Isole di felicità (Laimes salos) - sesta parte

Telefas arba telefonas?
Negli anni che era bambina e frequentava la scuola media , l’avevano risvegliata queste parole
Laužo šviesa naktyje
Guodžia gaivina mane
Nerimas stingsta veide
Kas ten toli tamsoje?
Luce di un falò nella notte
Mi conforta mi rinfresca
L’angoscia mi gela il volto
Che c’è lontano nel buio?
Anche lei si svegliò, mentre si svegliava tutta la Lituania, si svegliò alle parole dei Fojė, cantate da Andrius Mamontovas.
Era un fuoco che non si sarebbe più fermato. Sarebbe rimasto acceso tutta la vita.
Laužas ilgai dar liepsnos
Kas man jo šviesą atstos
Net visagalė naktis
Laužo užpūst neišdrįs[1]
Il fuoco durerà a lungo
Che mi lascerà la sua luce?
Persino la notte potente
Non oserà spengere quel fuoco
Le aveva rotto il buio della sua infelicità, nata dopo il suicidio del padre. Un buio difficile da dissipare. Un buio ostinato che non voleva lasciarla.
Le parole dei Fojė furono la luce.
La musica era tetra e le note punteggiavano il tetro buio di quella notte come stelle della via lattea. Il tono della voce di Andrius profetico. Come un profeta che parlasse alla luna.
Così le era apparsa la visione di quella canzone. Così era stata rapita da quella canzone. Così era divenuta un fan dei Fojė, che avrebbe seguito tutta la vita.
Forse ora Andrius era divenuto più un uomo di marketing che un cantante. Le sue canzoni non la ispiravano più come in passato ma il passato era sempre con lei e non cessava di esistere.
Quel falò che si era acceso nel 1992 continuava a brillare dentro di lei.
Era quel falò che cercava di trasmettere ogni giorno in tutto ciò che faceva, anche a Rebeka e Goda che sembravano non percepirlo ma lei era sicura che un giorno l’avrebbero visto anche loro. I figli ripetono i padri. In lei il buio impiantato dal padre suicida non si era mai più dileguato. Era rimasto permanente. Forse talora obliato, trascurato ma sempre presente. Lei voleva che Rebeka e Goda non vivessero tutta la vita avvolte da quel buio. Lei voleva la luce per loro. Non il buio.
Quando lavorava al ministero era ripiombata nel buio. Il fuoco del falò sembrava si fosse spento e la notte potente avesse di nuovo vinto.
Un lavoro noioso. Riempire fogli di parole che dovevano giustificare decisioni che parevano senza senso, catalogazioni, riunioni, traduzioni…undici anni di nulla. Fino al giorno che il falò dei Fojė si accese improvviso e quasi illogico.
Doveva cambiare lavoro. Quello al ministero la uccideva. Il falò non voleva morire. Voleva vivere. Se fosse rimasta lì avrebbe fatto la fine di suo padre.
Immaginò la contrarietà della madre alla sua decisione. Ma lei avrebbe lasciato il ministero.
Per la madre avere la figlia che lavorava al ministero era motivo di orgoglio. Sua madre era della generazione che si ostinava ancora a vivere nel passato. La Lituania stava cambiando, era cambiata e non era più quella che sua madre continuava a vedere.
Tanti emigrati che ritornavano in visita spesso non riconoscevano più Vilnius: è un’altra città, non è quella che io ho lasciato. Più bella, più moderna.
L’aveva sentito dire a tanti.
Non aveva lavoro ma decise ugualmente di licenziarsi.
Jonas, un collega, le disse di prendere contatto con una ditta che vendeva legno, in Steponovo gatvė. Una ragazza che lavorava lì se n’era andata e ora cercavano qualcuno per sostituirla.
Ebbe un colloquio con la proprietaria dell’azienda in un caffè del centro nell’ora di pausa pranzo. Il colloquio andò bene. Si licenziò e si buttò a corpo morto nel nuovo lavoro sperando che la confermassero alla fine del periodo di prova. Lavorò anche undici ore al giorno, ma la confermarono.
La madre si rivoltò e non le parlò più fino al giorno (un anno dopo) che il dipartimento al ministero dove lei aveva lavorato fu improvvisamente chiuso e tutti furono mandati a casa.
Le parlò di nuovo allora la madre ma non ammise il suo errore di valutazione. Non chiese scusa.
Con una madre così il suicidio di suo padre le parve meno assurdo.
- Oh my god!
- Perché dici “Oh my god!”?
- Non lo so mamyte, a scuola lo dicono tutti
- Dicono anche telefas invece di telefonas?Si era accorta che lei diceva ancora “O Dievine” e a giro per le strade di Vilnius sentiva dovunque i ragazzi giovani dire “Oh my god !”. Preferivano l’inglese al lituano.
Come Goda.
- Kur mano telefas?[2]
- Telefonas Goda
- Ne, telefas mamyte[3]
Goda non era oppressa dal senso di sunkumas, pesantezza, che caratterizzava le generazioni come quelle di sua madre e che in parte aveva gravato anche sulla sua generazione.
Se diceva a Goda di pulire la camera che era un casino bestiale, lei rispondeva naturalmente
- Tuoj[4]
Ma era un tuoj che non arrivava mai.
Si mise a ridere a questo pensiero. Pensava al suo rytoj[5] ogni volta che doveva prendere una decisione. Ogni volta alle decisioni che non le piacevano rispondeva sempre rytoj.
Criticava Goda ma in fondo lei assomigliava a Goda o Goda a lei. Solo che una era più figlia della Lituania moderna e l’altra meno perché aveva vissuto il passaggio dal regime sovietico a quello dello stato indipendente
[1] Laužo šviesa canzone del 1992 dei Fojė
[2] Dov’è il mio telefono?
[3] No, telefas mamma
[4] Subito
[5] Domani
COMPRA su Amazon: Rugìle Il sorriso della meretrice Amore šaltibarščiai e pomodori rossi Cecilia Seguici su Facebook
Published on August 24, 2017 01:02
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