Vecchietti
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Quando ho letto l’articolo del buon Tonelli sul Macro, in cui la nomina di Giorgio De Finis a direttore, secondo me unica scelta sensata di una politica culturale sgangherata, specchio di un’amministrazione sempre più avvitata su se stessa, veniva paventata come una nuova discesa degli Unni, sono stato tentato dargli del piccolo borghese e del provinciale. Oppure di sbattergli in faccia gli articoli in cui su Art Tribune si lodava l’esperienza del Maam.
Poi, a un certo punto, sono scoppiato a ridere.
E sì, perché io e lui, siamo due sopravvissuti, a quello strano mondo che è l’Arte degli anni Duemila. Il mondo di Exibart, in cui le signore di buona famiglia consideravano aprire improbabili gallerie un ottimo modo per impiegare il proprio tempo. In cui, come nella Cacania di Musil, bastava poco per sentirsi un genio.
Un mondo dove tutti potevano dirsi pittori, pur senza mai aver tenuto un pennello in mano, fotografi, solo per avere conosciuto, anche per sentito dire, l’esistenza di photoshop, curatori, per la grandi doti di reggere bene l’alcol, piantare senza troppi danni chiodi nei muri ed essere vanitosi, senza apparire troppo pieni di sé, critici, per sapere mettere assieme una frase con soggetto, verbo e complemento.
In cui bastava avere un portafoglio pieno per esporre e per meritarsi, a prezzo onesto, una lenzuolata su qualche free press. Un mondo, diciamola tutta, in cui ho conosciuto tanti amici, vissute tante belle esperienze e che ricordo con allegra malinconia.
Che a volte vorrei ci fosse ancora, per sentirmi più giovane, ma che è stato spazzato via dalla crisi economica. Così l’Arte, da giochino per Peter Pan annoiati, è tornata a essere una cosa drammatica e seria.
Ha ricominciato a riflettere sul Mondo, a cercare di cambiarlo, lottando contro le sue ingiustizie e contraddizioni: si è insinuata nei non luoghi, per farci riflettere sulle nostre solitudini, ha danzato in un trip cyberpunk, tra Reale e Virtuale.
De Finis è stato artefice e interprete di questa nuova stagione, creando, nella periferia di Roma, un laboratorio universale. Io, con errori e contraddizioni, ho cercato di comprenderla e viverla. Tonelli, ahimè, invece è rimasto ancorato a quel Passato.
Sotto certi aspetti, somiglia a quei pensionati che passano le giornate al bar o a guardare i cantieri, affamati della compagnia del prossimo, a cui ricordano, con insistenza, la bellezza dei tempi andati. Per questo non merita né rabbia, né dileggio, né polemica, ma solo compassione…
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Alessio Brugnoli's Blog

