Il popolo chiede…


"Ma allora sei una grillina anche tu!" Un mio (giovane) amico mi ha preso in giro così, ieri, quando gli ho detto che i partiti – nella grande giornata di ieri – andavano messi da parte. Non che non abbiano contato. Hanno, semmai, contato in un modo che non è stato visibile sui vecchi e sui nuovi media. Nel lavoro nei piccoli paesi, come quello – siciliano – in cui mi trovo, in cui il PD, erede di una vecchia e continua storia per le strade di Sambuca di Sicilia, è stato l'unica struttura che ha organizzato una manifestazione per parlare dei quesiti referendari. L'unica a fornire ai cittadini informazioni, grazie alla presenza di tecnici che potessero spiegare acqua e nucleare. E per la prima volta dopo tanti anni, la piazza si era riempita, segnalando che qualcosa – anche qui – stava cambiando.


Risultato. Il 72 per cento di questo paese siciliano (seimila abitanti) è andato a votare, compresi i vecchi vestiti con l'abito della festa, i vecchi ormai molto malati che non escono mai. E il 99% ha votato sì. La maggioranza del paese, la stragrande maggioranza del paese, e non solo la quasi totalità del paese, ha detto sì all'acqua pubblica e all'energia finalmente pulita. Ha anche detto sì alla politica nuova. Ed è su questo che bisogna ragionare, senza tema di essere accusata di antipolitica.


Lungi da me, l'antipolitica. Un'allieva di Paolo Spriano (e anche un po' di Alberto Asor Rosa) non può esserlo, per formazione. Ma proprio perché in quella formazione mi riconosco, oggi ancor più di ieri, ho imparato a farmi travolgere dalla realtà, come quando si nuota e non si può lottare contro il movimento delle onde. Semmai comprenderlo e assecondarlo, sfruttarlo. La realtà dice moltissimo. E soprattutto lo dice ai partiti. Dice che il popolo non è né plebe né popolo bue, come si diceva un tempo in maniera offensiva. Dice che il popolo non è solo insofferente, il popolo chiede e pretende. As-shab yurid… ricordate?


Ugo Mattei, uno di coloro che ha elaborato i quesiti sull'acqua (dunque sui beni comuni che devono ritornare tali), ha parlato stamani a Radio3 di "epifania italiana di un fenomeno globale". Perfetta definizione. Io – da mediorientale ormai nell'anima – lo declino a mio modo, e dico che Piazza Tahrir è arrivata in Italia. Sul web, certo. Attraverso l'uso dell'agorà virtuale perché l'agorà catodica pubblica è stata sprangata dall'uso che i partiti ne hanno fatto. Attraverso il tam tam di twitter, per esempio, che  ha usato i metodi sperimentati in tutto il mondo arabo. Ma anche attraverso quello che gli stessi ragazzi di Tahrir hanno sottolineato sempre, in questi mesi: twitter, facebook, i blog funzionano  se c'è anche la piazza, la partecipazione. Altrimenti sono vox clamans.


Ci sarà tempo per mettere insieme tutto ciò che è passato attraverso l'agorà virtuale. Dalle citazioni dei miei tempi (Libertà è partecipazione del vecchio, mai troppo rimpianto Gaber) a quelle mutuate dalle rivoluzioni arabe (ieri su twitter girava uno splendido Uninstalling Silvio…57% done). Il filo rosso è  la ribellione di un popolo che non ce la faceva più a essere costretto nelle gabbie delle manovre di una oligarchia politica autoreferenziale. Totalmente autoreferenziale. Tanto autoreferenziale da non essersi accorta di quello che stava succedendo.


Cito ancora egiziani, oggi, perché hanno letto della loro società quello che noi abbiamo stentato a leggere. Per lo stesso, medesimo senso di frustrazione. Il mio amico Alaa al Aswany dice spesso che il popolo (anche i larghi settori analfabeti o poco istruiti) ha un intuito politico che gli intellettuali non è detto che abbiano. E che gli intellettuali debbono ascoltarlo, questo istinto politico. Dovrebbe farlo anche l'oligarchia politica che una assurda legge elettorale ha autoalimentato, rendendola impermeabile al rapporto con i  cittadini.


E' finito questo tempo. Il voto del 12 e del 13 giugno (e a proposito, ho votato anch'io, da italiana all'estero, e al voto da italiana all'estero ci tengo molto…) ha detto che i cittadini, il popolo, pretendono dalla politica che risponda dei suoi atti pubblici. I partiti (che io considero una fondamentale organizzazione non solo e non tanto del consenso, ma delle richieste e delle riflessioni dei cittadini) possono avere spazio da oggi in poi solo se riflettono su questa precisa indicazione da parte del popolo. Una indicazione che non si può né scippare né sottovalutare. Solo comprendere. E da lì ripartire. Ripartire dal popolo.

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Published on June 14, 2011 09:28
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