Il Duca d’Abruzzi

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Come sapete, non sono mai stato un grande estimatore dei Savoia: eppure, tra loro vi è un personaggio spesso dimenticato, ma che meriterebbe, per la sua vita avventurosa, di apparire in qualche romanzo steampunk italiano


Sto parlando di Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi. Luigi Amedeo nasce a Madrid il 29 gennaio 1873, terzogenito di Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, da due anni re di Spagna, e di Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, fratello minore di Emanuele Filiberto e Vittorio Emanuele.


Ora, a molti italiani può sembrare strano, ma all’epoca la vita politica spagnola era, come dire, molto sud americana: un susseguirsi continuo di colpi di stato, rivolte e guerre civili. In una di queste era stato preso il primo Savoia libero, era stato trascinato quasi a forza a Madrid ed era stato incoronato controvoglia, sua e del resto degli spagnoli.


Già, perché i repubblicani non volevano avere re, mentre i monarchici applicavano il detto romano


Beppe per Beppe, me tengo Beppe mio


ossia perchè devo averci un re Savoia, quanto avevo tanto bene un Borbone ?


Così Amedeo di Savoia-Aosta, dopo l’ennesimo attentato, subito dopo la nascita e il battesimo di Luigi, mandò tutti al diavolo, prese baracche e burattini, abdicò e se ne andò prima a Lisbona, poi se ne tornò a Torino, stabilendosi a palazzo Cisterna.


si stabilisce nel palazzo Cisterna. Luigi ha poco più di tre anni e mezzo quando nel novembre 1876 muore, a soli trent’anni, la madre Maria Vittoria, di salute cagionevole. E ne ha appena sei e mezzo  quando nell’agosto 1879 viene arruolato come mozzo nella Regia Marina, per ricevere un’educazione militare, come da tradizione per i principi della casa reale, destinati a ricoprire alti gradi nelle forze armate.


Nel frattempo viene cresciuto dalla regina Margherita, che gli attacca una passione strana, per uno che i Savoia hanno destinato a essere ammiraglio: l’alpinismo.


A partire dal 1892 che Luigi, accompagnato da alcune guide e da diversi tra gli alpinisti più celebri del tempo, inizia ad effettuare numerose arrampicate, scalando con successo il Gran Paradiso, il Monte Bianco, il Dente del Gigante, le cime principali del Monte Rosa e il Cervino lungo la Cresta di Zmutt, un versante molto pericoloso, scalato, prima d’allora, solamente due volte.


Nel dicembre 1884 diviene allievo di prima classe della Regia Accademia Navale di Livorno e si imbarca a bordo della fregata Vittorio Emanuele, condividendo studi e addestramento con un altro figlio illustre, il coetaneo Manlio Garibaldi, figlio dell’eroe risorgimentale, dimostrandosi un buon allievo, con una media di voti sopra i 16/20


Nel luglio 1889, a soli sedici anni, il cognome conta, viene nominato guardiamarina nel Corpo dello Stato Maggiore generale della Regia Marina e si imbarca sul brigantino Amerigo Vespucci, con cui compie la sua prima navigazione intorno al mondo, durante la quale conosce il tenente di vascello Umberto Cagni, fedele compagno di quasi tutte le sue future esplorazioni. Nel febbraio 1891, al suo rientro in  patria dopo un viaggio durato quasi un anno e mezzo, è diventato sottotenente di vascello e, in seguito alla morte del padre avvenuta nel gennaio 1890, è stato nominato da re Umberto I duca degli Abruzzi.


Nel giugno 1893 Luigi è assegnato come ufficiale in seconda alla cannoniera Volturno e nel giro di due mesi è promosso al grado di tenente di vascello. In settembre la nave è inviata in Somalia per sedare dei disordini e rimane a presidiare per un mese il porto di Mogadiscio; da quel momento in poi, Luigi comincia a soffrire di mal d’Africa.


Il 4 novembre 1894 salpa da Venezia sulla Cristoforo Colombo per una missione diplomatica che dura ventisei mesi e che gli consente di compiere la sua prima circumnavigazione del globo.


Durante questo viaggio Luigi inizia a progettare una spedizione sul Nanga Parbat, nella zona meridionale del Karakorum, ma un’epidemia di colera in India e una forte carestia nel Punjab lo inducono a lasciare cadere l’idea. Durante il viaggio lungo le coste del Nord America, il Duca ammira le cime attorno all’isola di Vancouver e apprende dell’inviolata cima del Sant’Elia (5489 metri). Il progetto di  scalata è ambizioso, ma la ricerca dei finanziamenti italiani per l’organizzazione dell’impresa non apparire delle più semplici, dovendosi confrontare con la tradizionale tirchieria nazionale, quando si parla di cultura.


Un esploratore normale avrebbe lasciato perdere, ma Luigi va a bussare dalla zia Margherita: questa tanto fa con il marito Umberto, evidenziando come la conquista di una cima inesplorata nel selvaggio West sarebbe stato un ottimo modo per rilanciare l’immagine dell’Italia dopo la batosta di Adua, che il re apre i cordoni della borsa. Così nel 1897 Luigi riesce a partire a spese dello zio e del governo


I tentativi di scalata al Sant’Elia erano stati numerosi, ma i più avevano fallito non tanto sulle pareti della montagna quanto durante la marcia di avvicinamento, che doveva svolgersi attraverso numerosi  ghiacciai, senza alcuna possibilità di rifornimento per almeno due mesi. Luigi decide di preparare minuziosamente razioni, fornelli a petrolio per scaldare la neve (e non dover di trasportare acqua), attrezzature caricate su slitte e assolda portatori locali per il trasporto del materiale alle pendici della montagna. Inoltre, e qui era la differenza rispetto alle altre spedizioni precedenti, è accompagnato da

numerose guide alpine, esperte nelle ricognizioni ad alta quota e nell’affrontare i ghiacciai: ciò permette raggiungere la vetta del Sant’Elia, in un mese esatto dalla partenza ai piedi della montagna. Il  prestigio della scalata è enorme, soprattutto perché l’impresa è stata condotta in terra straniera, “soffiando” la cima ai padroni di casa.


Dato che l’appetito vien mangiando, dopo questo successo a Luigi viene in mente un nuova impresa, la conquista del Polo Nord, che mieteva vittime ad oltranza tra gli esploratori dell’epoca: Luigi rimette in piedi la vecchia banda del Sant’Elia, compra un brigantino costruito per la caccia alle foche, lo Jason, lo fa modificare e rinominare Stella Polare (Nel 1911, la nave sarà donata al Comune di Roma, per essere utilizzata come “ricreatorio ed educatorio per l’addestramento dei giovani alla vita e agli esercizi marinareschi” e in suo onore è stato chiamato così una zona di Ostia).


Poi si parte da Oslo, sino a giungere nella Baia di Teplitz il 10 Agosto 1899. Qui la Stella Polare viene fatta incagliare, per fungere da campo base della spedizione, ma sfiga vuole che si inclini modello torre di Pisa. In più Luigi ,cade insieme a due compagni, da un costone di ghiaccio; e nei tentativi di togliersi da tale situazione, gli si congelano le falangi di due dita, poi amputate. Ma essendo lui e suoi compagni testardi come muli, mettono in atto piano per realizzare l’impresa. Organizzano tre gruppi da tre persone ciascuno: il principale con viveri per novanta giorni (45 per la marcia verso il Polo e

45 per il ritorno); il secondo, con viveri per sessanta giorni, ed il primo, con viveri per trenta giorni.


Luigi , a causa dell’infortunio subito, cede il comando al suo compagno d’avventure Umberto Cagni che parte con il compagno 21 febbraio 1900, ma dopo appena due giorni è costretto a rientrare alla base per un’infernale tempesta di neve. Tenuto conto dell’esperienza , si cambiano i piani un quarto uomo è unito al primo gruppo; i tempi di marcia di ciascun gruppo sono ridotti rispettivamente a  dodici, ventiquattro e trentasei giorni.


Ciascuno dei tre gruppi è dotato di quattro slitte. Ogni slitta, trainata da sette o nove cani, porta un carico di oltre 250 chilogrammi. La suddivisione in gruppi è giustificata dal fatto che un gruppo solo non può trasportare scorte sufficienti per l’intera spedizione.


Ogni gruppo, per ripararsi dalle intemperie durante le fermate ed il riposo notturno, è fornito di una tenda da campo di seta, per difendersi dal vento e dal nevischio. Un sacco di pelle di renna col pelo all’interno, in comune per il gruppo, a tre o quattro posti a seconda del numero delle persone, serve per dormire. Ciascuno poi ha un sacco individuale di tessuto di lana sottile imbottita di piumino, entro il quale prima si infila, per entrare poi insieme ai compagni nel sacco comune di pelle di renna.


Nonostante queste precauzioni, la spedizione incontra un clima da tregenda, arrivano, con sforzi sovrumani e con una fame nera al 86° e 34’ di latitudine Nord, stabilendo il record dell’epoca. Pur non avendo raggiunto il Polo Nord, la spedizione rinnova a Luigi la fama di grande esploratore, anche se il suo rientro a Roma in settembre 1900 coincide con le cerimonie di cordoglio per la morte del re  Umberto I, ucciso il 29 luglio a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, e l’incoronazione del nuovo re, Vittorio Emanuele III.


Tra il 1902 ed il 1904 affronta, per la seconda volta, la circumnavigazione del globo a bordo dell’incrociatore Regia Nave Liguria. A Singapore incontra l’esploratore Giovanni Battista Cerruti di Varazze, altro personaggio da romanzo steampunk, facendo capolino anche nella nostra concessione di Tientsin.


Al ritorno, per vincere la noia, Luigi si impelaga in una nuova impresa: leggendo un necrologio dedicato a Henry Morton Stanley, gli salta all’occhio una sua dichiarazione


“Spero che un uomo votato al suo lavoro, un alpinista appassionato prenda in considerazione il Ruwenzori e lo studi, lo esplori da cima a fondo, attraversando le sue enormi creste e i suoi profondi canali”


E chi, meglio di Luigi, può fare questo ? Così organizza una spedizione, pronta prima ad attraversare l’Africa equatoriale nel caldo torrido e procedere poi verso la salita della montagna, tra ghiaccio e neve. Con la sua solita posse, parte senza clamore nella primavera 1906, nei giorni immediatamente successivi all’eruzione del Vesuvio. L’attraversamento delle zone equatoriali rivela difficoltà, dovute principalmente al caldo, ma grazie ad un folto gruppo di portatori ingaggiati sul posto, Luige riusce a far trasportare ai piedi delle montagne tutto il materiale necessario alla scalata. Insieme alle guide e agli altri compagni di viaggio, scala tutte le principali cime del gruppo del Ruwenzori, vette tutte al di sopra dei 4500 metri, per terminare con la montagna più alta, i 5125 metri del Monte Stanley.


Nel 1909 Luigi decide di realizzare il sogno della gioventù, la conquista delle cime del Karakorum, 400 chilometri di confine naturale tra India e Cina, con vette che oscillano tra i 7000 e gli 8000 metri. La preparazione è meticolosissima e Luigi disegna e progetta tende speciali, per la resistenza oltre i 6000 metri. Il suo sogno è di riuscire a scalare il K2, con i suoi 8611 metri la seconda montagna più alta  del mondo dopo l’Everest, ma il cattivo tempo, le continue bufere di neve e la nebbia permettono al gruppo di scalatori di raggiungere solo il largo sperone, denominato da allora Sperone Abruzzi, dove

avevano posto il terzo campo. Tuttavia, le stupefacenti fotografie di Vittorio Sella sono le prime a ritrarre in tutta la sua imponenza e bellezza il K2 e, data la loro nitidezza e precisione, hanno continuato ad essere usate in tutte le esplorazioni successive, anche e soprattutto dalla spedizione italiana del 1954, diretta da Ardito Desio, che con Lino Lacedelli e Achille Compagnoni conquista per la prima volta il K2. Nonostante la rinuncia al K2, Luigi stabilisce successivamente il nuovo record di altezza, raggiungendo i 7498 metri sul Bride Peak, o Chogolisa, pur non toccandone la cima a causa di  ininterrotte tempeste di neve.


La storia però interrompe le imprese di Luigi:promosso contrammiraglio alla fine del 1909, dirige controvoglia l’arsenale marittimo di Venezia fino allo scoppio della guerra italo-turca (29 settembre 1911),  quando è nominato ispettore delle siluranti, con la missione di vigilare il litorale albanese da Valona a Prevesa. Attività che svolge con eccessivo entusiasmo, affondando navi a destra e manca, causando  una serie di incidenti diplomatici con l’Austria Ungheria.


Nominato viceammiraglio nel maggio 1912, dopo la pace con la Turchia, per un anno ha il comando della piazza marittima della Spezia. Con lo scoppio della I guerra Mondiale, Luigi è nominato comandante dell’Armata Navale e deve affrontare problemi simili a Cadorna: le divergenze con Thaon di Ravel, i tentativi francesi di mettere bocca sulla strategia italiana, i problemi organizzativi che  portano all’affondamento di alcune navi senza neppure combattere, i politici che chiedevano grandi vittorie da dare in pasto all’opinione pubblica.


Luigi è offensivista: ha in mente di occupare territorialmente una parte della costa nemica per assicurare il sostegno del fianco destro della 3ª Armata, di creare un blocco all’imbocco del canale d’Otranto per impedire alle navi austro-ungariche di uscire dall’Adriatico, di minare le principali linee di comunicazione nemiche e cercare di assicurare il dominio nell’Alto Adriatico anche per sostenere le operazioni del Regio Esercito sull’Isonzo.


La realtà dei fatti è ben diversa: per combattere un battaglia navale, bisogna essere in due e gli austroungarici a tutto pensano, solo che ad affrontare la flotta italiana… Così, Luigi è costretto a mettere da  parte i sogni e a gestire il quotidiano. A volte commette errori clamorosi, come nella battaglia di Pelagosa, altri ottenne grandi successi, come lo sbarco a Valona e l’evacuazione dell’esercito serbo, anche se poi, all’Asinara, successe il solito casino all’italiana.


Ma avendo litigato nel 1916 con gli inglesi e con i politici, fu defenestrato. Così,ritiratosi a vita privata, si dedica al suo nuovo hobby, l’esplorazione della Somalia, con frequenti viaggi nella regione del  Benadir et dello Uebi-Scebeli, che sarà l’oggetto della sua ultima spedizione esplorativa: a partire dall’ottobre del 1928, la spedizione percorse la valle dell’Uebi-Scebeli fino alle sue sorgenti, effettuando importanti misurazioni e ridisegnando in modo corretto e dettagliato la mappa di quelle zone sconosciute.


Dopo la guerra Luigi, oltre ad avere un pessimo rapporto con Mussolini, litiga anche con il resto dei Savoia, per motivi di cuore: anni prima si era innamorato di una ricca ereditiera americana, Katherine Elkins figlia del re del carbone e dell’acciaio, il senatore statunitense Davis Elkins, ricco sfondato, ma Vittorio Emanuele III gli aveva negato sempre il permesso di sposarla. Da una parte, i Savoia volevano  appioppare Luigi a qualche granduchessa dei Romanov, dall’altra non volevano che una molto ipotetica potenziale regina d’Italia, data la probabilità molto bassa che Luigi fosse incoronato, fosse protestante.


Per risolvere il problema, si mosse addirittura Pio X: benché avesse bassa stima per Elkins, il Papa era grande sostenitore del diritto di sciopero da parte degli operai, mentre Elkins riteneva che il modo migliore per risolvere una disputa sindacale fossero le cannonate, propose di nominarlo duca, in cambio di una formale conversione al cattolicesimo. Così facendo, i Savoia non avrebbero potuto negare il  matrimonio con una nobile pontificia. Il tutto andò a monte per colpa degli Asburgo, che a causa di contorti ragionamenti sui presunti impatti della questione sul matrimonio morganatico di Francesco Ferdinando, che hanno capito solo loro, protestarono diplomaticamente con la Santa Sede.


Negli anni Venti, Luigi, stanco del tira e molla della famiglia, fa come il padre: manda tutti al diavolo. Si trasferisce in Somalia, dove fonda la SAIS, la Società Agricola Italo-Somala, e costruisce villaggio con  un’azienda agricola ben organizzata, una rete di irrigazione, dighe, stalle, magazzini e strutture di servizio. Nonostante l’atteggiamento paternalista, a differenza del re del Belgio, Luigi non sfrutta gli  africani.


Addirittura, alla faccia di Vittorio Emanuele, sposa anche una giovane principessa somala di nome Faduma Ali. Afflitto da diabete e da tumore alla prostata, Luigi Amedeo di Savoia muore il 18 marzo 1933 in Somalia, per essere sepolto sulle sponde del fiume Uebi Scebeli, rispettando la sue parole


Preferisco che intorno alla mia tomba s’intreccino le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati


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Published on November 05, 2017 11:15
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Alessio Brugnoli
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