I Dori che non invasero
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Qualche tempo fa, quando ho parlato dell’ipotesi sul fatto che i Popoli del Mare fossero una sorta di confederazione luvia, accennando al collasso interno del mondo miceneo, qualcuno mi ha espresso la sua perplessità, citando l’invasione dei Dori come causa della sua distruzione.
Come detto altre volte, io sono assai scettico su questa storia. Come Martin Bernal, la ritengo una costruzione ideologica, sia come proiezione delle tesi razziste, inconsce o consapevoli, del mondo accademico tedesco di fine Ottocento, che voleva sostituire la visione “mediterranea” della civiltà greca, con una “pseudo ariano”, dandole un’origine non levantina, ma figlia di ipotetici invasori del Nord, alti, biondi e con gli occhi azzurri.
In più, vi era anche il riproporre un modello ciclico della storia, basato sulle corrispondenze
Minoici e Greci classici (all’epoca si ignorava come a Creta si praticassero sacrifici umani e il cannibalismo rituale, cosa che sotto certi aspetti, era ricordata nel mito del Minotauro e di Teseo);
Micenei e Romani, entrambi popoli guerrieri, che prendono la civilità da vicini più evoluti;
Dori e Barbari, i nordici che distruggono un mondo in decadenza;
Medioevo ellenico e Medioevo vero e proprio, la cosiddetta età oscura, in cui si perde la cultura precedente;
I Greci classici, per chiudere il cerchio e il Rinascimento, in cui Cultura e Civiltà risorgono.
Per contestare questa costruzione ideologica, ci sono numerosi argomenti. I Micenei parlavano una forma di greco: ipotizzare che a migliaio di chilometri di distanza, nell’alto corso del Danubio, vi fossero genti della cultura dei campi di urne che parlassero una lingua molto simile, sembra poco realistico.
In più, in diverse tavolette in Lineare B vi sono forme linguistiche di origine dorica, come la desinenza verbale in onti, per prima persona plurale del futuro, differente dall’onsi del miceneo: il che farebbe pensare come se questa invasione si fosse verificata, sarebbe accaduta molto prima della crisi dell’età del bronzo e che i presunti invasori si fossero integrati completamente con la civiltà achea, invece che distruggerla.
Inoltre, se si guardano i dati archeologici, non vi è nessuna prova concreta di discontinuità della cultura materiale. Le ceramiche continuano a essere realizzate e decorate in maniera identica. Lo stesso accadere per gli oggetti in bronzo. L’incinerazione, che sarebbe la prova principe dei sostenitori dell’invasione, era praticata come rituale di sepoltura anche nel mondo miceneo.
Ciò che invece evidenziano gli scavi è il collasso di una sovrastruttura gentilizia, che costruisce la propria identità con i palazzi, le grandi tombe, la burocrazia: collasso che può avvenire anche per cause interne, piuttosto che esterne.
Le stesse tavolette di Pilo, usate che prova del fatto che i micenei temessero un’invasione, nella loro interpretazione sono viziata dal fatto che essendo un campione temporalmente ristretto, non sappiamo se quanto raccontato riguardasse un’emergenza, oppure fosse semplicemente una procedura standard, per combattere la pirateria o il contrabbando.
In fine gli storici antichi, a cominciare dallo stesso Erodoto, sono concordi nel considerare i Dori come abitanti della Grecia e non come provenienti dall’esterno: quindi, a mio avviso, è probabile che fossero una delle tante popolazioni del Commonwealth miceneo. Nulla vieta poi, che nei secoli intercorsi tra la fine dell’età del Bronzo e il protogeometrico, abbiano potuto migrare, anche in una modalità simile al ver sacrum, dalle loro sedi originali ad altre località della Grecia, il che spiegherebbe la loro dispersione geografica.
Terminati gli argomenti seri contro l’invasione dorica, passo a quelli più sciocchi: questa presunta invasione dagli storici è spesso legato al mito del ritorno degli Eraclidi, i fin troppo numerosi discendenti di Ercole, che tra l’altro, sempre secondo la tradizione greca, erano micenei, non dori.
Gli storici dell’antica Grecia, tramite un complesso e contorto conto basato sul numero delle generazioni, erano riusciti a stimare la data della presa di Troia al 1250 a.C., data che, anno più, anno meno, corrisponde con quanto datato per Wilusa.
Se consideriamo questa data come valida, il 1225 a.C. il momento in cui gli stati anatolici registrano il crollo dello stato miceneo, non coincide con le vicende degli Eraclidi, che gli storici antichi datavano intorno al 1100 d.C., ma con le vicende successive ai cosiddetti Nostoi, il ritorno a casa degli eroi omerici.
I quali, a dare retta ai miti, si trovarono davanti un caos enorme, che qualcuno domò a fatica, come Ulisse e che travolse tanti altri, come Agamennone, ucciso dalla moglie o Diomede, spedito in esilio. Il che potrebbe essere un ricordo simbolico delle guerre civili dell’epoca.
E al contrario, il mito degli Eraclidi, è forse la narrazione dei ver sacrum dorici: nulla vieta di pensare che qualche loro capo, per giustificare il suo potere, sia inventato un’ipotetica parentela con le precedenti classi dominanti…
Alessio Brugnoli's Blog

