Isole di felicità (Laimės salos) - l'isola di felicità comincia a sprofondare




Ormai da giorni aveva dolore alla schiena. Anche la gamba a cui aveva avuto l’operazione aveva ripreso a farle male. Secondo quello che mangiava le nasceva un mal di testa feroce che le impediva quasi di vivere. Lavorava con fatica, si muoveva con fatica, quasi non poteva più pensare.
Non capiva, non capiva perché nel suo corpo tutto fosse cambiato.
Che le era successo?
La sua tendenza era preoccuparsi della salute solo quando stava male. E forse era sbagliato.
Ma che le era successo?
Questa domanda era divenuta il suo cruccio in quei giorni.

Se manca la salute manca tutto. Era una cosa che sapeva ma che appena stava bene dimenticava.
Cominciò a pensarci, a chiedersi perché stava male, che le fosse successo...
Ci pensava e non trovava altra spiegazione: il suo stile di vita era sbagliato. Lavoro, casa e lavoro.
Aveva smesso di andare in palestra perché non provava più gioia. Ma era comunque stato uno sbaglio.
Il lavoro e la casa in cui aveva costruito il suo mondo stavano diventando una prigione. Una cella di isolamento.
E per quanto capisse l’errore non trovava la forza per ricominciare.
In ufficio era rimasta sola. Il dolore alla testa era così forte che decise di andare a casa.
Prese la borsa. Indossò il cappotto. Fece il codice per innestare l’allarme e uscì.
Svoltò a destra e si diresse verso la fermata del filobus 7.

Cominciò a piovere mentre camminava in direzione della fermata. In modo inatteso. E forte.
La pioggia le fece cessare quei pensieri di dolore.
Era una pioggia ghiacciata il cui freddo le gelò la testa. E fu un miracolo quasi.

Quel dolore cessò. Si sentí rinascere.

Alzò gli occhi al cielo. Le gocce gelate la colpirono come proiettili.
Il sollievo che provava era più forte che i fitti colpi che riceveva sulla carne.
Tenne gli occhi fissi su verso il cielo stordita.
Si fermò e rimase in quella posizione finché non si rese conto che tutto il male era andato via.
Aprí la bocca per farsi penetrare dal gelo.
Quel gelo era forte, più forte del dolore. E berlo capí le avrebbe giovato.
Bevve come intontita e stupita che quell'acqua gelida l'avesse guarita là dove le medicine avevano fallito.
Mentre beveva la pioggia senza accorgersene aveva chiuso gli occhi. Quando li riaprí si rese conto che un paio di passanti si erano fermati e la osservavano.
- Sta male? - le chiese una donna che la guardava da vicino.

Le sue giornate erano troppo piene. Troppe cose da fare. Troppi impegni e appuntamenti. Arrivava alla sera senza respiro e senza vita.
Doveva sottrarre o morire.
Qualcosa doveva togliere e cambiare stile di vita. Era lo stile di vita sbagliato. L'avrebbe uccisa. 
Finalmente era salita sul filobus. Finalmente il mal di testa le era finito. Finalmente sedeva sollevata.
Le pareva tuttavia che la gente tenesse gli occhi puntati su di lei. Aveva i capelli bagnati. La faccia anche. E il cappotto grondava acqua. Ma Rūta era felice.
Di solito in autobus era disturbata dalle facce tristi dei lituani ma quella sera no. Quella sera essersi liberata dal male in modo così inatteso le aveva dato un senso di gioia impossibile da definire.Potevano anche guardarla, non le importava niente.Per un attimo ritrovò la sua serenità e fu di nuovo quasi felice.
Ma il giorno dopo fu un'altra giornata intensa. Non ebbe mal di testa, lo stomaco non le fece male ma lo stress la tenne in apnea.
Il pomeriggio dopo lavoro aveva avuto lezione di fotografia con Inga. Era arrivata a casa verso le 22. Poi aveva dovuto preparare la pasta per fare i cornetti in forno. Il giorno dopo, sabato, nel pomeriggio sarebbe venuta da Utena la parrucchiera per farle i capelli.
Ma perché non trovava un parrucchiere a Vilnius? Perché rimaneva aggrappata ancora a Utena? Dalia, la parrucchiera, era rimasta l'ultimo contatto con quella città che non amava.
Alla fine pagare Dalia per i capelli, pagarle la benzina, farle i cornetti o la pizza ogni volta che veniva da lei, finiva per spendere quanto andare da un parrucchiere di Vilnius.
Si rendeva conto di questo ma continuava a rimanere appesa a quell'abitudine. Non sapeva liberarsene e non trovava una ragione.
La mattina di sabato avrebbe avuto anche l'esame di italiano all'Istituto di Cultura.
Non si era preparata. Non aveva tempo e voglia di prepararsi. E poi quell'anno il corso era veramente stato noioso. Il corso più noioso di tutti gli ultimi tre anni.
Domenica pomeriggio Rebeka avrebbe danzato in un teatro della città. Domenica sera sarebbe andata al concerto di Andrius Mamontovas. Non ne aveva mai perso uno e non poteva perderlo.
Lunedì sarebbe stata morta, con ogni probabilità.
Non aveva più energia ora, come lunedì si sarebbe alzata da letto?
Sentiva che la sua isola di felicità sprofondava e lei con tutta l'isola.


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Published on December 15, 2017 07:33
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