Isole di felicità (Laimės Salos)


When doors are closed, you climb through the window, if the window is closed – you break it, if there is no window – you climb in through the chimney. There is always a way


Scattò la foto in autobus mentre tornavano da Akropolis.
Erano state al cinema. Avevano visto Ponas Kūdikis, Boss baby. Durante il film aveva dormito.
Era tutta infreddolita. Al cinema l’aria condizionata era troppo forte. Aveva avuto freddo, ma aveva dormito.
Sorridevano nella foto Rebeka e Goda. Erano felici. Anche lei era felice. Le avvolgeva una bella giornata di sole che dilagava del vetro del finestrino a cui voltavano di lato i volti.
Giovedì era stato il compleanno di Rebeka.
Non aveva fatto una festa ma aveva promesso che le avrebbe portate tutt’e due al cinema la domenica.
Era finalmente caldo a Vilnius, dopo un interminabile inverno.
Neve anche a maggio. Una primavera incredibile. Neve, pioggia, pioggia, neve…e freddo.
Ma ora era caldo, ventisei gradi. In autobus faceva ancora più caldo. Forse facevano trenta gradi.
Erano belle le sue figlie, sorridevano all’obbiettivo. Rebeka un po’ ruffiana, Goda con la sua aria ingenua.
Spesso litigava con loro, ma non quel giorno. Quel giorno il sole le aveva riempite di felicità. Madre e figlie quel giorno erano protette di felicità.
La vita procede per algoritmi. Una continua sequenza di operazioni, anche elementari, che conducono a un determinato risultato in un tempo finito.
Quello che aveva fatto oggi, era il risultato di un algoritmo. Si era sintonizzata sui desideri delle figlie e aveva intuito il desiderio finale: uscire di casa (passavano molte ore chiuse in casa) e andare al cinema.
Era intuitiva Rūta, come un algoritmo sapeva elaborare proposizioni semplici, chiare e non ambigue. Lei era “bianco “ o era “nero”.
I suoi pensieri intuitivi si scomponevano in
° elementari e non ulteriormente scomponibili
° avevano un’interpretazione diretta e univoca
° erano composti da un numero finito di passi e da una quantità finita di dati analizzati
° il giudizio avveniva entro una quantità minima di tempo di esecuzione
° l’esecuzione portava a un risultato univoco

Si era accorta che anche Goda aveva il dono di direzionalità e univocità di pensiero.

- Devi mettere lo smalto blu sulle unghie
- Ma perché?
- Hai tutti vestiti scuri e le unghie sempre rosse. Ti ho preso questo smalto perché devi cambiare
- Pensi davvero così?
- Si, mamyte

Sua figlia le ricordava sua nonna che era andata a New York nel 1936 seguendo il marito, che era divenuto ambasciatore della Lituania indipendente prima che l’Unione Sovietica la occupasse. Anche la sua nonna era dotata di questa singolare unidirezionalità di pensieri.
La sua unidirezionalità di pensieri era consistita di ricordi. Ricordi della Lituania, che a New York le mancava e da cui non sapeva distaccarsi. Tutte le notti piangeva per la Lituania. Non amava l’America. Era lituanocentrica, e lo era stata per tutta la vita.
Aveva insegnato piano a Kaunas e quando seguì il marito a New York dovette rinunciare ai sogni della sua vita: la musica, il piano, insegnare.
Suo nonno era divenuto Console Generale di uno stato che aveva cessato di esistere quarantasei anni prima.
Per quasi cinquanta anni, per quasi tutta la Guerra Fredda, aveva ostinatamente mantenuto aperto a New York un consolato lituano che non aveva più diritto all’esistenza, in un angusto appartamento nell’Upper West Side di Manhattan. Ogni giorno si recava al Consolato per il suo tarnyba, servizio, in treno e in metropolitana.
In tutti quegli anni aveva spesso presenziato a The voice of America and Radio Free Europe, manifestando il suo feroce dissenso antisovietico.
Suo nonno cresciuto nel villaggio di Židikai vicino al confine con la Lettonia, non aveva amato, anche lui, New York. 
- Le strade di Kaunas sono più pulite di quelle di New York che sono intasate di sporcizia

Aveva una foto color seppia di loro due. Una foto delle loro nozze. Suo nonno indossa un tuxedo con una papillon bianco su camicia bianca. Aveva i capelli impomatati e pettinati all’indietro com’era nella moda di quegli anni.
Sua nonna sorrideva con sorriso innocente. Aveva i capelli ricci coperti dal velo da sposa. In mano un bouquet di fiori bianchi, così grande che occupava tre quarti della foto. I suoi occhi brillavano.
Quella foto la incantava. Le faceva sognare quegli anni. La estraniava dal presente, dal fatto che Goda fosse affetta dal vizio di rubare nei negozi, che in quei giorni era il suo più grosso cruccio. Mentre era al lavoro l’avevano chiamata da un negozio dove la sorveglianza aveva sorpreso Goda mentre rubava. Era dovuta andare al negozio e vedere la registrazione. Vedere sua figlia mentre rubava. Era rimasta senza parole nel vedere con quanta calma aveva fatto tutto. E nemmeno si era turbata quando la guardia l’aveva avvicinata e fermata.
Né aveva pianto né aveva avuto paura. Nel video si vedeva bene, pareva quasi un fatto naturale essere fermata da una guardia della vigilanza e interrogata.
Ma perché lo faceva?
Perché rubava?
- Perché rubi? Che ti manca?
- Non lo so – era stata la sua risposta
E forse era vero. Forse veramente nemmeno lo sapeva. Ma perché era così? La separazione? Il fatto che lei lavorasse troppo, fino alle otto di sera e arrivasse a casa alle ventuno? Che doveva preparare la cena, era stanca e non ce la faceva a giocare con loro?
- Vorrei di più te, mamyte
- Ma come faremo, se io non lavoro? Se lavoro posso fare tante cose per voi. Comprarvi i vestiti, le scarpe, il cibo, mandarvi a scuola, alle gite…
Ma quel giorno su quell’autobus tutto era perfetto. Tutto era bello. Era un’isola di felicità.
La sua nonostante tutto, e nel bene o nel male, era una famiglia.
Era separata, ma era una famiglia. Aveva due figlie. Una madre e due figlie non fanno una famiglia? Era felice con loro, aveva scelto loro.
In certi momenti era difficile. Pochi soldi, le figlie non ubbidivano, Goda rubava…eppure non sarebbe mai voluta ritornare indietro.

Una volta in Lituania era male vivere senza un marito e le figlie senza un padre, ma i tempi erano cambiati ora.
Forse solo nelle piccole città di provincia era viva questa mentalità, non a Vilnius però.
Aveva messo al mondo loro, che sarebbero sopravvissute a lei. Erano la sua opera d’arte, il suo capolavoro. La testimonianza viva della sua esistenza, quando lei non ci sarebbe stata più in questo mondo, in questa Lituania che l’aveva partorita e era finora stato il suo unico universo.
Non era una terra di grandi cambiamenti il suo paese, da dopo l’indipendenza poco era accaduto. La gente emigrava, certo per i soldi, ma forse anche perché tutti emigrano e non si cercano soluzioni alternative per rimanere?
Grandi cambiamenti nel suo paese non ne vedeva e se vi erano stati non se n’era accorta.
Solo quella domenica le pareva il più grande cambiamento della sua vita: aveva scoperto che esistono isole di felicità in un paese dove nessuno sorride, o pochi sorridono.
Andrius Mamontovas diceva che è un piacere cantare le canzoni che la gente già conosce perché non vi è lo stress che provi quando ne testi di nuove.
Forse era così che in Lituania vi è più piacere nel non cambiare che nel cambiare. Nessuno vuole stress. C’è anche la paura di sbagliare, in Lituania non appena sbagli subito sei condannato senza appello.
Ma si condannano solo le persone semplici, non quelle importanti che guidano il paese e nonostante un passato ambiguo stanno ai vertici.
Dalia Grybauskaite, la presidente della Lituania, si vociferava da tempo che avesse lavorato per il KGB, che avesse frequentato dei corsi del Kgb a Leningrado. Ed erano voci insistenti e forse fondate. Eppure nonostante si concesso l’apertura di file sul passato comunista di altri politici mai si era risposto alle domande sul passato comunista della Presidente.
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Published on July 14, 2017 00:49
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