Le case romane di Michelangelo

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Paolo Giovio racconta come il giovane Michelangelo, tornato da Bologna, ebbe commissionata da Lorenzo il Popolano una statua, raffigurante un Cupido Dormiente, pagata 30 ducati. Lo scultore, felicissimo, la realizzò in un batter d’occhio.


Così, il cugino di Lorenzo il Magnifico, decise di usarla per compiere una beffa ai danni del ricchissimo cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV. Fece sotterrare il Cupido per patinarlo come un reperto archeologico e con la complicità del mercante Baldassarre Del Milanese, lo appioppò come originale greco, per 200 ducati, al Riario.


Quando il buon Andrea Bregno si accorse della truffa, il cardinale andò su tutte le furie. Per riavere indietro i suoi soldi, spedì di corsa a Firenze il suo uomo di fiducia Jacopo Galli, notaio della Camera apostolica, un Uditore a capo di un settore dell’ufficio; anche gabelliere alla dogana di terra; e poi, per un anno, Conservatore, una sorta di sindaco di Roma.


Galli rimase assai sorpreso quando si accorse di come Michelangelo non solo non sapesse nulla di questa vicenda, ma come ne fosse, data la sua tirchieria, alquanto irritato, data la differenza notevole tra il suo onorario e quanto pagato dal cardinale. Da quel momento, nacque tra i due una grande amicizia.


Quando Michelangelo si trasferisce a Roma, Galli gli affitta, per un canone simbolico, una casa tra Palazzo della Cancelleria e Piazza Navona. Poi comincia a svolgere per l’artista il ruolo d’agente, firmando per lui i contratti, garantendo la bontà delle future realizzazioni e rilevando in caso di contestazioni, le sculture protestate.


Rapporto così stretto, che Galli firmerà al posto di Michelangelo il contratto per la Pietà, in cui vi è scritto


Infra un anno la farà; sarà la più bella opera di marmo che sia oggi in Roma; maestro nissuno la faria melior oggi; et versa vice prometto al dicto Michel che lo reverendissimo cardinal farà lo pagamento secundo che di sopra è scripto


Nel 1513, però Michelangelo trasloca in una casa messa a disposizione dagli eredi di Giulio II, affinché, si possa dedicare a quello che è una sorta di incubo che lo perseguiterà per tutta la vita: la tomba di tale Papa.


La casa , situata in una zona popolare della città, allora chiamata Macel de’ Corvi, una sorta di Esquilino dell’epoca, con problemi e lamentele simili alle nostre è modesta: comprende due camere da letto, la bottega al pianterreno, un tinello e la cantina. C’ è anche una loggia, la stalla e l’ orto. A capo della scala l’artista vi ha disegnato uno scheletro, con questa scritta:


”Io dico a voi, c’al mondo avete dato / l’anima e ‘l corpo e lo spirito insieme: / in questa cassa oscura è ‘l vostro lato.”


Secondo quanto scrive Michelangelo vi è vissuto


povero e solo come spirto legato in un’ ampolla,


rinchiuso nelle stanze


come la midolla da la sua scorza


La zona circostante è puzzolente, come la nostra via Principe Amedeo perché la gente che lavora nei dintorni la usa come discarica, buttandoci carogne di gatti e di altri animali, e come latrina


Eppure in quella casa, nonostante tutti questi piagnistei, vi si trova bene, assieme a una sorta di strampalata e bizzarra famiglia, lontano dai veri parenti, che considera un’orda di parassiti, sempre pronti a estorcergli denaro.


La sua quotidianità e il suo affetto li concede solo al suo garzone, Francesco di Bernardino detto Urbino – che non ha nessun talento artistico, ma che per Michelangelo è come un figlio, tenendo a bada una a sgangherata ridda di serve – fra cui la figlia di un pizzicarolo, che fu rapita dal fratello sotto gli occhi dell’ attonito Michelangelo ottantenne. Tutte queste donne del popolo, giovani e di costumi disinvolti, sono sopportate a malapena dal misogino padrone di casa, che spesso le scaccia dopo poche settimane, maledicendo il giorno in cui le aveva assunte. Alla fine, solo una certa Caterina, più testarda di lui, riesce a tenergli testa, facendogli compagnia sino ai suoi ultimi giorni.


Nel febbraio del 1564, l’ artista novantenne è sorpreso dal discepolo Tiberio Calcagni mentre si aggira sotto la pioggia. Confusamente, farfugliando, dice di stare male, e che non trova quiete in nessun luogo, e Calcagni lo riporta a casa. L’ ultima malattia è breve. Michelangelo trascorre tre giorni febbricitante accanto al camino,e tre giorni a letto. Tommaso Cavalieri, ormai invecchiato padre di famiglia, ma sempre devoto al geniale maestro che l’ aveva amato, l’ allievo Daniele da Volterra, che diventerà in futuro il famigerato Braghettone, Diomede Leoni e il servo Antonio gli leggono la Passione di Cristo.


Poche ore dopo, nelle stanze di Macel de’ Corvi entra il notaio e compila l’ inventario dei beni del defunto. Michelangelo, che aveva acquistato innumerevoli proprietà immobiliari per elevare lo status sociale dei suoi parenti, possiede solo vestiti frusti e fazzoletti logori, una lettiera di ferro, tre materassi, due coperte di lana e una di pelle d’ agnello, vasi di rame ammaccati. Nessun mobile di pregio, nessuna stoffa preziosa; né suppellettili dorate, specchi o quadri arredano le stanze spoglie. Vi sono però sacchetti pieni di monete d’ oro, ricchezze che da grande avaro che è, ha voluto ossessivamente, ma che non ha mai speso né goduto. E di tutte le opere che aveva sognato e mai finito lascia ben poco: qualche disegno, due o tre cartoni, tre marmi abbozzati, tra cui tra cui la cosiddetta Pietà di Palestrina, destinata a Santa Maria Maggiore (oggi conservata nella Galleria dell’Accademia di Firenze) sotto la quale, secondo il Vasari, Michelangelo avrebbe voluto la sua sepoltura.


Dopo secoli, la casa torna a far parlare di sé, alla fine dell’Ottocento, in occasione del primo Piano Regolatore di Roma del 1873. che ne prevede l’abbattimento, assieme a tutto l’isolato. Nel 1881 l’intenzione si traduce in realtà, per costruire l’Altare della Patria.


A causa delle proteste di artisti di tutto il mondo, la casa di Michelangelo, o meglio la sua facciata, inizialmente è trasferita vicino al Palazzo Valentini di Piazza Venezia, e precisamente al civico n° 212 di Via dei Fornari, come ricorda un’epigrafe affissa, dove rimane fino al 1902. In quell’anno, per la costruzione del Palazzo delle Assicurazioni Generali, è trasferita in Via delle Tre Pile, sul lato destro della scalinata del Campidoglio, ma durante il periodo fascista, in cui ritorna la mania del piccone risanatore, la si sposta di nuovo


La definitiva collocazione si deve ad opera dell’ingegnere Adolfo Pernier (Roma 1874-1937), direttore dei lavori di urbanistica, che individua nel Gianicolo il luogo più idoneo, più precisamente nel tratto della Passeggiata che va dal Monumento di Garibaldi a Porta San Pancrazio. Sul prospetto appaiono due epigrafi che spiegano, una, che si tratta del “Serbatoio Gianicolense” l’altra, che si tratta della “cosiddetta Casa di Michelangelo”… E speriamo che finalmente abbia pace.


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Published on October 12, 2017 12:58
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Alessio Brugnoli
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