltre, non avendo nessuna indicazione empirica del valore di P(A), questo potrebbe essere anche 0.
Questo non significa che siamo soli nell’Universo: significa, al contrario, che dobbiamo impegnarci per cercare le prove della vita extraterrestre. Anche un semplice banale batterio, rendendo P(A) diverso da 0 permetterebbe di fare pendere l’ago della bilancia alla parte di un Universo pieno di altri mondi abitati…
Alessio Brugnoli's Blog

