Mia Another's Blog, page 2
January 22, 2015
A Devil in Paris - Devil's Coiffeur
I capelli di Castiel allungavano a vista d'occhio. Ogni giorno erano più sani, lucenti e vitali che mai, e iniziarono presto a infastidirlo. Gli cadevano sul volto quando mangiava, quando leggeva, quando mi baciava, ma soprattutto quando facevamo l'amore. In quei momenti, lui pretendeva che tutto fosse perfetto, così, una notte, gli legai le ciocche più lunghe sulla nuca con uno dei miei elastici. Il codino gli stava davvero benissimo, e gli piacque, tanto che decise di tenerlo fino al giorno in cui finalmente ebbe il tempo di andare dal parrucchiere.
Io andai insieme a lui, naturalmente. Era un salone di bellezza enorme, con grandi vetrate che davano su un viale trafficato e alla moda. Appena entrati, mi affidò alle sapienti mani di uno dei coiffeur, parlandogli strettamente in francese per proibirgli in modo assoluto di manomettere i miei boccoli. Lui non voleva che li tagliassi. Ogni volta li rigirava tra le proprie dita, quasi fossero di sua proprietà.Il parrucchiere che si occupò di me, quindi, si limitò a farmi un trattamento lungo e tedioso, stendendo prodotti oleosi ciocca per ciocca con pettine e pennello.Lo specchio davanti a me mi ritraeva così da vicino che mi sentivo ridicola, ma mi permetteva di sbirciare nella direzione di Castiel, finché non lo vidi sparire in un corridoio.Lo persi di vista subito dopo, ma se avessi voluto trovarlo, mi sarebbe bastato seguire i risolini delle ragazze nel salone, e i loro sguardi civettuoli.Prima che potessi vederlo, passò quasi un'ora. I miei capelli non erano molto diversi, ma quelli di Castiel mi sorpresero. Sulla nuca aveva un codino sottile, simile a quello che gli avevo fatto io qualche giorno prima.Gli chiesi perché avesse voluto tenerlo e la sua risposta mi lasciò senza parole."Perché mi piace come tocchi i miei capelli."Lo osservai attentamente. Le ciocche ribelli, nere come la notte, domate intorno al suo volto, sulla sua fronte, minacciavano di scomporsi da un momento all'altro, e sulla spalla, brillante, poggiato sul cardigan di un tessuto morbido e chiaro, quel codino sembrava parlare di me, anzi, di noi, delle nostre nottate insonni, delle fughe negli hotel più sperduti della città quando, esausto dalle persone che continuavano a cercarlo, mi portava dove non potessero trovarci.Lo sfiorai con le dita e sorrisi."Hai voluto tenerlo solo per questo?""Sì." mi rispose distogliendo lo sguardo. "E non ho intenzione di farlo toccare a nessun altro. Questo sarà un... simbolo. Qualcosa che appartiene solo a te."
Mantenne la parola. Ogni mattina, prima che uscisse, osservavo attentamente i suoi capelli, e quando tornava, mi accorgevo che erano rimasti intatti. Non ha mai permesso a nessuna donna di passare le dita tra i suoi capelli come facevo io.
Quella sera stessa, a letto, non riuscivo a smettere di baciarlo. Tenevo una mano sulla sua spalla, e l'altra sulla sua nuca, sentivo scorrere le sue ciocche fini e morbide tra le mie dita, e il suo corpo contro il mio. Scesi dalle sue labbra a baciargli il collo, il petto, annegando nel suo profumo, estasiata per ogni volta che ansimava. Però sapevo che non avrebbe sopportato a lungo quel contatto.
A un certo punto allontanò la mia testa e mi fermò.
"Emily, piano... piano. Che cos'hai stasera?"
"Non lo so."
Rise, mi allontanò di più, ed io lottai contro le sue braccia per avvicinarmi di nuovo.
"Invece lo sai, ma ti imbarazza dirlo."
"Ti voglio." mi sfuggì involontariamente. Non glielo avevo mai detto. Certo, lo avevo pensato molte volte, forse lo pensavo ogni volta che lo guardavo, ma non avevo mai avuto il coraggio di dare voce ai miei pensieri.
"D'accordo." Mi rispose, e si sciolse i capelli.
Tenne l'elastico tra le dita, mi unì i polsi dietro la testa, e lo usò per bloccarmi le mani. Istintivamente, mi morsi il labbro inferiore.
"Però, adesso devi calmarti." mi intimò a voce bassa, "Ti darò tutto quello che vuoi, ma questo è il mio gioco."
Era il suo gioco, e decideva lui le regole. Non avevo mai avuto nulla in contrario. Controllava ogni cosa con la maestria di un direttore d'orchestra. Il mio piacere, il suo, i miei orgasmi, la mia voce, ma non il suo istinto. Quello era degno di un diavolo.
Io andai insieme a lui, naturalmente. Era un salone di bellezza enorme, con grandi vetrate che davano su un viale trafficato e alla moda. Appena entrati, mi affidò alle sapienti mani di uno dei coiffeur, parlandogli strettamente in francese per proibirgli in modo assoluto di manomettere i miei boccoli. Lui non voleva che li tagliassi. Ogni volta li rigirava tra le proprie dita, quasi fossero di sua proprietà.Il parrucchiere che si occupò di me, quindi, si limitò a farmi un trattamento lungo e tedioso, stendendo prodotti oleosi ciocca per ciocca con pettine e pennello.Lo specchio davanti a me mi ritraeva così da vicino che mi sentivo ridicola, ma mi permetteva di sbirciare nella direzione di Castiel, finché non lo vidi sparire in un corridoio.Lo persi di vista subito dopo, ma se avessi voluto trovarlo, mi sarebbe bastato seguire i risolini delle ragazze nel salone, e i loro sguardi civettuoli.Prima che potessi vederlo, passò quasi un'ora. I miei capelli non erano molto diversi, ma quelli di Castiel mi sorpresero. Sulla nuca aveva un codino sottile, simile a quello che gli avevo fatto io qualche giorno prima.Gli chiesi perché avesse voluto tenerlo e la sua risposta mi lasciò senza parole."Perché mi piace come tocchi i miei capelli."Lo osservai attentamente. Le ciocche ribelli, nere come la notte, domate intorno al suo volto, sulla sua fronte, minacciavano di scomporsi da un momento all'altro, e sulla spalla, brillante, poggiato sul cardigan di un tessuto morbido e chiaro, quel codino sembrava parlare di me, anzi, di noi, delle nostre nottate insonni, delle fughe negli hotel più sperduti della città quando, esausto dalle persone che continuavano a cercarlo, mi portava dove non potessero trovarci.Lo sfiorai con le dita e sorrisi."Hai voluto tenerlo solo per questo?""Sì." mi rispose distogliendo lo sguardo. "E non ho intenzione di farlo toccare a nessun altro. Questo sarà un... simbolo. Qualcosa che appartiene solo a te."
Mantenne la parola. Ogni mattina, prima che uscisse, osservavo attentamente i suoi capelli, e quando tornava, mi accorgevo che erano rimasti intatti. Non ha mai permesso a nessuna donna di passare le dita tra i suoi capelli come facevo io.
Quella sera stessa, a letto, non riuscivo a smettere di baciarlo. Tenevo una mano sulla sua spalla, e l'altra sulla sua nuca, sentivo scorrere le sue ciocche fini e morbide tra le mie dita, e il suo corpo contro il mio. Scesi dalle sue labbra a baciargli il collo, il petto, annegando nel suo profumo, estasiata per ogni volta che ansimava. Però sapevo che non avrebbe sopportato a lungo quel contatto.
A un certo punto allontanò la mia testa e mi fermò.
"Emily, piano... piano. Che cos'hai stasera?"
"Non lo so."
Rise, mi allontanò di più, ed io lottai contro le sue braccia per avvicinarmi di nuovo.
"Invece lo sai, ma ti imbarazza dirlo."
"Ti voglio." mi sfuggì involontariamente. Non glielo avevo mai detto. Certo, lo avevo pensato molte volte, forse lo pensavo ogni volta che lo guardavo, ma non avevo mai avuto il coraggio di dare voce ai miei pensieri.
"D'accordo." Mi rispose, e si sciolse i capelli.
Tenne l'elastico tra le dita, mi unì i polsi dietro la testa, e lo usò per bloccarmi le mani. Istintivamente, mi morsi il labbro inferiore.
"Però, adesso devi calmarti." mi intimò a voce bassa, "Ti darò tutto quello che vuoi, ma questo è il mio gioco."
Era il suo gioco, e decideva lui le regole. Non avevo mai avuto nulla in contrario. Controllava ogni cosa con la maestria di un direttore d'orchestra. Il mio piacere, il suo, i miei orgasmi, la mia voce, ma non il suo istinto. Quello era degno di un diavolo.
Published on January 22, 2015 12:03
December 25, 2014
A Devil's Wish
"Ah, queste cose non fanno per me."
"E dai, smettila di lamentarti!"
Guardò le strade con aria cinica. Tutte quelle luci colorate che lampeggiavano, gli alberi decorati a ogni angolo, persone accalcate davanti alle vetrine: ma che senso aveva? Infondo, era un giorno come un altro. Dopo tutti i festeggiamenti, i regali, ognuno sarebbe tornato mestamente alla propria vita, come se nulla fosse mai accaduto."Ti ricordo che ho rischiato di farmi espellere da scuola per te." riprese Eric, agitando le mani nelle tasche della felpa. "Mi devi questo favore.""Hai rischiato di farti espellere perché sei un idiota, non per me. Nessuno ti ha chiesto di fare quello che hai fatto.""Ehi!" protestò. "Quando qualcuno insulta il mio migliore amico, non posso stare a guardare. Se lo è meritato!""Non c'era bisogno che gli rompessi il naso.""Sì, invece!"Castiel lo guardò severamente, poi gli rivolse un sorriso benevolo. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma non trovava alcun modo per farlo. Le parole gli rimanevano bloccate nella gola, non riusciva a pronunciarle. Sospirò e cambiò argomento."Hai già in mente cosa regalarle?""No. Per questo ho bisogno di te.""Ok. Sai almeno cosa le piace?""Be'... Le solite cose.""Non ne hai idea, vero?"Eric si grattò la nuca e chinò la testa, e Castiel rise. Si guardò intorno, cercò nella piazza gremita di persone l'insegna di qualche negozio che avrebbe fatto al caso loro, poi affermò:"Infondo a questa strada c'è una boutique che sta per chiudere e ha la merce in saldo.""Borsetta griffata a prezzo stracciato!" esclamò Eric, chiudendo la mano in un pugno. "Ottima idea!"Si avviarono decisi verso la direzione scelta, lasciando le proprie impronte sulla neve caduta quella mattina. Molte persone, seppur indaffarate con gli ultimi acquisti natalizi, spendevano qualche istante a osservare quella strana coppia, quei due ragazzi così diversi tra loro: Castiel, distante dal mondo nella sua giacca lunga e scura, che non aveva ancora vent'anni e già sembrava adulto, ed Eric, entusiasta e sorridente come un bambino. Era difficile immaginarli amici, persino compagni di scuola.Eric scosse la testa. Davanti a loro, una ragazza vestita come un gattino dei cartoni animati raccoglieva fondi per qualcosa e distribuiva volantini, faceva giravolte, canticchiava una sorta di canzoncina e si inchinava quando qualcuno le lasciava un'offerta e conversava con i bambini rapiti da quella sorta di gigantesco peluche vivente.
"Deve fare un caldo terribile là sotto." commentò. "Sai, mi sono sempre chiesto chi ci fosse, nascosto dentro quei costumi. Tu no?"
Castiel sbottò cinico:
"No, mai."
"Spesso ho sperato di vedere una ragazza bellissima che si leva quella testa di peluche e si volta a sorridermi."
"Eric, se fosse una ragazza bellissima, raccoglierebbe molti più soldi vestita da coniglietta di Playboy, che da peluche. Se le hanno messo in testa quella palla di pelo, deve esserci un motivo."
"Sei tremendo!"
Quando le passarono vicino, la ragazza gli offrì due dei volantini che teneva in un cestino di vimini, e li salutò agitando la mano, per poi tornare a gesticolare per i bambini che l'assalivano euforici.
Castiel ed Eric lessero distrattamente quei foglietti colorati.
"Raccoglie fondi per la mensa della scuola." fece Eric.
"Che razza di scuola è, se non può nemmeno permettersi una mensa?" commentò l'altro derisorio. "Certi istituti dovrebbero essere chiusi e basta."
"Non fare lo spocchioso solo perché hai qualche soldo in più, ok?"
Quando arrivarono davanti al negozio che Castiel aveva consigliato all'amico, entrambi rimasero con gli occhi sgranati ed esitarono. C'era una fila lunghissima all'ingresso, e una commessa infreddolita che cercava di tenere a bada i clienti e fare ordini.
"Oh, no!" esclamò Eric, "Quanto tempo ci vorrà per entrare?"
"Non meno di un'ora, e dubito che rimarrà qualcosa di decente."
"Accidenti!"
Castiel si accese un'altra sigaretta e si guardò intorno risoluto.
"Ascolta, vado a vedere cosa posso trovare in giro, tu resta a fare la fila."
"Davvero lo faresti?"
"Sì. Non farti fregare il posto, idiota."
Senza nemmeno ascoltare i ringraziamenti nei quali l'amico si era profuso, tornò a grandi passi verso la piazza, facendosi strada tra le famiglie sorridenti che occupavano i marciapiedi, i ragazzini che correvano avanti e indietro e le coppiette smielate che camminavano lentamente per strada.
Castiel si sentiva come in una bolla. L'unico essere umano rinchiuso in una bolla di realtà, mentre il resto del mondo si fingeva felice e festeggiava senza alcun vero motivo.
La ragazza-peluche era ancora lì, e i bambini non la circondavano più. Lui la guardò da lontano, incuriosito. La vide afferrare con le dita la testa di gatto che indossava e tirarla verso l'alto.
Ripensò alle parole di Eric e prese a fissarla con attenzione. Chissà com'era realmente, il suo volto.
Vide una splendida cascata di boccoli scuri scivolare dal collo alle spalle della ragazza, lentamente. Poi, lei scosse la testa per ravvivarli, e si stropicciò gli occhi prima di mostrare le iridi di un caldissimo color miele. Il viso era accaldato, le gote rosse, le labbra umide, il collo bianco e madido di sudore.
Restò con la bocca schiusa per lo stupore, e la sigaretta gli cadde a terra, rotolando un paio di volte prima di spegnersi nella neve. Sembrava una bambola di porcellana che aveva appena preso vita. Era bellissima.
Si avvicinò per guardarla meglio, pensando a un modo per parlarle. Infondo, sarebbe stato semplice. Gli sarebbe bastato mettere dei soldi nel cestino, iniziare una conversazione banale e portarla via con sé. Dimenticò completamente dell'amico rimasto a fare la fila fuori a un negozio. Doveva averla, a ogni costo. Voleva sentire la sua voce, il suo profumo, la morbidezza di quei capelli.
Osservandola, però, rallentò il passo. Era minuta, con le braccia gracili e le mani piccole. Il seno non ancora sbocciato e il corpo acerbo. Un fiore che non poteva essere colto così presto.
Si fermò e si premette un palmo sulla fronte. Cosa stava facendo? Quella era poco più che una ragazzina. Probabilmente, sarebbe diventata una donna stupenda entro un paio di anni, ma non poteva avvicinarsi a lei. Era abituato a un altro genere di ragazze, a quelle consumate nell'anima e nel corpo come lui, quelle alle quali poteva mentire senza avere sensi di colpa e che sapevano difendersi da sole. Una creatura così fragile e delicata, come un fiocco di neve... Aveva bisogno di essere protetta, mentre lui l'avrebbe solo sporcata, rovinata.
Sospirò con amarezza. Nel frattempo, un gruppo di bambini l'aveva di nuovo accerchiata. Qualcuno la chiamava, qualcun altro chiedeva abbracci e giravolte, e lei pazientemente li accontentava tutti. Non si accorse nemmeno di lui, quando le passò accanto e mise una cifra spropositata nel suo cestino.
Nella mente di Castiel, quel ricordo era rimasto ben impresso. Erano passati quasi dieci anni, ma ricordava ancora perfettamente le fattezze di quella ragazzina. Seduto sulla sua poltrona, sul trono del Charming Devil, con il registro aperto tra le mani, alzò il volto verso Emily, che lucidava il pavimento canticchiando.
"No, non può essere." mormorò impercettibilmente tra sé e sé.
"E dai, smettila di lamentarti!"
Guardò le strade con aria cinica. Tutte quelle luci colorate che lampeggiavano, gli alberi decorati a ogni angolo, persone accalcate davanti alle vetrine: ma che senso aveva? Infondo, era un giorno come un altro. Dopo tutti i festeggiamenti, i regali, ognuno sarebbe tornato mestamente alla propria vita, come se nulla fosse mai accaduto."Ti ricordo che ho rischiato di farmi espellere da scuola per te." riprese Eric, agitando le mani nelle tasche della felpa. "Mi devi questo favore.""Hai rischiato di farti espellere perché sei un idiota, non per me. Nessuno ti ha chiesto di fare quello che hai fatto.""Ehi!" protestò. "Quando qualcuno insulta il mio migliore amico, non posso stare a guardare. Se lo è meritato!""Non c'era bisogno che gli rompessi il naso.""Sì, invece!"Castiel lo guardò severamente, poi gli rivolse un sorriso benevolo. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma non trovava alcun modo per farlo. Le parole gli rimanevano bloccate nella gola, non riusciva a pronunciarle. Sospirò e cambiò argomento."Hai già in mente cosa regalarle?""No. Per questo ho bisogno di te.""Ok. Sai almeno cosa le piace?""Be'... Le solite cose.""Non ne hai idea, vero?"Eric si grattò la nuca e chinò la testa, e Castiel rise. Si guardò intorno, cercò nella piazza gremita di persone l'insegna di qualche negozio che avrebbe fatto al caso loro, poi affermò:"Infondo a questa strada c'è una boutique che sta per chiudere e ha la merce in saldo.""Borsetta griffata a prezzo stracciato!" esclamò Eric, chiudendo la mano in un pugno. "Ottima idea!"Si avviarono decisi verso la direzione scelta, lasciando le proprie impronte sulla neve caduta quella mattina. Molte persone, seppur indaffarate con gli ultimi acquisti natalizi, spendevano qualche istante a osservare quella strana coppia, quei due ragazzi così diversi tra loro: Castiel, distante dal mondo nella sua giacca lunga e scura, che non aveva ancora vent'anni e già sembrava adulto, ed Eric, entusiasta e sorridente come un bambino. Era difficile immaginarli amici, persino compagni di scuola.Eric scosse la testa. Davanti a loro, una ragazza vestita come un gattino dei cartoni animati raccoglieva fondi per qualcosa e distribuiva volantini, faceva giravolte, canticchiava una sorta di canzoncina e si inchinava quando qualcuno le lasciava un'offerta e conversava con i bambini rapiti da quella sorta di gigantesco peluche vivente.
"Deve fare un caldo terribile là sotto." commentò. "Sai, mi sono sempre chiesto chi ci fosse, nascosto dentro quei costumi. Tu no?"
Castiel sbottò cinico:
"No, mai."
"Spesso ho sperato di vedere una ragazza bellissima che si leva quella testa di peluche e si volta a sorridermi."
"Eric, se fosse una ragazza bellissima, raccoglierebbe molti più soldi vestita da coniglietta di Playboy, che da peluche. Se le hanno messo in testa quella palla di pelo, deve esserci un motivo."
"Sei tremendo!"
Quando le passarono vicino, la ragazza gli offrì due dei volantini che teneva in un cestino di vimini, e li salutò agitando la mano, per poi tornare a gesticolare per i bambini che l'assalivano euforici.
Castiel ed Eric lessero distrattamente quei foglietti colorati.
"Raccoglie fondi per la mensa della scuola." fece Eric.
"Che razza di scuola è, se non può nemmeno permettersi una mensa?" commentò l'altro derisorio. "Certi istituti dovrebbero essere chiusi e basta."
"Non fare lo spocchioso solo perché hai qualche soldo in più, ok?"
Quando arrivarono davanti al negozio che Castiel aveva consigliato all'amico, entrambi rimasero con gli occhi sgranati ed esitarono. C'era una fila lunghissima all'ingresso, e una commessa infreddolita che cercava di tenere a bada i clienti e fare ordini.
"Oh, no!" esclamò Eric, "Quanto tempo ci vorrà per entrare?"
"Non meno di un'ora, e dubito che rimarrà qualcosa di decente."
"Accidenti!"
Castiel si accese un'altra sigaretta e si guardò intorno risoluto.
"Ascolta, vado a vedere cosa posso trovare in giro, tu resta a fare la fila."
"Davvero lo faresti?"
"Sì. Non farti fregare il posto, idiota."
Senza nemmeno ascoltare i ringraziamenti nei quali l'amico si era profuso, tornò a grandi passi verso la piazza, facendosi strada tra le famiglie sorridenti che occupavano i marciapiedi, i ragazzini che correvano avanti e indietro e le coppiette smielate che camminavano lentamente per strada.
Castiel si sentiva come in una bolla. L'unico essere umano rinchiuso in una bolla di realtà, mentre il resto del mondo si fingeva felice e festeggiava senza alcun vero motivo.
La ragazza-peluche era ancora lì, e i bambini non la circondavano più. Lui la guardò da lontano, incuriosito. La vide afferrare con le dita la testa di gatto che indossava e tirarla verso l'alto.
Ripensò alle parole di Eric e prese a fissarla con attenzione. Chissà com'era realmente, il suo volto.
Vide una splendida cascata di boccoli scuri scivolare dal collo alle spalle della ragazza, lentamente. Poi, lei scosse la testa per ravvivarli, e si stropicciò gli occhi prima di mostrare le iridi di un caldissimo color miele. Il viso era accaldato, le gote rosse, le labbra umide, il collo bianco e madido di sudore.
Restò con la bocca schiusa per lo stupore, e la sigaretta gli cadde a terra, rotolando un paio di volte prima di spegnersi nella neve. Sembrava una bambola di porcellana che aveva appena preso vita. Era bellissima.
Si avvicinò per guardarla meglio, pensando a un modo per parlarle. Infondo, sarebbe stato semplice. Gli sarebbe bastato mettere dei soldi nel cestino, iniziare una conversazione banale e portarla via con sé. Dimenticò completamente dell'amico rimasto a fare la fila fuori a un negozio. Doveva averla, a ogni costo. Voleva sentire la sua voce, il suo profumo, la morbidezza di quei capelli.
Osservandola, però, rallentò il passo. Era minuta, con le braccia gracili e le mani piccole. Il seno non ancora sbocciato e il corpo acerbo. Un fiore che non poteva essere colto così presto.
Si fermò e si premette un palmo sulla fronte. Cosa stava facendo? Quella era poco più che una ragazzina. Probabilmente, sarebbe diventata una donna stupenda entro un paio di anni, ma non poteva avvicinarsi a lei. Era abituato a un altro genere di ragazze, a quelle consumate nell'anima e nel corpo come lui, quelle alle quali poteva mentire senza avere sensi di colpa e che sapevano difendersi da sole. Una creatura così fragile e delicata, come un fiocco di neve... Aveva bisogno di essere protetta, mentre lui l'avrebbe solo sporcata, rovinata.
Sospirò con amarezza. Nel frattempo, un gruppo di bambini l'aveva di nuovo accerchiata. Qualcuno la chiamava, qualcun altro chiedeva abbracci e giravolte, e lei pazientemente li accontentava tutti. Non si accorse nemmeno di lui, quando le passò accanto e mise una cifra spropositata nel suo cestino.
Nella mente di Castiel, quel ricordo era rimasto ben impresso. Erano passati quasi dieci anni, ma ricordava ancora perfettamente le fattezze di quella ragazzina. Seduto sulla sua poltrona, sul trono del Charming Devil, con il registro aperto tra le mani, alzò il volto verso Emily, che lucidava il pavimento canticchiando.
"No, non può essere." mormorò impercettibilmente tra sé e sé.
Published on December 25, 2014 08:51
December 12, 2014
A Devil in Paris - Hell of a Laundry
Ovviamente, ero io ad occuparmi di tutte le faccende di casa per Castiel. Pulizie, cucina, bucato: di giorno ero una badante, di pomeriggio l'animaletto da compagnia di Mami, e la sera, per tutta la notte e fino al mattino, finalmente, l'amante di Castiel.
Era impossibile che una persona come me non combinasse guai, ma cercavo di stare attenta, perché non riuscendo a pronunciare una sola parola in francese, non avrei saputo come chiedere aiuto.
Purtroppo, per quanto potessi essere prudente, c'erano cose che accadevano a prescindere, e non potevo fare nulla per evitarle.
La lavanderia si trovava al piano di sotto del nostro appartamento. Ogni volta che scendevo le scale, qualche indumento cadeva dalla mia cesta, e rischiando di rotolare giù per i gradini, mi chinavo a raccoglierlo. Finché si trattava delle camicie e delle giacche di Castiel, non mi preoccupavo più di tanto, ma è capitato spesso che i vicini notassero i miei completini succinti, e qualcuna di quelle cosette che Castiel mi regalava perché le indossassi apposta per lui. Era sempre così imbarazzante. Non sapevo cosa dire, e se anche mi fosse venuta in mente una risposta intelligente, non avrei saputo tradurla. Così sorridevo, recuperavo merletti, nastri, reggicalze e babydoll e continuavo per la mia strada, lasciando che i vicini mi credessero una sorta di maniaca sessuale.
E così, un giorno accadde uno di quegli eventi inevitabili. Vidi per la prima volta l'inferno, ed era fatto di acqua e bolle di sapone.
Non so bene cosa successe. Misi i vestiti nella lavatrice come al solito, poi il detersivo, la chiusi e l'avviai. Niente di più semplice. L'avevo fatto centinaia di volte.
Quella macchina infernale, però, cominciò prima a borbottare, poi a sussultare, e a emettere strani suoni e rumori, fino a che sentii scorrere dell'acqua, e prima che realizzassi cosa stava succedendo, il pavimento era diventato un prato di schiuma pericolosamente scivoloso. Mi avvicinai alla lavatrice con cautela, pensando di spegnerla, di rimediare, o perlomeno di interrompere quella produzione in massa di bolle, ma mi ritrovai per terra, supina, e con il mento dolorante: ero scivolata, e mi ero anche fatta male. Strisciai sulle ginocchia, raggiunsi la lavatrice, mi misi a premere dei tasti a caso per farla smettere, e non ottenni nessun risultato. L'acqua sgorgava copiosa, la schiuma aumentava di volume, e ogni volta che provavo ad alzarmi scivolavo di nuovo. Era un incubo. Presi il mio cellulare per chiamare aiuto prima che il piano di sotto si allagasse completamente. E chi avrei potuto chiamare? Non conoscevo nessuno. Mi toccò disturbare Castiel durante uno dei suoi incontri, e sperare che mi rispondesse, che mi desse una mano e che non si infuriasse troppo.
Con mia sorpresa, mi rispose preoccupato.
"Cosa è successo, Emily?"
"Ho bisogno di aiuto, sto annegando!" gli dissi in preda al panico.
"Cos... Aspetta, come sarebbe a dire che stai annegando?!"
"Non lo so, la lavatrice è impazzita, sono bloccata in un mare di schiuma!"
"Ok, ascolta. Dovrebbe esserci un cartellino sul lato della lavatrice, con il numero del centro assistenza. Leggilo ad alta voce e li chiamerò io."
"Ok."
Mi alzai goffamente, appesantita dai miei stivali inzuppati d'acqua, e vidi le mie gambe già segnate dalle cadute. Presto avrei avuto dei lividi spaventosi. Cercai qualcosa a cui reggermi, raggiunsi il lato della lavatrice e fissai quello che rimaneva di un adesivo sbiadito per decifrare il numero.
"Ci sono!" dissi trionfante, "Allora, il numero è... Ah!"
"Emily?!"
"Ahi..."
"Maledizione, che diavolo stai combinando?!"
"Sono caduta di nuovo. Che male..." piagnucolai affranta e frustrata.
"Va bene, ho capito. Resta dove sei."
"Eh?"
"Sto arrivando, perciò non muoverti da lì."
Non mi diede il tempo di scusarmi, né di ringraziarlo. Mise giù la chiamata ed io rimasi con il cellulare tra le mani, circondata da bolle di sapone che sembravano volermi seppellire. Sperai che non ci fosse traffico, che lui arrivasse in fretta, e così fu.
Lo vidi spuntare sulla soglia della porta, agitato e stupito. Prima mi guardò con tenerezza, ma subito dopo esplose in una risata derisoria. Cominciò a camminare verso di me, con un equilibrio invidiabile, poggiando i palmi delle mani lungo le pareti, mentre io tendevo le braccia verso di lui, aspettando che mi salvasse. Mi sentivo così ridicola.
Mi aiutò ad alzarmi, e per poco non finimmo entrambi per terra. Mi aggrappai saldamente a lui e in un modo o nell'altro riuscii a venire fuori da quell'inferno, gocciolante e infreddolita.
Lui guardò la sua preziosa maglietta griffata marchiata irrimediabilmente dalle mie mani intrise di sapone e scosse la testa, poi fissò lo sguardo su di me.
"Non preoccuparti, le macchie verranno via." lo tranquillizzai.
Ignorò del tutto la mia frase, e invece mi chiese:
"Ti sei fatta male?"
"Solo un po'." risposi mostrando il mio polpaccio che stava già iniziando a gonfiarsi.
Castiel fece una smorfia.
"Ah... Andiamo di sopra, tutto questo detersivo mi sta facendo venire il mal di testa."
Mi aiutò a stendermi sul divano appena fummo in casa, mi portò un asciugamano, insolitamente gentile e premuroso. Fece un paio di telefonate delle quali non compresi nulla, e si voltò a guardarmi mentre cercavo di asciugarmi. Mi venne vicino senza dirmi una parola, si mise sopra di me e mi guardò severamente.
Ero confusa. Mi era saltato addosso o voleva solo sgridarmi?
Ancora in silenzio e sotto il mio sguardo dubbioso, si tirò via la maglietta lasciandomi imbambolata.
"Castiel..."
"Sì, lo so, dovrei preoccuparmi e prendermi cura di te, ma spiegami come posso resistere davanti a una ragazza tutta bagnata."
Mi spogliò impaziente, come un bambino affamato avrebbe scartato un dolce.
Pensai che fosse davvero un'ottima ricompensa, lasciarmi accarezzare dalle sue mani sublimi dopo le scivolate che avevo preso poco prima, e mentre già pregustavo il momento in cui l'avrebbe fatto, e subivo i suoi baci caldi e violenti, qualcuno suonò alla porta.
"Che facciamo?" chiesi.
"Ignoriamolo."
Scese sul mio seno, sul mio addome, e di nuovo il campanello trillò, insistentemente.
"Castiel, forse dovremmo..."
"Silenzio, se ne andrà."
E invece, non se ne andò. Quella persona cominciò a suonare a ripetizione, e non mostrava alcuna intenzione di arrendersi.
"Dio, odio quando ci interrompono." si lamentò lui, tirandosi su.
Sbuffò, si mise in piedi, e mentre richiudeva i bottoni dei suoi jeans, il campanello continuava a trapanare i nostri timpani.
"Un attimo!" gridò contro la porta.
Mi rimisi in ordine anch'io, e lui andò ad aprire infuriato e a torso nudo, infischiandosene delle buone maniere e di chiunque si trovasse lì fuori.
Sentii quella voce... e d'istinto premetti un palmo sul mio viso.
"Oh, Castiel, cosa ci fai qui a quest'ora? E perché ci avete messo così tanto a rispondere? Mi stavo preoccupando, pensavo che Emily fosse morta!"
"Mamma..." mormorò a denti stretti. "Che cosa vuoi?"
"Niente, passavo di qui per caso, e allora..." spiegò vagamente Mami, spingendo di lato il figlio e introducendosi presuntuosamente in casa. Vidi cosa aveva in mano e trasalii.
Sventolò in aria un paio di mutandine minuscole di tulle arricciato, forse tra le più imbarazzanti del mio guardaroba e mi domandò:
"A proposito, ho trovato queste sulle scale. Sono tue, vero? Oh, ma certo che sono tue, conosco i gusti di mio figlio. Dovete fare più attenzione, santo cielo!" continuò, come se volesse sgridarci entrambi. "Capisco la passione travolgente, ma sulle scale... è così sporco, rischiate di prendere un'infezione!"
Se io avevo raggiunto il limite della mia vergogna, Castiel aveva ampiamente superato quello della sua pazienza. Scuro in volto, tenne la porta aperta e sibilò:
"Mamma... Vattene. Ora."
Mami si guardò intorno spaesata, si finse ingenua, fissò gli occhi sul divano e si mise una mano davanti alla bocca.
"Ho interrotto qualcosa, forse?"
"Sì." rispose lui senza pietà.
"Oh... allora tornerò tra mezz'ora, va bene?"
"No, per niente."
"Tra un'ora? Non vi basta un'ora?"
"Fuori di qui!"
"Va bene, va bene. Quanto sei permaloso."
La situazione mi faceva venire un po' da ridere, ma sapevo che se anche avessi osato sogghignare, Castiel si sarebbe arrabbiato. Ripensai alle parole di Mami, e mi assalì un dubbio.
"Castiel... come fa tua madre a conoscere i tuoi gusti, esattamente?"
"È una storia lunga."
"E non me la racconterai, vero?"
"Non oggi."
Era impossibile che una persona come me non combinasse guai, ma cercavo di stare attenta, perché non riuscendo a pronunciare una sola parola in francese, non avrei saputo come chiedere aiuto.
Purtroppo, per quanto potessi essere prudente, c'erano cose che accadevano a prescindere, e non potevo fare nulla per evitarle.
La lavanderia si trovava al piano di sotto del nostro appartamento. Ogni volta che scendevo le scale, qualche indumento cadeva dalla mia cesta, e rischiando di rotolare giù per i gradini, mi chinavo a raccoglierlo. Finché si trattava delle camicie e delle giacche di Castiel, non mi preoccupavo più di tanto, ma è capitato spesso che i vicini notassero i miei completini succinti, e qualcuna di quelle cosette che Castiel mi regalava perché le indossassi apposta per lui. Era sempre così imbarazzante. Non sapevo cosa dire, e se anche mi fosse venuta in mente una risposta intelligente, non avrei saputo tradurla. Così sorridevo, recuperavo merletti, nastri, reggicalze e babydoll e continuavo per la mia strada, lasciando che i vicini mi credessero una sorta di maniaca sessuale.
E così, un giorno accadde uno di quegli eventi inevitabili. Vidi per la prima volta l'inferno, ed era fatto di acqua e bolle di sapone.
Non so bene cosa successe. Misi i vestiti nella lavatrice come al solito, poi il detersivo, la chiusi e l'avviai. Niente di più semplice. L'avevo fatto centinaia di volte.
Quella macchina infernale, però, cominciò prima a borbottare, poi a sussultare, e a emettere strani suoni e rumori, fino a che sentii scorrere dell'acqua, e prima che realizzassi cosa stava succedendo, il pavimento era diventato un prato di schiuma pericolosamente scivoloso. Mi avvicinai alla lavatrice con cautela, pensando di spegnerla, di rimediare, o perlomeno di interrompere quella produzione in massa di bolle, ma mi ritrovai per terra, supina, e con il mento dolorante: ero scivolata, e mi ero anche fatta male. Strisciai sulle ginocchia, raggiunsi la lavatrice, mi misi a premere dei tasti a caso per farla smettere, e non ottenni nessun risultato. L'acqua sgorgava copiosa, la schiuma aumentava di volume, e ogni volta che provavo ad alzarmi scivolavo di nuovo. Era un incubo. Presi il mio cellulare per chiamare aiuto prima che il piano di sotto si allagasse completamente. E chi avrei potuto chiamare? Non conoscevo nessuno. Mi toccò disturbare Castiel durante uno dei suoi incontri, e sperare che mi rispondesse, che mi desse una mano e che non si infuriasse troppo.
Con mia sorpresa, mi rispose preoccupato.
"Cosa è successo, Emily?"
"Ho bisogno di aiuto, sto annegando!" gli dissi in preda al panico.
"Cos... Aspetta, come sarebbe a dire che stai annegando?!"
"Non lo so, la lavatrice è impazzita, sono bloccata in un mare di schiuma!"
"Ok, ascolta. Dovrebbe esserci un cartellino sul lato della lavatrice, con il numero del centro assistenza. Leggilo ad alta voce e li chiamerò io."
"Ok."
Mi alzai goffamente, appesantita dai miei stivali inzuppati d'acqua, e vidi le mie gambe già segnate dalle cadute. Presto avrei avuto dei lividi spaventosi. Cercai qualcosa a cui reggermi, raggiunsi il lato della lavatrice e fissai quello che rimaneva di un adesivo sbiadito per decifrare il numero.
"Ci sono!" dissi trionfante, "Allora, il numero è... Ah!"
"Emily?!"
"Ahi..."
"Maledizione, che diavolo stai combinando?!"
"Sono caduta di nuovo. Che male..." piagnucolai affranta e frustrata.
"Va bene, ho capito. Resta dove sei."
"Eh?"
"Sto arrivando, perciò non muoverti da lì."
Non mi diede il tempo di scusarmi, né di ringraziarlo. Mise giù la chiamata ed io rimasi con il cellulare tra le mani, circondata da bolle di sapone che sembravano volermi seppellire. Sperai che non ci fosse traffico, che lui arrivasse in fretta, e così fu.
Lo vidi spuntare sulla soglia della porta, agitato e stupito. Prima mi guardò con tenerezza, ma subito dopo esplose in una risata derisoria. Cominciò a camminare verso di me, con un equilibrio invidiabile, poggiando i palmi delle mani lungo le pareti, mentre io tendevo le braccia verso di lui, aspettando che mi salvasse. Mi sentivo così ridicola.
Mi aiutò ad alzarmi, e per poco non finimmo entrambi per terra. Mi aggrappai saldamente a lui e in un modo o nell'altro riuscii a venire fuori da quell'inferno, gocciolante e infreddolita.
Lui guardò la sua preziosa maglietta griffata marchiata irrimediabilmente dalle mie mani intrise di sapone e scosse la testa, poi fissò lo sguardo su di me.
"Non preoccuparti, le macchie verranno via." lo tranquillizzai.
Ignorò del tutto la mia frase, e invece mi chiese:
"Ti sei fatta male?"
"Solo un po'." risposi mostrando il mio polpaccio che stava già iniziando a gonfiarsi.
Castiel fece una smorfia.
"Ah... Andiamo di sopra, tutto questo detersivo mi sta facendo venire il mal di testa."
Mi aiutò a stendermi sul divano appena fummo in casa, mi portò un asciugamano, insolitamente gentile e premuroso. Fece un paio di telefonate delle quali non compresi nulla, e si voltò a guardarmi mentre cercavo di asciugarmi. Mi venne vicino senza dirmi una parola, si mise sopra di me e mi guardò severamente.
Ero confusa. Mi era saltato addosso o voleva solo sgridarmi?
Ancora in silenzio e sotto il mio sguardo dubbioso, si tirò via la maglietta lasciandomi imbambolata.
"Castiel..."
"Sì, lo so, dovrei preoccuparmi e prendermi cura di te, ma spiegami come posso resistere davanti a una ragazza tutta bagnata."
Mi spogliò impaziente, come un bambino affamato avrebbe scartato un dolce.
Pensai che fosse davvero un'ottima ricompensa, lasciarmi accarezzare dalle sue mani sublimi dopo le scivolate che avevo preso poco prima, e mentre già pregustavo il momento in cui l'avrebbe fatto, e subivo i suoi baci caldi e violenti, qualcuno suonò alla porta.
"Che facciamo?" chiesi.
"Ignoriamolo."
Scese sul mio seno, sul mio addome, e di nuovo il campanello trillò, insistentemente.
"Castiel, forse dovremmo..."
"Silenzio, se ne andrà."
E invece, non se ne andò. Quella persona cominciò a suonare a ripetizione, e non mostrava alcuna intenzione di arrendersi.
"Dio, odio quando ci interrompono." si lamentò lui, tirandosi su.
Sbuffò, si mise in piedi, e mentre richiudeva i bottoni dei suoi jeans, il campanello continuava a trapanare i nostri timpani.
"Un attimo!" gridò contro la porta.
Mi rimisi in ordine anch'io, e lui andò ad aprire infuriato e a torso nudo, infischiandosene delle buone maniere e di chiunque si trovasse lì fuori.
Sentii quella voce... e d'istinto premetti un palmo sul mio viso.
"Oh, Castiel, cosa ci fai qui a quest'ora? E perché ci avete messo così tanto a rispondere? Mi stavo preoccupando, pensavo che Emily fosse morta!"
"Mamma..." mormorò a denti stretti. "Che cosa vuoi?"
"Niente, passavo di qui per caso, e allora..." spiegò vagamente Mami, spingendo di lato il figlio e introducendosi presuntuosamente in casa. Vidi cosa aveva in mano e trasalii.
Sventolò in aria un paio di mutandine minuscole di tulle arricciato, forse tra le più imbarazzanti del mio guardaroba e mi domandò:
"A proposito, ho trovato queste sulle scale. Sono tue, vero? Oh, ma certo che sono tue, conosco i gusti di mio figlio. Dovete fare più attenzione, santo cielo!" continuò, come se volesse sgridarci entrambi. "Capisco la passione travolgente, ma sulle scale... è così sporco, rischiate di prendere un'infezione!"
Se io avevo raggiunto il limite della mia vergogna, Castiel aveva ampiamente superato quello della sua pazienza. Scuro in volto, tenne la porta aperta e sibilò:
"Mamma... Vattene. Ora."
Mami si guardò intorno spaesata, si finse ingenua, fissò gli occhi sul divano e si mise una mano davanti alla bocca.
"Ho interrotto qualcosa, forse?"
"Sì." rispose lui senza pietà.
"Oh... allora tornerò tra mezz'ora, va bene?"
"No, per niente."
"Tra un'ora? Non vi basta un'ora?"
"Fuori di qui!"
"Va bene, va bene. Quanto sei permaloso."
La situazione mi faceva venire un po' da ridere, ma sapevo che se anche avessi osato sogghignare, Castiel si sarebbe arrabbiato. Ripensai alle parole di Mami, e mi assalì un dubbio.
"Castiel... come fa tua madre a conoscere i tuoi gusti, esattamente?"
"È una storia lunga."
"E non me la racconterai, vero?"
"Non oggi."
Published on December 12, 2014 15:53
November 28, 2014
A Devil in Paris - Devil's Princess
"Vieni, Emily. Non avere paura. So che non ti piace il buio, ma fidati di me. Segui la mia voce."
"Ho paura di inciampare.""Sono qui, non ti lascerò cadere. Avanti."Mossi i miei passi incerta, seguendo il suono della voce di Castiel che si faceva sempre più vicina. Sentivo scricchiolare del terriccio sotto i tacchi delle mie scarpe, il profumo dei fiori e il rumore di una fontana. Doveva avermi portato in un giardino."Posso togliermi la benda, ora?" gli chiesi scossa da un brivido di freddo."Non ancora." mi rispose. Era alle mie spalle. "Prima rispondi a una domanda. Qual era il tuo sogno da bambina?"Sorrisi. Ne avevo avuti così tanti."Quello che mi hai raccontato mentre ti baciavo la schiena, ieri notte." precisò. "Poco prima di addormentarti."Arrossii."Scoprire di essere una principessa?"Sentii le sue dita tra i miei capelli e poggiò qualcosa sulla mia testa, poi si allontanò."Adesso puoi toglierla."Lo feci immediatamente, e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Una tavola imbandita solo per noi, alla luce di un lampione, in quel giardino da favola. E lui era... elegantissimo e perfetto, come sempre.Sembrava davvero uno dei miei sogni, il più bello che potessi immaginare."Che cosa... Perché?" balbettai con un filo di voce.Mi baciò all'improvviso e rimasi senza respiro."Buon compleanno."Non riuscii a trattenere le lacrime. Ero felice, come non lo ero mai stata prima."Non... Non c'era bisogno di fare tutto questo. Sarebbe bastata una fetta di torta, e qualche palloncino, e...""Sarei stato un pessimo host."Toccai la coroncina sulla mia testa e sorrisi tra me e me."Non è da te."
"Hai ragione. Ma dovevo trovare un modo per farmi perdonare."
"Cosa dovrei perdonarti?"
"Molte cose." mi rispose prendendomi la mano e trascinandomi verso il tavolo. "Quelle notti in cui ti lascio da sola. Quando piangi di gelosia, quando resti sveglia ad aspettarmi, quando non riesco a prendermi cura di te come ti avevo promesso. Tutto questo non era nei miei piani."
Mi fece sedere e prese posto di fronte a me. Non aggiunsi niente e decisi di godermi quella serata.
"Fino a domattina sarò il tuo host, e non permetterò a nessuno di interromperci."
La cena era incantevole, ma io volevo stare tra le sue braccia, non mi bastava averlo vicino. Non mi bastava più. Volevo sentire la sua pelle sulla mia, le sue mani, il suo respiro.
Per qualche motivo, pensai a mia madre. E poi, come se dall'alto qualcuno avesse voluto esaudire il mio desiderio, cominciarono a scendere pesantissime gocce di pioggia, una dopo l'altra, inzuppando la nostra tovaglia bianca, e il mio vestito leggero.
Scoppiai a ridere, mentre Castiel si premette un palmo sulla fronte.
"Dannazione. Avevo controllato le previsioni, non avrebbe dovuto piovere. Detesto questo clima." si lamentò frustrato. Forse era la prima volta che gli capitava un imprevisto del genere.
"Non fa niente." risposi. "È bellissimo lo stesso."
Scacciò indietro i capelli bagnati dalla fronte, si alzò e mi porse la mano.
"Andiamo, prenderai freddo."
Misi le mie dita sulle sue e lo seguii, mi portò fuori, verso il cancello, e nel tragitto i capelli mi caddero pesantemente sulle spalle, bagnati dalla pioggia e gocciolanti. L'acqua fredda sulla schiena scoperta mi stava facendo gelare fin dentro le ossa.
Mi bastò solo un istante per capire, dall'espressione dipinta sul volto di Castiel, che qualcos'altro era andato storto.
"Dove diavolo si è cacciato..?" sibilò. "Non ci credo. Non voglio crederci."
"Cosa c'è?"
"Il nostro autista è sparito. Deve aver pensato bene di lasciarci soli. Lo ucciderò."
Prese freneticamente il cellulare, e nello stesso momento un lampo violento, seguito da un tuono e scrosci di pioggia più intensi, ci fece sobbalzare.
Sbiancò in volto e mi guardò infastidito e irritato.
"Fantastico, non c'è campo."
Risi, così forte da sentire una morsa alla mascella. Lui era arrabbiato, cercava soluzioni che non c'erano, e mi sembrava tutto così buffo.
"Cos'hai da ridere?!" mi sgridò.
"Dovresti vedere la tua faccia..." ridacchiai senza fiato. "Sei sconvolto!"
"Ma tu guarda..."
Sbuffò contrariato, mi cinse le spalle e mi trascinò sotto una tettoia. Le travi di legno erano sottili, sconnesse tra loro, e non ci proteggevano un granché dalla pioggia. Intorno a noi non c'era nessuno che ci offrisse un riparo o almeno un cellulare funzionante e la serata sembrava destinata a finire in malora.
La sua camicia bagnata aderiva perfettamente alle sue spalle, mostrando i suoi muscoli scossi dal freddo.
I nostri sguardi si incrociarono. Io, decisa a cogliere l'ironia della situazione, e lui, deluso come un direttore d'orchestra a cui era stato negato il palco.
Prima ancora che potessimo dirci qualcosa, le nostre labbra si erano già incontrate. I suoi baci intensi e impetuosi mi fecero dimenticare persino del temporale. Misi le mani sotto la sua camicia, gli accarezzai la schiena, e lui tirò il fiocco che teneva il mio vestito chiuso.
Sentivo le gocce di pioggia gelide sulla pelle, insieme alla sua lingua e al suo respiro scottante.
"Quando ci sei di mezzo tu, la situazione mi sfugge sempre di mano." sussurrò sul mio collo. Fece per sollevarsi, ma lo trattenni tenendo saldamente il suo colletto.
"Non fermarti."
"Emily... qui, sotto la pioggia?"
Annuii con decisione e mossi le mani sul suo addome, aprendo i bottoni della camicia ormai del tutto bagnata.
Sospirò e mi spinse verso una delle travi che sorreggevano la tettoia.
"Va bene."
Le schegge di legno mi pungevano, ma ben presto le ignorai.
Le sue mani mi scaldavano, scorrevano lungo il mio corpo, tra i miei capelli, mi stringevano i fianchi e lui si muoveva dentro di me come se non ne avesse mai abbastanza di farmi sussultare.
Il temporale fitto ovattava i miei gemiti e i lampi illuminavano i nostri corpi persi nel buio.
I miei sentimenti traboccavano insieme al piacere che lui mi dava. Non potevo più metterli a tacere.
"Castiel, io..."
Un tuono inghiottì nel suo fragore il mio "ti amo", facendolo perdere per sempre. Sospirai per il mio coraggio andato sprecato nel nulla, e lui mi chiese:
"Hai detto qualcosa?"
"No."
Sogghignò in quel suo modo irresistibile.
"Allora fingerò di non aver sentito."
"Ho paura di inciampare.""Sono qui, non ti lascerò cadere. Avanti."Mossi i miei passi incerta, seguendo il suono della voce di Castiel che si faceva sempre più vicina. Sentivo scricchiolare del terriccio sotto i tacchi delle mie scarpe, il profumo dei fiori e il rumore di una fontana. Doveva avermi portato in un giardino."Posso togliermi la benda, ora?" gli chiesi scossa da un brivido di freddo."Non ancora." mi rispose. Era alle mie spalle. "Prima rispondi a una domanda. Qual era il tuo sogno da bambina?"Sorrisi. Ne avevo avuti così tanti."Quello che mi hai raccontato mentre ti baciavo la schiena, ieri notte." precisò. "Poco prima di addormentarti."Arrossii."Scoprire di essere una principessa?"Sentii le sue dita tra i miei capelli e poggiò qualcosa sulla mia testa, poi si allontanò."Adesso puoi toglierla."Lo feci immediatamente, e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Una tavola imbandita solo per noi, alla luce di un lampione, in quel giardino da favola. E lui era... elegantissimo e perfetto, come sempre.Sembrava davvero uno dei miei sogni, il più bello che potessi immaginare."Che cosa... Perché?" balbettai con un filo di voce.Mi baciò all'improvviso e rimasi senza respiro."Buon compleanno."Non riuscii a trattenere le lacrime. Ero felice, come non lo ero mai stata prima."Non... Non c'era bisogno di fare tutto questo. Sarebbe bastata una fetta di torta, e qualche palloncino, e...""Sarei stato un pessimo host."Toccai la coroncina sulla mia testa e sorrisi tra me e me."Non è da te."
"Hai ragione. Ma dovevo trovare un modo per farmi perdonare."
"Cosa dovrei perdonarti?"
"Molte cose." mi rispose prendendomi la mano e trascinandomi verso il tavolo. "Quelle notti in cui ti lascio da sola. Quando piangi di gelosia, quando resti sveglia ad aspettarmi, quando non riesco a prendermi cura di te come ti avevo promesso. Tutto questo non era nei miei piani."
Mi fece sedere e prese posto di fronte a me. Non aggiunsi niente e decisi di godermi quella serata.
"Fino a domattina sarò il tuo host, e non permetterò a nessuno di interromperci."
La cena era incantevole, ma io volevo stare tra le sue braccia, non mi bastava averlo vicino. Non mi bastava più. Volevo sentire la sua pelle sulla mia, le sue mani, il suo respiro.
Per qualche motivo, pensai a mia madre. E poi, come se dall'alto qualcuno avesse voluto esaudire il mio desiderio, cominciarono a scendere pesantissime gocce di pioggia, una dopo l'altra, inzuppando la nostra tovaglia bianca, e il mio vestito leggero.
Scoppiai a ridere, mentre Castiel si premette un palmo sulla fronte.
"Dannazione. Avevo controllato le previsioni, non avrebbe dovuto piovere. Detesto questo clima." si lamentò frustrato. Forse era la prima volta che gli capitava un imprevisto del genere.
"Non fa niente." risposi. "È bellissimo lo stesso."
Scacciò indietro i capelli bagnati dalla fronte, si alzò e mi porse la mano.
"Andiamo, prenderai freddo."
Misi le mie dita sulle sue e lo seguii, mi portò fuori, verso il cancello, e nel tragitto i capelli mi caddero pesantemente sulle spalle, bagnati dalla pioggia e gocciolanti. L'acqua fredda sulla schiena scoperta mi stava facendo gelare fin dentro le ossa.
Mi bastò solo un istante per capire, dall'espressione dipinta sul volto di Castiel, che qualcos'altro era andato storto.
"Dove diavolo si è cacciato..?" sibilò. "Non ci credo. Non voglio crederci."
"Cosa c'è?"
"Il nostro autista è sparito. Deve aver pensato bene di lasciarci soli. Lo ucciderò."
Prese freneticamente il cellulare, e nello stesso momento un lampo violento, seguito da un tuono e scrosci di pioggia più intensi, ci fece sobbalzare.
Sbiancò in volto e mi guardò infastidito e irritato.
"Fantastico, non c'è campo."
Risi, così forte da sentire una morsa alla mascella. Lui era arrabbiato, cercava soluzioni che non c'erano, e mi sembrava tutto così buffo.
"Cos'hai da ridere?!" mi sgridò.
"Dovresti vedere la tua faccia..." ridacchiai senza fiato. "Sei sconvolto!"
"Ma tu guarda..."
Sbuffò contrariato, mi cinse le spalle e mi trascinò sotto una tettoia. Le travi di legno erano sottili, sconnesse tra loro, e non ci proteggevano un granché dalla pioggia. Intorno a noi non c'era nessuno che ci offrisse un riparo o almeno un cellulare funzionante e la serata sembrava destinata a finire in malora.
La sua camicia bagnata aderiva perfettamente alle sue spalle, mostrando i suoi muscoli scossi dal freddo.
I nostri sguardi si incrociarono. Io, decisa a cogliere l'ironia della situazione, e lui, deluso come un direttore d'orchestra a cui era stato negato il palco.
Prima ancora che potessimo dirci qualcosa, le nostre labbra si erano già incontrate. I suoi baci intensi e impetuosi mi fecero dimenticare persino del temporale. Misi le mani sotto la sua camicia, gli accarezzai la schiena, e lui tirò il fiocco che teneva il mio vestito chiuso.
Sentivo le gocce di pioggia gelide sulla pelle, insieme alla sua lingua e al suo respiro scottante.
"Quando ci sei di mezzo tu, la situazione mi sfugge sempre di mano." sussurrò sul mio collo. Fece per sollevarsi, ma lo trattenni tenendo saldamente il suo colletto.
"Non fermarti."
"Emily... qui, sotto la pioggia?"
Annuii con decisione e mossi le mani sul suo addome, aprendo i bottoni della camicia ormai del tutto bagnata.
Sospirò e mi spinse verso una delle travi che sorreggevano la tettoia.
"Va bene."
Le schegge di legno mi pungevano, ma ben presto le ignorai.
Le sue mani mi scaldavano, scorrevano lungo il mio corpo, tra i miei capelli, mi stringevano i fianchi e lui si muoveva dentro di me come se non ne avesse mai abbastanza di farmi sussultare.
Il temporale fitto ovattava i miei gemiti e i lampi illuminavano i nostri corpi persi nel buio.
I miei sentimenti traboccavano insieme al piacere che lui mi dava. Non potevo più metterli a tacere.
"Castiel, io..."
Un tuono inghiottì nel suo fragore il mio "ti amo", facendolo perdere per sempre. Sospirai per il mio coraggio andato sprecato nel nulla, e lui mi chiese:
"Hai detto qualcosa?"
"No."
Sogghignò in quel suo modo irresistibile.
"Allora fingerò di non aver sentito."
Published on November 28, 2014 10:47
November 16, 2014
A Devil in Paris - Devil's Lesson n.1
Onestamente, non avevo idea di cosa Castiel insegnasse ai suoi allievi. In che cosa consistevano le sue lezioni? Sorridere per finta senza farlo notare? Lanciare sguardi seducenti a chiunque, fare complimenti velati? Comportarsi come se la freccia di Cupido avesse trafitto il loro cuore per sempre?
Quando gli confessai che proprio non riuscivo ad immaginarlo come insegnante, rise e disse che mi avrebbe dato una dimostrazione pratica."Insegnante non è la parola giusta." precisò. "Mi definirei piuttosto un... addestratore."
Mi cinse dalle spalle e sentii il suo respiro sul mio collo. Mi provocò dei brividi dietro la nuca e lungo la schiena. Il suo braccio mi teneva stretta sotto il seno, e con l'altra mano accarezzava i miei fianchi lentamente. Conosceva ogni angolo sensibile del mio corpo e sapeva esattamente come toccarlo per farmi mancare il fiato.
"Gli insegno a lasciare le ragazze a bocca aperta, e poi..."
Fece scivolare dolcemente la sua mano sottile nei miei jeans, e ansimai.
"A conquistarle con ogni gesto, finché non sapranno più farne a meno."
Mi baciò, cercò la mia lingua con la sua e cominciò a stuzzicarmi con la punta delle dita. Lo faceva in un modo tremendo e crudele, fermandosi sempre un attimo prima che raggiungessi il piacere.
"Gli insegni anche... ad abbandonarle quando meno se lo aspettano, come farai con me?"
Fermò la sua mano improvvisamente e mi sollevò il viso per potermi guardare negli occhi.
"Cosa stai dicendo?"
"Non lo farai?"
Mi rispose nascondendo il volto tra il mio collo e la mia spalla. Sentivo ancora le sue dita ferme, e fremevo perché continuasse.
"Sei la cosa più dolce che mi sia mai capitata." sussurrò in maniera impercettibile. "Sono troppo egoista per rinunciare a te, Emily."
Chiusi gli occhi e gli sorrisi. A volte avevo ancora paura che mi mentisse, ma quando mi diceva quelle parole, la sua voce era insolitamente profonda e malinconica. Non avevo la forza di dubitare di lui.
Sbottonai i miei jeans per facilitargli i movimenti, e accompagnai la sua mano con la mia. Castiel non si accontentava di farmi gemere, lui voleva stare dentro di me, furiosamente, scuotermi fino in fondo, svuotare la mia mente per invaderla solo con la sua presenza. E ci riusciva.
Poggiai le mani contro la parete fredda e liscia che mi stava di fronte, e attesi che mi facesse sua. Mise una mano tra la parete e la mia testa e compresi quel gesto solo quando prese a spingere il suo corpo contro il mio. Se non ci fosse stata la sua mano, ad ogni colpo avrei rischiato di urtare il muro. Lo aveva fatto per proteggermi. Per assicurarsi che non mi facessi del male.
"Sei preziosa per me, Emily." mi disse in un sospiro spezzato. "Non immagini neanche quanto."
Quando gli confessai che proprio non riuscivo ad immaginarlo come insegnante, rise e disse che mi avrebbe dato una dimostrazione pratica."Insegnante non è la parola giusta." precisò. "Mi definirei piuttosto un... addestratore."
Mi cinse dalle spalle e sentii il suo respiro sul mio collo. Mi provocò dei brividi dietro la nuca e lungo la schiena. Il suo braccio mi teneva stretta sotto il seno, e con l'altra mano accarezzava i miei fianchi lentamente. Conosceva ogni angolo sensibile del mio corpo e sapeva esattamente come toccarlo per farmi mancare il fiato.
"Gli insegno a lasciare le ragazze a bocca aperta, e poi..."
Fece scivolare dolcemente la sua mano sottile nei miei jeans, e ansimai.
"A conquistarle con ogni gesto, finché non sapranno più farne a meno."
Mi baciò, cercò la mia lingua con la sua e cominciò a stuzzicarmi con la punta delle dita. Lo faceva in un modo tremendo e crudele, fermandosi sempre un attimo prima che raggiungessi il piacere.
"Gli insegni anche... ad abbandonarle quando meno se lo aspettano, come farai con me?"
Fermò la sua mano improvvisamente e mi sollevò il viso per potermi guardare negli occhi.
"Cosa stai dicendo?"
"Non lo farai?"
Mi rispose nascondendo il volto tra il mio collo e la mia spalla. Sentivo ancora le sue dita ferme, e fremevo perché continuasse.
"Sei la cosa più dolce che mi sia mai capitata." sussurrò in maniera impercettibile. "Sono troppo egoista per rinunciare a te, Emily."
Chiusi gli occhi e gli sorrisi. A volte avevo ancora paura che mi mentisse, ma quando mi diceva quelle parole, la sua voce era insolitamente profonda e malinconica. Non avevo la forza di dubitare di lui.
Sbottonai i miei jeans per facilitargli i movimenti, e accompagnai la sua mano con la mia. Castiel non si accontentava di farmi gemere, lui voleva stare dentro di me, furiosamente, scuotermi fino in fondo, svuotare la mia mente per invaderla solo con la sua presenza. E ci riusciva.
Poggiai le mani contro la parete fredda e liscia che mi stava di fronte, e attesi che mi facesse sua. Mise una mano tra la parete e la mia testa e compresi quel gesto solo quando prese a spingere il suo corpo contro il mio. Se non ci fosse stata la sua mano, ad ogni colpo avrei rischiato di urtare il muro. Lo aveva fatto per proteggermi. Per assicurarsi che non mi facessi del male.
"Sei preziosa per me, Emily." mi disse in un sospiro spezzato. "Non immagini neanche quanto."
Published on November 16, 2014 08:20
November 6, 2014
A Devil in Paris - How to make a Devil
Per tutta la durata della mia permanenza a Parigi, la presenza della madre di Castiel fu quasi una cosa abituale per me. Veniva a trovarmi anche per il più ridicolo motivo che le venisse in mente. Me la ritrovavo dietro la porta quando comprava qualcosa di nuovo e voleva farmi vedere quanto le stesse bene, o farsi convincere che non le stesse male. Quando provava un gusto particolare di gelato, per dirmi che dovevo assolutamente assaggiarlo. Quando suo figlio non le rivolgeva abbastanza attenzioni, per lamentarsi di quanto si sentisse frustrata.
E parlava così tanto. Davvero, tanto. Non mi dava il tempo di rispondere alle sue domande, perché ipotizzava ad alta voce le mie risposte. E le sue domande diventavano ogni giorno più imbarazzanti per me.
"Riesci a soddisfare mio figlio con quel corpicino gracile? Be', forse sarai più semplice da maneggiare. Solo, mi domandavo... sei così piccola, le posizioni non saranno un po' limitate? Be', forse conoscerai altri modi per farlo divertire. Dio, la monotonia sotto le lenzuola è terribile."
Imparai a non arrossire più. L'unico modo per impedirle chiedermi dettagli sulla mia vita sessuale era farla parlare a lungo, tanto a lungo da stancarla. E c'erano due argomenti sui quali Mami aveva sempre molto da dire: Castiel e suo padre.
"Come ha conosciuto Gabriel December?" le domandai per salvarmi, una volta.
Il suo sguardo divenne immensamente triste.
"Gabriel..." mormorò assorta, "Non avrei mai sognato di incontrarlo. Ero solo una ragazzina, forse più giovane di te. Mi sembrò... il sole. Mi trattava così bene, e non avevo mai visto un vero giornalista in vita mia. Venne nel locale in cui lavoravo insieme al suo cameraman, mi puntò gli occhi addosso e mi diede un sacco di soldi prima ancora che mi levassi la maglietta. E poi cominciò con i complimenti, e mi chiese cosa ci facessi lì, e... tutte le solite cose che gli uomini fanno per portarsi le ragazze stupide a letto."
Sorrisi ironicamente tra me e me. Trattarmi bene? Ricoprirmi di complimenti? Castiel non lo aveva mai fatto, eppure ero finita nel suo letto lo stesso. Forse non ero stupida, pensai, ero una completa idiota.
"Mi promise che mi avrebbe portata via." continuò a raccontare Mami. "E io ci cascai con tutte le scarpe. Mi offrì la cena in un ristorante. Io non ci ero mai entrata in un ristorante vero, capisci? Ero convinta che mi amasse... e sono rimasta incinta." sbuffò nervosamente e aggiunse, "Mi chiese di abortire. Lo mandai a farsi fottere in quel momento. Decisi di tenere il bambino perché volevo un pezzo di lui con me, per sempre. E in cambio, lui mi abbandonò senza neanche avvertirmi."
La sua storia mi trascinò al punto che le chiesi di andare avanti.
"Poi, quando è nato il mio Castiel, l'ho cercato. Volevo che desse il suo cognome a suo figlio e infondo speravo che ci saremmo sposati, e saremmo stati felici, e... le solite cose che le ragazze stupide pensano, quando vengono ingannate da qualcuno. Non so come, ma riuscii a convincerlo. Forse gli facevo solo pena. Ma comunque, Gabriel se ne andò lo stesso, fece richiesta per l'affidamento di suo figlio qualche tempo dopo e il tribunale glielo concesse senza alcuna obiezione."
Fu quella volta che capii che, a parte gli occhi e la faccia tosta, Castiel non aveva ereditato nulla dal padre. Era strano, eccentrico, presuntuoso, ma lo conoscevo abbastanza bene da sapere che non era cattivo. Almeno non con me. Non avrebbe mai fatto nulla di così terribile nei miei confronti, ne ero certa.
"Castiel non è così." mi sfuggì inavvertitamente.
"Lo so." mi rispose Mami. "Se non stai ancora affogando la depressione nell'alcol è perché mio figlio è un uomo migliore di suo padre. È intelligente, responsabile, generoso... e dannatamente bellissimo."
Mi alzai per scacciare una lacrima di commozione che minacciava di rivelare alla terribile Mami tutta la mia debolezza e andai ad aprire la finestra. Dovetti sembrarle impazzita, perché stava diluviando.
"Che bel temporale!" esclamò lei stirando le braccia.
Io guardai i nuvoloni grigi e minacciosi, pensando a quando lui sarebbe finalmente tornato a casa.
"Già... È davvero bellissimo."
E parlava così tanto. Davvero, tanto. Non mi dava il tempo di rispondere alle sue domande, perché ipotizzava ad alta voce le mie risposte. E le sue domande diventavano ogni giorno più imbarazzanti per me.
"Riesci a soddisfare mio figlio con quel corpicino gracile? Be', forse sarai più semplice da maneggiare. Solo, mi domandavo... sei così piccola, le posizioni non saranno un po' limitate? Be', forse conoscerai altri modi per farlo divertire. Dio, la monotonia sotto le lenzuola è terribile."
Imparai a non arrossire più. L'unico modo per impedirle chiedermi dettagli sulla mia vita sessuale era farla parlare a lungo, tanto a lungo da stancarla. E c'erano due argomenti sui quali Mami aveva sempre molto da dire: Castiel e suo padre.
"Come ha conosciuto Gabriel December?" le domandai per salvarmi, una volta.
Il suo sguardo divenne immensamente triste.
"Gabriel..." mormorò assorta, "Non avrei mai sognato di incontrarlo. Ero solo una ragazzina, forse più giovane di te. Mi sembrò... il sole. Mi trattava così bene, e non avevo mai visto un vero giornalista in vita mia. Venne nel locale in cui lavoravo insieme al suo cameraman, mi puntò gli occhi addosso e mi diede un sacco di soldi prima ancora che mi levassi la maglietta. E poi cominciò con i complimenti, e mi chiese cosa ci facessi lì, e... tutte le solite cose che gli uomini fanno per portarsi le ragazze stupide a letto."
Sorrisi ironicamente tra me e me. Trattarmi bene? Ricoprirmi di complimenti? Castiel non lo aveva mai fatto, eppure ero finita nel suo letto lo stesso. Forse non ero stupida, pensai, ero una completa idiota.
"Mi promise che mi avrebbe portata via." continuò a raccontare Mami. "E io ci cascai con tutte le scarpe. Mi offrì la cena in un ristorante. Io non ci ero mai entrata in un ristorante vero, capisci? Ero convinta che mi amasse... e sono rimasta incinta." sbuffò nervosamente e aggiunse, "Mi chiese di abortire. Lo mandai a farsi fottere in quel momento. Decisi di tenere il bambino perché volevo un pezzo di lui con me, per sempre. E in cambio, lui mi abbandonò senza neanche avvertirmi."
La sua storia mi trascinò al punto che le chiesi di andare avanti.
"Poi, quando è nato il mio Castiel, l'ho cercato. Volevo che desse il suo cognome a suo figlio e infondo speravo che ci saremmo sposati, e saremmo stati felici, e... le solite cose che le ragazze stupide pensano, quando vengono ingannate da qualcuno. Non so come, ma riuscii a convincerlo. Forse gli facevo solo pena. Ma comunque, Gabriel se ne andò lo stesso, fece richiesta per l'affidamento di suo figlio qualche tempo dopo e il tribunale glielo concesse senza alcuna obiezione."
Fu quella volta che capii che, a parte gli occhi e la faccia tosta, Castiel non aveva ereditato nulla dal padre. Era strano, eccentrico, presuntuoso, ma lo conoscevo abbastanza bene da sapere che non era cattivo. Almeno non con me. Non avrebbe mai fatto nulla di così terribile nei miei confronti, ne ero certa.
"Castiel non è così." mi sfuggì inavvertitamente.
"Lo so." mi rispose Mami. "Se non stai ancora affogando la depressione nell'alcol è perché mio figlio è un uomo migliore di suo padre. È intelligente, responsabile, generoso... e dannatamente bellissimo."
Mi alzai per scacciare una lacrima di commozione che minacciava di rivelare alla terribile Mami tutta la mia debolezza e andai ad aprire la finestra. Dovetti sembrarle impazzita, perché stava diluviando.
"Che bel temporale!" esclamò lei stirando le braccia.
Io guardai i nuvoloni grigi e minacciosi, pensando a quando lui sarebbe finalmente tornato a casa.
"Già... È davvero bellissimo."
Published on November 06, 2014 14:47
October 29, 2014
Racconto di Halloween - Miss Jackson
"Raccontaci una storia di fantasmi!" squittì una ragazza, sporgendosi verso di lui e facendo oscillare le fiamme di alcune candele con il proprio movimento.
"Sì, facci spaventare!" incalzò l'altra.
Castiel sospirò. Non gli piaceva molto raccontare storie, e non amava in particolare quelle di fantasmi, ma dopotutto era la notte di Halloween, e le sue clienti erano così entusiaste e chiassose. Almeno, se si fossero messe buone ad ascoltarlo, avrebbero fatto silenzio.
"Non conosco storie di fantasmi." rispose galantemente. "Ma ne ho letta una interessante in un libro, una volta."
"Va bene lo stesso!" acconsentì la terza cliente, seduta di fronte a lui. "Adoro la tua voce, ti ascolterei per ore."
"Grazie." alzò lo sguardo verso il tavolo di fronte, dove Emily stava ripulendo le tracce lasciate dall'ultimo appuntamento di Noah, e la chiamò con un cenno. "Emily, vieni qui per favore."
Lei ubbidì immediatamente, si avvicinò e chiese:
"Sì?"
"Siediti insieme a noi. Vi racconterò la storia di Miss Jackson." accavallò le gambe, poggiò una mano sul ginocchio e cominciò a parlare con calma, mentre le sue clienti, un po' indispettite dalla presenza di Emily, aspettavano ansiosamente.
"Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Lord Farey e Mr. Shawn premeditavano una tremenda vendetta nel laboratorio segreto del primo. C'era una vedova che Lord Farey voleva morta ad ogni costo. Lui gli si era proposto molte volte, come secondo marito o come amante, ma lei lo aveva sempre rifiutato, infliggendogli ogni volta una nuova ferita nell'orgoglio e nel cuore.
Mr. Shawn, ovviamente, non aveva alcun legame con questa storia. La sua unica sfortuna era quella di essere amico di Lord Farey, e incapace di rifiutare la sua richiesta di aiuto.
Dunque, i due confabulavano di commettere questo omicidio, ma avevano intenzione di renderlo un delitto perfetto. Innanzitutto, nessuno di loro voleva sporcarsi le mani, per cui decisero che avrebbero indotto qualcun altro a macchiarsi di tale peccato. La seconda cosa che stabilirono fu che si sarebbe trattato di una donna, in quanto sarebbe stato molto più semplice farla avvicinare alla vittima. Infine, per fare in modo che il delitto fosse veramente perfetto, avevano bisogno di qualcuno impossibile da identificare, un colpevole che agisse nell'ombra più totale. E chi avrebbe potuto fare al caso loro, meglio di una persona deceduta? Una donna morta non poteva essere accusata di nulla, né rintracciata. Qualsiasi prova contro di essa sarebbe stata totalmente futile: come poteva una donna morta risorgere dalla tomba per uccidere qualcuno?"
Emily ridacchiò e si spostò una ciocca di capelli:
"Quindi, i due decisero di evocare un fantasma, Castiel? Non mi aspettavo una storia tanto banale da te."
"Infatti, avevi detto che non conoscevi storie di fantasmi, Castiel!" si unì una cliente.
Lui annuì e riprese a raccontare:
"Lord Farey e Mr. Shawn non evocarono alcun fantasma, mia cara. All'inizio della storia, ho detto che i due amici si trovavano in un laboratorio segreto. Lord Farey era in possesso di un esotico macchinario in grado di ridare vita a qualcuno che fosse morto da non molto tempo, e che fosse tutto intero, ovviamente. Non chiedetemi quali principi ci fossero dietro a questa diavoleria, perché nessuno ne era a conoscenza.
Dunque, una sera, i due si recarono al cimitero, alla ricerca di ciò che cercavano. Camminando tra le file di croci e lapidi, trovarono la tomba di Miss Jackson. Il ritratto inciso rivelava una ragazza bellissima, giovane e dai lunghi boccoli scuri, come quelli di Emily. Il terreno sotto il quale la fanciulla riposava era ancora morbido, segno che la sua triste morte era avvenuta da poco. Armati degli strumenti necessari, cominciarono a scavare, fecero emergere la bara, la forzarono e si trovarono di fronte alla ragazza. Era ancora più bella di quanto credessero.
Lord Farey chiese all'amico di prendere la ragazza in braccio per trasportarla al laboratorio, e Mr. Shawn ubbidì. Era fredda come il ghiaccio, ma la sua pelle era ancora morbida e liscia come la porcellana. Sembrava quasi che dormisse.
Nel laboratorio, legarono Miss Jackson con delle cinghie su un lettino e azionarono il macchinario. Poco dopo, sotto gli occhi increduli di entrambi, la giovane prese a tremare, poi a dimenarsi, bloccata dai legacci che la tenevano ferma, e infine spalancò i suoi grandi occhi.
Mr. Shawn corse a liberarla, mentre Lord Farey osservò meravigliato il risultato della sua opera. Ben presto, però, si resero conto che Miss Jackson era totalmente priva di memoria. Non conosceva nessuno, non ricordava le strade della città, non riconosceva alcuni oggetti. Tutto sommato, era meglio così, conclusero i due. Morta e senza ricordi: impossibile da trovare persino per il migliore degli ispettori e facile da plagiare.
Lord Farey istruì per bene la ragazza. Le mostrò come usare un pugnale per uccidere una persona e le fece vedere molte volte la sfortunata vittima delle sue congiure, in modo che la riconoscesse anche in mezzo alla folla.
Mr. Shawn, invece, si occupò di rieducare la dolce Miss Jackson, così che sarebbe riuscita a mescolarsi tra la gente come una signorina comune. Le insegnò le buone maniere, fecero insieme lunghe passeggiate e lesse per lei molti libri. Era inevitabile che finisse per innamorarsi di lei."
Emily ridacchiò di nuovo, ma infondo, quel racconto la intrigava.
"Che cos'è, una grottesca commedia romantica?"
Castiel sospirò.
"Non interrompermi, Emily.
Essendosi innamorato di lei, Mr. Shawn propose un piano alla ragazza: dopo aver realizzato la vendetta dell'amico, si sarebbero incontrati al cimitero, alla tomba di Miss Jackson, e sarebbero fuggiti insieme.
Arrivò il giorno in cui il delitto doveva essere compiuto. Di sera, con il pugnale nascosto nel corsetto, Miss Jackson si avviò sulle tracce della donna che tanto aveva fatto soffrire Lord Farey. La vide nel giardino della sua villa, insieme ai suoi bambini. Ridevano, e giocavano insieme. Teneva tra le braccia uno dei piccoli.
Miss Jackson esitò, si ribellò ai suoi ordini, lasciò cadere a terra il pugnale e corse via, diretta al cimitero, per incontrare Mr. Shawn e fuggire.
Purtroppo, però, Lord Farey scoprì l'accaduto e si infuriò. Recuperò la propria arma brutalmente gettata via dalla giovane risorta e la pedinò, intenzionato a toglierle la vita che le aveva ridato con lo stesso pugnale. Arrivato sul luogo dell'incontro apprese che persino il suo migliore amico, Mr. Shawn, aveva cospirato alle sue spalle.
Si avventò ferocemente sulla ragazza, ma l'amico lo contrastò, e al prezzo di una ferita, riuscì a salvarla.
Accecato dalla rabbia, Lord Farey abbandonò il pugnale per lanciarsi su Mr. Shawn e colpirlo a mani nude in pieno viso.
Di fronte a quello scempio, Miss Jackson cominciò a riflettere: se era tornata alla vita solo per uccidere una donna innocente, solo per mettere due amici l'uno contro l'altro, allora avrebbe preferito piuttosto restare morta. Quindi prese l'affilato pugnale abbandonato da Farey, se lo puntò dritto al cuore e... i due uomini, incapaci di reagire, la videro cadere e tornare alla morte, sulla sua stessa tomba."
Finito il racconto, Castiel guardò le sue clienti allibite, che, con la bocca schiusa, ancora pendevano dalle sue labbra.
"Che finale triste." commentò una delle ragazze. "Perché Miss Jackson avrebbe dovuto fare una cosa del genere?"
"Forse perché non voleva più lasciarsi usare." intervenne Emily, alzandosi per tornare al proprio lavoro. "È una bella storia, Castiel. Grazie di avermela raccontata."
"Sì, facci spaventare!" incalzò l'altra.
Castiel sospirò. Non gli piaceva molto raccontare storie, e non amava in particolare quelle di fantasmi, ma dopotutto era la notte di Halloween, e le sue clienti erano così entusiaste e chiassose. Almeno, se si fossero messe buone ad ascoltarlo, avrebbero fatto silenzio.
"Non conosco storie di fantasmi." rispose galantemente. "Ma ne ho letta una interessante in un libro, una volta."
"Va bene lo stesso!" acconsentì la terza cliente, seduta di fronte a lui. "Adoro la tua voce, ti ascolterei per ore."
"Grazie." alzò lo sguardo verso il tavolo di fronte, dove Emily stava ripulendo le tracce lasciate dall'ultimo appuntamento di Noah, e la chiamò con un cenno. "Emily, vieni qui per favore."
Lei ubbidì immediatamente, si avvicinò e chiese:
"Sì?"
"Siediti insieme a noi. Vi racconterò la storia di Miss Jackson." accavallò le gambe, poggiò una mano sul ginocchio e cominciò a parlare con calma, mentre le sue clienti, un po' indispettite dalla presenza di Emily, aspettavano ansiosamente.
"Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Lord Farey e Mr. Shawn premeditavano una tremenda vendetta nel laboratorio segreto del primo. C'era una vedova che Lord Farey voleva morta ad ogni costo. Lui gli si era proposto molte volte, come secondo marito o come amante, ma lei lo aveva sempre rifiutato, infliggendogli ogni volta una nuova ferita nell'orgoglio e nel cuore.
Mr. Shawn, ovviamente, non aveva alcun legame con questa storia. La sua unica sfortuna era quella di essere amico di Lord Farey, e incapace di rifiutare la sua richiesta di aiuto.
Dunque, i due confabulavano di commettere questo omicidio, ma avevano intenzione di renderlo un delitto perfetto. Innanzitutto, nessuno di loro voleva sporcarsi le mani, per cui decisero che avrebbero indotto qualcun altro a macchiarsi di tale peccato. La seconda cosa che stabilirono fu che si sarebbe trattato di una donna, in quanto sarebbe stato molto più semplice farla avvicinare alla vittima. Infine, per fare in modo che il delitto fosse veramente perfetto, avevano bisogno di qualcuno impossibile da identificare, un colpevole che agisse nell'ombra più totale. E chi avrebbe potuto fare al caso loro, meglio di una persona deceduta? Una donna morta non poteva essere accusata di nulla, né rintracciata. Qualsiasi prova contro di essa sarebbe stata totalmente futile: come poteva una donna morta risorgere dalla tomba per uccidere qualcuno?"
Emily ridacchiò e si spostò una ciocca di capelli:
"Quindi, i due decisero di evocare un fantasma, Castiel? Non mi aspettavo una storia tanto banale da te."
"Infatti, avevi detto che non conoscevi storie di fantasmi, Castiel!" si unì una cliente.
Lui annuì e riprese a raccontare:
"Lord Farey e Mr. Shawn non evocarono alcun fantasma, mia cara. All'inizio della storia, ho detto che i due amici si trovavano in un laboratorio segreto. Lord Farey era in possesso di un esotico macchinario in grado di ridare vita a qualcuno che fosse morto da non molto tempo, e che fosse tutto intero, ovviamente. Non chiedetemi quali principi ci fossero dietro a questa diavoleria, perché nessuno ne era a conoscenza.
Dunque, una sera, i due si recarono al cimitero, alla ricerca di ciò che cercavano. Camminando tra le file di croci e lapidi, trovarono la tomba di Miss Jackson. Il ritratto inciso rivelava una ragazza bellissima, giovane e dai lunghi boccoli scuri, come quelli di Emily. Il terreno sotto il quale la fanciulla riposava era ancora morbido, segno che la sua triste morte era avvenuta da poco. Armati degli strumenti necessari, cominciarono a scavare, fecero emergere la bara, la forzarono e si trovarono di fronte alla ragazza. Era ancora più bella di quanto credessero.
Lord Farey chiese all'amico di prendere la ragazza in braccio per trasportarla al laboratorio, e Mr. Shawn ubbidì. Era fredda come il ghiaccio, ma la sua pelle era ancora morbida e liscia come la porcellana. Sembrava quasi che dormisse.
Nel laboratorio, legarono Miss Jackson con delle cinghie su un lettino e azionarono il macchinario. Poco dopo, sotto gli occhi increduli di entrambi, la giovane prese a tremare, poi a dimenarsi, bloccata dai legacci che la tenevano ferma, e infine spalancò i suoi grandi occhi.
Mr. Shawn corse a liberarla, mentre Lord Farey osservò meravigliato il risultato della sua opera. Ben presto, però, si resero conto che Miss Jackson era totalmente priva di memoria. Non conosceva nessuno, non ricordava le strade della città, non riconosceva alcuni oggetti. Tutto sommato, era meglio così, conclusero i due. Morta e senza ricordi: impossibile da trovare persino per il migliore degli ispettori e facile da plagiare.
Lord Farey istruì per bene la ragazza. Le mostrò come usare un pugnale per uccidere una persona e le fece vedere molte volte la sfortunata vittima delle sue congiure, in modo che la riconoscesse anche in mezzo alla folla.
Mr. Shawn, invece, si occupò di rieducare la dolce Miss Jackson, così che sarebbe riuscita a mescolarsi tra la gente come una signorina comune. Le insegnò le buone maniere, fecero insieme lunghe passeggiate e lesse per lei molti libri. Era inevitabile che finisse per innamorarsi di lei."
Emily ridacchiò di nuovo, ma infondo, quel racconto la intrigava.
"Che cos'è, una grottesca commedia romantica?"
Castiel sospirò.
"Non interrompermi, Emily.
Essendosi innamorato di lei, Mr. Shawn propose un piano alla ragazza: dopo aver realizzato la vendetta dell'amico, si sarebbero incontrati al cimitero, alla tomba di Miss Jackson, e sarebbero fuggiti insieme.
Arrivò il giorno in cui il delitto doveva essere compiuto. Di sera, con il pugnale nascosto nel corsetto, Miss Jackson si avviò sulle tracce della donna che tanto aveva fatto soffrire Lord Farey. La vide nel giardino della sua villa, insieme ai suoi bambini. Ridevano, e giocavano insieme. Teneva tra le braccia uno dei piccoli.
Miss Jackson esitò, si ribellò ai suoi ordini, lasciò cadere a terra il pugnale e corse via, diretta al cimitero, per incontrare Mr. Shawn e fuggire.
Purtroppo, però, Lord Farey scoprì l'accaduto e si infuriò. Recuperò la propria arma brutalmente gettata via dalla giovane risorta e la pedinò, intenzionato a toglierle la vita che le aveva ridato con lo stesso pugnale. Arrivato sul luogo dell'incontro apprese che persino il suo migliore amico, Mr. Shawn, aveva cospirato alle sue spalle.
Si avventò ferocemente sulla ragazza, ma l'amico lo contrastò, e al prezzo di una ferita, riuscì a salvarla.
Accecato dalla rabbia, Lord Farey abbandonò il pugnale per lanciarsi su Mr. Shawn e colpirlo a mani nude in pieno viso.
Di fronte a quello scempio, Miss Jackson cominciò a riflettere: se era tornata alla vita solo per uccidere una donna innocente, solo per mettere due amici l'uno contro l'altro, allora avrebbe preferito piuttosto restare morta. Quindi prese l'affilato pugnale abbandonato da Farey, se lo puntò dritto al cuore e... i due uomini, incapaci di reagire, la videro cadere e tornare alla morte, sulla sua stessa tomba."
Finito il racconto, Castiel guardò le sue clienti allibite, che, con la bocca schiusa, ancora pendevano dalle sue labbra.
"Che finale triste." commentò una delle ragazze. "Perché Miss Jackson avrebbe dovuto fare una cosa del genere?"
"Forse perché non voleva più lasciarsi usare." intervenne Emily, alzandosi per tornare al proprio lavoro. "È una bella storia, Castiel. Grazie di avermela raccontata."
Published on October 29, 2014 12:19
October 25, 2014
A Devil in Paris - Lovely Hell
Una volta stavo per dirglielo.
Stavo per commettere l'errore più grande, e ho rischiato di perderlo.
Mi teneva stretta tra le sue braccia, alle mie spalle. Mi accarezzava lentamente, faceva scorrere le sue dita fredde sulla mia pelle, al buio della nostra stanza. Si divertiva a stuzzicarmi, a farmi ansimare e a tenermi ferma, finché, stanca dell'attesa, finivo per implorarlo a darmi di più.
Quella sera, forse perché era da molto tempo che non passavamo la notte insieme, fu di una dolcezza indimenticabile. Trascinata in una lunga agonia, tra gli spasmi e i suoi baci febbrili, il suo profumo, e guardando quegli occhi famelici, schiusi le labbra e pronunciai il suo nome con voce tremante.
"Castiel, io..."
Lui lo intuì, in qualche modo. Mise una mano sulla mia bocca per farmi tacere e rispose soltanto:
"No."
Lo guardai intensamente. Cercai di dirglielo con gli occhi, ma aveva già capito, e non c'era alcun bisogno di fare altro.
"Non dirlo." mi intimò in un sussurro. "Odio quella frase. La odio con tutto me stesso."
Poi, come a voler spezzare l'incanto in cui mi aveva annegata, riprese a farmi male, ad affondare dentro di me con più forza. In realtà, in quel modo mi faceva impazzire ancora di più.
Anche se non voleva sentirselo dire, anche se non mi permetteva di dirglielo, non poteva impedire che glielo esprimessi in altri modi, in tutti i modi possibili.
Infondo, non avevo davvero bisogno di parole per farglielo capire.
Anche nel suo inferno, nella sua prigione, in mezzo ai suoi sentimenti contrastanti, non potevo fare a meno di amarlo.
Stavo per commettere l'errore più grande, e ho rischiato di perderlo.
Mi teneva stretta tra le sue braccia, alle mie spalle. Mi accarezzava lentamente, faceva scorrere le sue dita fredde sulla mia pelle, al buio della nostra stanza. Si divertiva a stuzzicarmi, a farmi ansimare e a tenermi ferma, finché, stanca dell'attesa, finivo per implorarlo a darmi di più.
Quella sera, forse perché era da molto tempo che non passavamo la notte insieme, fu di una dolcezza indimenticabile. Trascinata in una lunga agonia, tra gli spasmi e i suoi baci febbrili, il suo profumo, e guardando quegli occhi famelici, schiusi le labbra e pronunciai il suo nome con voce tremante.
"Castiel, io..."
Lui lo intuì, in qualche modo. Mise una mano sulla mia bocca per farmi tacere e rispose soltanto:
"No."
Lo guardai intensamente. Cercai di dirglielo con gli occhi, ma aveva già capito, e non c'era alcun bisogno di fare altro.
"Non dirlo." mi intimò in un sussurro. "Odio quella frase. La odio con tutto me stesso."
Poi, come a voler spezzare l'incanto in cui mi aveva annegata, riprese a farmi male, ad affondare dentro di me con più forza. In realtà, in quel modo mi faceva impazzire ancora di più.
Anche se non voleva sentirselo dire, anche se non mi permetteva di dirglielo, non poteva impedire che glielo esprimessi in altri modi, in tutti i modi possibili.
Infondo, non avevo davvero bisogno di parole per farglielo capire.
Anche nel suo inferno, nella sua prigione, in mezzo ai suoi sentimenti contrastanti, non potevo fare a meno di amarlo.
Published on October 25, 2014 11:53
October 23, 2014
Charming Devil - Book Trailer
Nessuno di noi è un professionista, qui.
Facciamo del nostro meglio.
L'illustratore di Charming Devil è un ragazzo di 17 anni, autodidatta.
La persona che ha realizzato il mio logo è poco meno giovane, e non ha chiesto compensi.
Chi ha messo insieme il video di seguito, non lo fa certo per mestiere. È solo qualcuno che ha più pazienza di me con queste cose, tutto qui.
Io? Non smetterò mai di imparare a scrivere. Ogni giorno sono soddisfatta dei miei progressi.
È con questo spirito che vi presento il Book Trailer di Charming Devil.
Ringrazio i miei lettori.
Facciamo del nostro meglio.
L'illustratore di Charming Devil è un ragazzo di 17 anni, autodidatta.
La persona che ha realizzato il mio logo è poco meno giovane, e non ha chiesto compensi.
Chi ha messo insieme il video di seguito, non lo fa certo per mestiere. È solo qualcuno che ha più pazienza di me con queste cose, tutto qui.
Io? Non smetterò mai di imparare a scrivere. Ogni giorno sono soddisfatta dei miei progressi.
È con questo spirito che vi presento il Book Trailer di Charming Devil.
Ringrazio i miei lettori.
Published on October 23, 2014 14:47
October 17, 2014
A Devil in Paris - A Devil's Child
Stando da sola, avevo molto tempo per pensare. Quelle rare volte in cui uscivo non parlavo con nessuno, perché non riuscivo a capire una sola parola di ciò che sentivo. Castiel aveva provato a insegnarmi alcune frasi in francese, ma ero davvero negata.
E così, sola con me stessa, pensavo a tante cose. Fantasticavo, sognavo che un giorno lui tornasse a casa con una rosa tra le mani e mi dichiarasse il suo amore. Che cosa assurda, patetica e impossibile.
Castiel comprava la libertà degli altri, in modo subdolo incatenava a sé le persone che desiderava, ma lui rimaneva inafferrabile, sovrastante e libero, come un re.
Eppure c'era una sola cosa che riusciva a fargli chinare la testa, un solo nome, un ricordo, un pensiero fisso. Hannah.
Una mattina, davanti allo specchio, si osservò con una sorta di inquietudine. Gli passai davanti, e lui mi fece una domanda strana, ma in qualche modo ricca di dolore.
"Emily, tu... vorresti avere un figlio da me?"
Sarebbe stato facile cascarci, credere che stesse pensando davvero a un futuro insieme, ma ormai lo conoscevo bene. Castiel non intendeva illudermi. In realtà, stava solo ripensando a lei, a Hannah. La sua indimenticabile Hannah.
"No." gli risposi freddamente.
Era una bugia talmente evidente, che non mi sforzai di aggiungere altro. Qualunque cosa che avrebbe potuto legarmi a Castiel per sempre, era ciò che desideravo.
"Sarei un pessimo padre, non è vero?"
"No, al contrario. Con la tua gelosia e la mania di controllo saresti un padre perfetto." obiettai. "Saresti presente in ogni momento, protettivo e responsabile. Però, non potrei mai donare una cosa tanto preziosa a qualcuno che..." esitai. Ciò che stavo per dire faceva male soprattutto a me, e rendeva reale la mia paura più grande. "A qualcuno che mi abbandonerebbe."
Non so di preciso quale fosse stato il motivo, ma le mie parole lo infastidirono profondamente. Si voltò di scatto, strinse il mio mento tra le sue dita e mi impedì di distogliere lo sguardo. In quei momenti, dimenticava di moderare la propria forza, e mi faceva un po' male.
"Vorresti dire che con qualcun altro lo faresti?" sibilò nelle mie orecchie.
"No. Non in questo momento."
"Bene. Perché nella tua testa voglio restare solo, chiaro?" mi intimò, strattonandomi leggermente il viso.
"Chiaro."
"Brava bambina."
Gli sorrisi. Chi altro avrebbe mai potuto prendere il posto di quel diavolo, dentro di me?
E così, sola con me stessa, pensavo a tante cose. Fantasticavo, sognavo che un giorno lui tornasse a casa con una rosa tra le mani e mi dichiarasse il suo amore. Che cosa assurda, patetica e impossibile.
Castiel comprava la libertà degli altri, in modo subdolo incatenava a sé le persone che desiderava, ma lui rimaneva inafferrabile, sovrastante e libero, come un re.
Eppure c'era una sola cosa che riusciva a fargli chinare la testa, un solo nome, un ricordo, un pensiero fisso. Hannah.
Una mattina, davanti allo specchio, si osservò con una sorta di inquietudine. Gli passai davanti, e lui mi fece una domanda strana, ma in qualche modo ricca di dolore.
"Emily, tu... vorresti avere un figlio da me?"
Sarebbe stato facile cascarci, credere che stesse pensando davvero a un futuro insieme, ma ormai lo conoscevo bene. Castiel non intendeva illudermi. In realtà, stava solo ripensando a lei, a Hannah. La sua indimenticabile Hannah.
"No." gli risposi freddamente.
Era una bugia talmente evidente, che non mi sforzai di aggiungere altro. Qualunque cosa che avrebbe potuto legarmi a Castiel per sempre, era ciò che desideravo.
"Sarei un pessimo padre, non è vero?"
"No, al contrario. Con la tua gelosia e la mania di controllo saresti un padre perfetto." obiettai. "Saresti presente in ogni momento, protettivo e responsabile. Però, non potrei mai donare una cosa tanto preziosa a qualcuno che..." esitai. Ciò che stavo per dire faceva male soprattutto a me, e rendeva reale la mia paura più grande. "A qualcuno che mi abbandonerebbe."
Non so di preciso quale fosse stato il motivo, ma le mie parole lo infastidirono profondamente. Si voltò di scatto, strinse il mio mento tra le sue dita e mi impedì di distogliere lo sguardo. In quei momenti, dimenticava di moderare la propria forza, e mi faceva un po' male.
"Vorresti dire che con qualcun altro lo faresti?" sibilò nelle mie orecchie.
"No. Non in questo momento."
"Bene. Perché nella tua testa voglio restare solo, chiaro?" mi intimò, strattonandomi leggermente il viso.
"Chiaro."
"Brava bambina."
Gli sorrisi. Chi altro avrebbe mai potuto prendere il posto di quel diavolo, dentro di me?
Published on October 17, 2014 06:01


