Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (sesta puntata)

Osservavo Austėja. Ora si era distesa sul letto, aveva le mestruazioni e leggeva Žmonės. La sua casa era piena di libri. Alla parete stava appeso un piccolo quadro in cui era scritto: neturi aukoti savo gyvenimo kitiems “non devi sacrificare la tua vita per gli altri”
Amava leggere. Forse a differenza di me amava cose più leggere.
In generale preferiva non pensare. Il suo modo di sentire era profondo e la spingeva spesso a voler soffrire. Soffrire le procurava piacere.
- Ma perché vuoi finire Po Toskanos saule di Frances Mayes se ti annoia?
- I libri li devo finire anche se non mi piacciono. Li ho sempre finiti tutti
- Ma se un libro annoia per me è inutile continuare…non ti dà emozioni, non ti motiva…
- Forse sono un po’ masochista – e sorrise – ho lo stomaco gonfio – aggiunse
- Perché?
- Lo šaltibarščiai, le mestruazioni…
- Sì? E perché lo mangi allora? soprattutto quando hai le mestruazioni…
- Mi piace, devo mangiarlo anche se ho le mestruazioni
Mi sentivo in esilio a Vilnius?
No, non sentivo un particolare legame con l’Italia e trasferirmi a Vilnius non lo sentivo un atto sleale verso la terra che mi aveva formato. Avevo più subìto che imparato in quella terra. Quello che avevo imparato era sempre stato al di fuori dei confini.
Le mie donne erano state per lo più straniere. I libri letti erano al novanta per cento in lingua straniera. Che mi legava all’Italia ancora? Il caffè forse. La colazione la mattina alle cinque alla mia pasticceria.
Nulla di più credo.
Per anni, vivendo in Italia, mi ero professato italiano ma avevo interiormente agito come non lo fossi. Accanto a Austėja cercavo finalmente di far coincidere l’interno e l’esterno. E stranamente solo ora mi rendevo conto della scissione schizofrenica con cui avevo convissuto per più di metà secolo.
Forse era per questo motivo che non mi capiva Austėja. Lei pensava all’Italia come al paese della felicità. Usava l’Italia per fuggire alle incomprensioni del suo paese, alla duplicità della gente e a una cultura che tradiva il passato sovietico anche nelle Lituania ora indipendente, come sosteneva lo storico lituano Nerijus Šepetys: “Pertanto quando si parla del lascito sovietico che permane, è valido tuttora anche per noi. Siamo nati in questa terra, cresciuti, andati a scuola all'asilo da bambini. Son cose che regolano i nostri modi di comunicare, di rapportarsi l'uno all'altro, di pensare dell'uno rispetto all'altro, e finalmente della vita interna in relazione all'esterna. Queste cose valgono anche per le generazioni più giovani. Non credo che gli storici che hanno rotto il ghiaccio abbiano anche cancellato la memoria e le tradizioni della Lituania sovietica”.
Austėja parlava di un’Italia che non conosceva bene, lo vedeva come il paese dell’Eldorado ma non lo era.
- Mi sento persa. Non vedo niente positivo in questa realtà (lituana). Solo devi vivere e fare le cose. Sembra come una prigione – la Lituania non chiedeva a Austėja adesione ma sottomissione alla sua ottica
In Lituania se vi è una libertà non è pubblica ma interiore.
Il chiudersi in se stessi e resistere a una realtà opprimente è una concezione ben radicata nella cultura
“In epoca sovietica la resistenza intellettuale era percepita come resistenza interiore, un’oasi interiore di libertà, che veniva protetta e curata” (Nerijus Šepetys).
Austėja teneva la testa bassa ma aveva gli occhi fieri. Se cercava di parlare umilmente capivi invece la sua forza interiore. Quella forza, quell’oasi interiore poteva eclissarsi per un giorno, per una settimana, ma poi ritornava e non moriva mai.
Eppure soffriva. Lo capivi dalla fierezza dei suoi occhi il dolore interiore di Austėja.
Solo nel periodo delle mestruazioni gli occhi di Austėja divenivano stanchi e persi, era troppa la sofferenza del corpo che anche l’oasi di libertà interiore ne moriva.
Aveva mestruazioni dolorose e violente. Spesso un umore nero e illogico le anticipava con segnali inequivocabili anche di una settimana.
In quei momenti ogni rapportarsi a lei secondo ragione era destinato a fallire. Si poteva solo aspettare che le mestruazioni venissero e con il sangue se ne andasse anche quella bile nera che si era impadronita di Austėja.
In quel momento amarla diventava più un artifizio che un impeto e una passione. Una ricerca costante di equilibri e posizioni da prendere e da cedere secondo l’opportunità.
Dovevo parlare una sorta di ezopine kalba. Parlare in un modo all’esterno contenendo un altro intento all’interno.
Io ero costretto ad usare l’ezopine kalba, non lei. Dovevo usare un linguaggio emotivo e privo di contenuti forti che potesse essere tollerato ed adeguato alla sua situazione presente.
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Published on September 03, 2017 13:04
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