Sergio Peter's Blog, page 3

June 11, 2014

Una recensione per La Balena Bianca

Una recensione per La Balena Bianca


Ho scritto un pezzo sull’ultimo libro di Celati, Selve d’amore


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Published on June 11, 2014 01:33

June 9, 2014

IL CILIEGIO (ESTRATTO DA UN ROMANZO MAI SCRITTO – PARTE 3/3)

Cherry


Dopo qualche istante raggiunsero il lavatoio, dove si fermarono a bere. Si rinfrescarono e si sedettero sugli scalini. Erano visibilmente stanchi dopo quella corsa e affamati, nonostante la grassa e gratuita degustazione di ciliegie.


Il figlio del finanziere sedeva composto con il grembiule in mano. Portava una camicia verde pisello e dei pantaloni marroni, di velluto, con scarpe nere. Al suo fianco Ugo sentiva parecchio caldo a causa dei pantaloni di fustagno grigi che la mamma gli aveva imposto di indossare (“Se no te ciapet frech!”, gli aveva detto) e soprattutto per colpa del maglione di lana che aveva sotto al grembiule e che la madre aveva cucito per lui l’inverno precedente. Le guance dei ragazzini erano rosse; le gole ansimanti; dalla bocca di Guglielmo scapparono, inoltre, un paio di sbadigli.


«È ora di andare a casa, mi sa!» disse Guglielmo.


«Hai ragione! C’ho una fame da lupi!»


«Ci vediamo alla messa delle sei?»


«Va bene! Ma se vieni su in piazza della chiesa già prima io sarò lì a giocare con il Fausto e gli altri!»


«Dipende da cosa dice il babbo! Se riesco a finire tutti i compiti vengo quasi di sicuro!»


«A dopo, allora!»


I due si alzarono e si salutarono, andando in due direzioni opposte. Ugo, infatti, abitava nel centro storico della frazione di Cardano, mentre Guglielmo viveva in un appartamento in località Re Magi, vicino alla strada statale per la Svizzera.


Il ragazzino con la cartella bucata quindi, si diresse verso la chiesa, mentre il figlio del finanziere scese per la via che portava nella zona più nuova del paese.


Direttosi saltellando verso casa Ugo iniziò a fischiettare. Lasciandosi sulla destra il cimitero, raggiunse la piazza della chiesa e decise di percorrere, tra le due viuzze che poteva scegliere per raggiungere l’abitazione, quella sulla sinistra. Gli capitò, in quel modo, di passare davanti alla trattoria Giulia. Poté udire, distintamente, la voce degli adulti, già riuniti per giocare a carte, discutere delle ultime nuove della zona e gustarsi un po’ di vino.


Solo una volta, nella sua giovane vita, Ugo aveva bevuto qualcosa di alcolico. Una sera, infatti, Giovanni, suo padre gli aveva versato nella gassosa un goccio di vino rosso che, come dicevano tutti in famiglia: «L’è bon, e po el fa sang!». Lui era rimasto disgustato e per questo non capiva cosa ci trovassero, di tanto divertente nell’alcol, quei signori che vedeva seduti alla trattoria. “Forse quando sarò più grande capirò… Speriamo!” pensava, tra sé e sé il ragazzetto.


Ugo sapeva che alla trattoria vendevano anche le sigarette perché ogni tanto qualche signore anziano del paese, incontrandolo in piazza, lo mandava a comprargli un pacchetto di Nazionali. Ma aveva deciso che lui non avrebbe mai iniziato a fumare perché le poche volte che gli era capitato di aspirare del fumo si era messo subito a tossire. E lui odiava la tosse.


Passati questi pensieri il bambino si avviò lungo la via che dalla piazza della chiesa porta alla piazza Bagatti. Dopo aver superato la trattoria iniziò a correre, non sveltissimo, ma quel tanto per essere sicuro di passare il minor tempo possibile in quella viuzza così stretta.


La preferiva, comunque alla strada di destra, perché era l’unico modo per evitare di incontrare il Ginu di Noc con il suo cane (che pareva sempre dovesse azzannarti da un momento all’altro).


Arrivò così, finalmente, nella seconda piazza, passò davanti alla Villa Bagatti-Valsecchi, girò a destra e dopo pochi passi in un altro stretto vicolo raggiunse, infine, la via dove abitava con la sua famiglia da quando era nato.


La madre lo aspettava sulla soglia, con un’espressione piuttosto preoccupata. Lo guardò e subito gli chiese: «Ciao Ugo! Ma dove sei stato fino adesso? E cos’hai fatto al grembiule? Vai a lavarti la faccia e le mani! Muoviti, ché è pronto!»


«Ciao mami! Son stato un po’ col Giacomino e col Guglielmo a giocare nei prati!»


«Solo questo? Sei sicuro? E come mai ci sono quelle macchie rosse sul grembiule?»


«Non lo so…»


«Tu non me la racconti giusta caro mio… Siete andati ancora a rubar ciliegie sulla pianta del Renato?»


«Sì, mamma! È vero. Sono andato sul ciliegio. Ma non ho rubato niente! Abbiamo solo preso qualche ciliegia. Poche…!»


«Come, preso? E che differenza c’è tra prendere un cosa non tua e rubarla?»


«Ma noi non è che le abbiamo prese le ciliegie… Le abbiamo mangiate!»


«E’ la stessa cosa! Poo l’è nurmal che te manget nagot de quel che fo mii!»


«Scusa mami, hai ragione! Ma ti prometto che oggi finisco tutto! Cos c’è da mangiare?»


«In coo ghe’l picio-pacio… A te set cuntent


«Il picio-pacio! Grande! Te set la mama più see brava del mund


«Dai, vai a lavarti e poi vieni a tavola! E tu, piuttosto, hai fatto il bravo a scuola?»


«Sì, sì! La maestra non mi ha sgridato neanche una volta!» disse mentendo.


«Sei proprio sicuro?»


«Sì. Giuro. Giuro sulla pelle del canguro!»


«E questa chi te l’ha insegnata?»


«Me l’ha fatta dire una volta il papi. Papà, papà! Perché non risponde? Dov’è?»


«Non c’è! È andato a fare dei lavori…»


«E quando torna? Viene a casa stasera?»


«Non lo so Ugo. Hai lavato le mani?»


«Ecco, sì. Mh… Che buono il picio-pacio!»


Era la cosa che più aveva desiderato la mattina a scuola e la mamma gliela aveva preparata veramente! Per questo Ugo era felice. Un po’ stanco, ma contento. Gli dispiaceva soltanto che suo papà, come al solito, non fosse lì con lui e la mamma a prendersi qualche cucchiaiata di picio-pacio, direttamente dalla pentola di rame, e a bersi un po’ di vino e spuma.


 


«Se no prendi freddo!»


«E buono e poi fa sangue!»


«Poi è normale che non mangi mai niente di quello che faccio io!


«Oggi c’è il picio-pacio… Sei contento?»


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Published on June 09, 2014 10:53

June 8, 2014

#Dettato su “Internazionale”


Sull’ultimo numero di “Internazionale” nella rubrica “Ricevuti” si parla anche di #Dettato


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Published on June 08, 2014 14:06

La collana #Romanzi di Tunué su TuStyle

La collana #Romanzi di Tunué su TuStyle


#Dettato su TuStyle


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Published on June 08, 2014 14:02

June 5, 2014

June 4, 2014

IL CILIEGIO (ESTRATTO DA UN ROMANZO MAI SCRITTO – PARTE 2/3

Cherry


Attraversata la strada, senza nemmeno guardare, fu il primo a calpestare i ciuffi verdognoli del prato di Renato (che se l’avesse saputo avrebbe sparato un colpo di sciopa quei furfanti…) e a raggiungere il ciliegio.


Lanciata la cartella di cuoio per alleggerirsi prima dell’arrampicata Ugo fu subito sul ramo più alto della pianta. Di lì a poco lo raggiunsero i due amici. «Grazie di averci aspettato, come al solito! Non ce la fai proprio a resistere?» chiese Guglielmo a Ugo. Ma quest’ultimo non rispose…


«Guarda che se te ne manget trop a te vee la cagarela…!» disse Giacomino, ridendo, e facendo un salto per prendersi un paio di ciliegie da un ramo sopra di lui.


Con la faccia tutta rossa, quasi come un vampiro che avesse appena addentato il collo della vittima, Ugo cercò, in qualche modo, di rispondere: «Vsch… Scusate! Volevo prendermi le più rosse. Lo sapete che quelle più scure son le più dolci?»


«Eh, sì che lo so…» disse il figlio del finanziere.


«Mi preferisi quelle aspre, i ee più se bonn!» puntualizzò il piccoletto coi pantaloncini.


«Ugo, ma hai messo il rossetto? Fai come la maestra Monica? Chi devi baciare? La Rinetta?» chiese, divertito, Guglielmo.


Rina Gelzini è il nome della figlia della dottoressa, compagna di banco di Ugo e oggetto di numerosi scherzi durante l’anno scolastico.


«Va da via’l cu, Gugl’, te l’ho detto che non mi piace… A me mi piace la Maria!»


«Allora perché non ti siedi vicino a lei, e non a quella smorfiosetta lì!?» chiesero insieme i due amici al compagno seduto a cavalcioni sul ramo dell’albero.


«Perché el me pa’ vuole che sto vicino alla Rinetta… Ché non si sa mai!»


«Non si sa mai, cosa?»


«Boh, mio papà dice sempre così… Non si sa mai. Ma se l’è per quel, non vuole neanche che gioco con te, Guglielmo!»


«Perché? Non ho mai mangiato nessuno!»


«Non lo so… Poi non m’interessa! Mica vede quando giochiamo, no!?»


«Te ghet reson… A te paret bambu, ma l’è mia vera alla fin della fera!» disse Giacomino, chinandosi verso il manto erboso.


«Ehi, ehi! Cosa fai? Quella è mia. Mi è caduta ma l’ho trovata io!», disse Ugo a Giacomino che aveva raccolto e stava per mangiare una ciliegia caduta dalle mani dell’amico.


«Guarda… Da grande farò il mago! La ciliegia c’è… e, ahm! Adesso non c’è più!» disse il ragazzino dalle calze spaiate a quello che stava sull’albero.


«A te set propri un bigul!» urlò a quel punto Ugo.


«Non sarà poi mica ora che torniamo a casa? Sennò le buschiamo!» esclamò, a quel punto, preoccupato, Guglielmo.


«Aspetta che prendo l’ultima… Poi scendo!»


Dopo aver gustato con la massima attenzione il dolce succo di una ciliegia grande come il suo naso e di un bel color bordò, Ugo sputò lontano il seme. «Con questo lancio vi batto tutti! Il nociul lè passà giò in de la bruga


«Ma cusa te se dree a dì! Varda chi, e impara! Puh…!», urlò, reagendo alla provocazione dell’amico, il piccolo Giacomino.


«Ah, sì… Se volete la guerra! Guardate!». Guglielmo, dimenticandosi di quello che aveva detto poco prima, cercò accuratamente una ciliegia abbastanza grossa, la masticò per qualche istante e dopo aver tenuto la testa indietro per una quindicina di secondi, lasciò partire quello che a quei tre sembrò un missile, un autentico razzo in confronto ai due lanci precedenti.


«Ma come fai Guglielmo? Dove hai imparato?»


«Mi sono esercitato quest’inverno, con i semi dei mandarini!»


«Brau, brau!», esclamò Giacomino.


«Chi arriva ultimo all’asfalto è una schiappa!» urlò, d’improvviso Ugo saltando dall’albero al prato e raccogliendo, velocissimo la cartella che si trovava a terra.


I tre bambini cominciarono a correre dalla pianta verso la strada. Non dovevano attraversare un’altra volta, ma soltanto dirigersi verso Cardano, percorrendo sulla destra, vicino al muro (seguendo le raccomandazioni dei genitori), la discesa che portava alla parte bassa del paese.


Percorsi circa trecento metri, sudati per la corsa precedente, i ragazzini si lasciarono sulla sinistra la scuola materna per percorrere i due tornanti che introducevano alla frazione di Cardano.


Giacomino, a questo punto, prese una mulattiera che portava a Gonte, la frazione dove viveva.


«Ciao, ciao Giacomino! Ci vediamo a messa! Vieni a fare il chierichetto?» chiese Ugo all’amico.


«Non lo so, non ho voglia! Go de sentii sa dis la mi mam!»


«Ricordati di fare i compiti di matematica per lunedì, sennò la Monica ti sgrida ancora!» gli disse Guglielmo.


«Ma se capisi nagot l’è mia culpa mia… Sa vedum stasira!» e così dicendo, il bambino scese per la stretta strada.


Guglielmo e Ugo proseguirono invece verso Cardano, avvicinandosi ad una scalinata. Di fronte a loro i due ragazzini potevano vedere, oltre il tornante, il “Palazin di Balbi”, villa disabitata nei pressi della quale, nelle giornate di sole, ogni tanto si fermavano a giocare.


«Quando fa caldo di solito andiamo lì a giocare! Anche se io c’ho un po’ di fifa! Lo sai che dentro lì ci sono i fantasmi? I mostri?» disse Ugo al figlio del finanziere.


«Sì? E come fai a saperlo? Li hai visti? Io non ci credo a queste cose!»


«Boh… Lo dicono tutti in paese! Pure il don Pietro! Anche mio papà ha detto di stare attento!» e dicendo questo Ugo strappò un ciuffo d’erba dal bordo del sentiero.


«L’ha detto anche il prete? Dev’essere vero allora… Ma ti piace quel coso?»


«Caspita se mi piace! L’è il pancuc! Prouel! L’è dulz cuma na caramela! L’è anca più se bon dei gigiup! E’l custa nagot!»


«Fammi provare… Bleh! Come fai a mangiarlo? Sa di erba!»


«Mah… Te capiset na maza!» disse Ugo, gustando l’erba zuccherina che aveva raccolto.


Attraversata la strada, i ragazzini camminarono uno a fianco all’altro giù per la scorciatoia e si misero a correre per la strada, saltando i tombini.


 


Fucile.


«Se ne mangi troppe ti viene la diarrea.»


«Io preferisco»


«Sono più buone»


«Via a quel paese, Guglielmo!»


«Mio padre»


«Se è per quello»


«Hai ragione… Sembri stupido, ma in fin dei conti non è vero!»


«Sei proprio uno scemo!»


«Il nocciolo è finito nel fossato!»


«Ma cosa stai dicendo! Guarda qui»


«Bravo, bravo!»


«Devo sentire cosa dice mia mamma!»


«Ma se non capisco niente non è colpa mia… Ci vediamo stasera!»


«E il pancuc! Provalo! E dolce come una caramella! E anche più buono della caramelle alla menta! E non costa niente!»


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Published on June 04, 2014 03:49

June 1, 2014

IL CILIEGIO (ESTRATTO DA UN ROMANZO MAI SCRITTO – PARTE1/3)

Cherry


 


Aprile regalava le sue ultime miti giornate e al piccolo Ugo risultava sempre più difficile non guardare fuori dalla finestra della sua aula per vedere il prato che si apriva al di là della strada, di fronte alla scuola.


Anche durante la ricreazione, mentre i suoi compagni subito iniziavano a correre nel piazzale, a giocare a “Guardie e ladri”, lui passava, ogni volta, almeno un paio di minuti a fissare quella distesa verde.


“Ma allora la clorofilla può essere anche rossa!” pensava, guardando il ciliegio che si trovava in fondo a quel terreno a lui così famigliare e facendosi venire l’acquolina in bocca al ricordo della dolcezza delle ciliegie che non gustava dalla primavera passata. Aveva già riflettuto, più di una volta, se chiedere o no alla maestra Monica qualche spiegazione su quella questione. Ma siccome sul sussidiario c’era scritto che la clorofilla era verde e basta, il nostro Ugo, per evitare figuracce, alla fine stava zitto.


L’avrebbe, tutt’al più, chiesto alla nonna, che sapeva sempre tutto.


La sua non era una classe numerosa. Del resto, in un paese come quello di Grandola ed Uniti, non poteva essere diversamente. Con poco meno di ottocento anime, non si potevano mica pretendere classi con più di dieci bambini!


Soltanto l’anno millenovecentosessantadue era stato più prolifico e per questo la terza elementare poteva contare ben sei fanciulli e nove fanciulle. Ma erano più piccoli di un anno di Ugo che quindi, quasi, non li considerava. Era grande, lui.


Ugo era seduto al solito posto nell’aula, in fondo a sinistra, di fianco alla figlia della dottoressa Gelzini, perché così gli aveva detto il babbo. «Tienila buona, eh, la tusa della duturesa[1]… Non è proprio una bellezza, ma non si sa mai! Capito?»


E Ugo i consigli del babbo li ascoltava sempre.


La voce della maestra Monica faceva ormai soltanto da sottofondo ai suoi pensieri… Ma il ragazzino non era l’unico a saperlo.


«Cosa stai facendo Ugo? Sei sulle nuvole, come al solito?», chiese l’insegnante, dopo aver notato che da circa dieci minuti il bambino moro, di carnagione olivastra e piuttosto magro in fondo all’aula, che stava sempre zitto, lo era fin troppo e – come fosse vittima di un torcicollo – teneva il capo rivolto verso il vetro della finestra.


«Mi scusi maestra… Stavo pensando!»


«E per pensare hai bisogno di guardare fuori? Cosa c’è di così interessante da vedere?»


«Niente di speciale maestra. S’eri dree a vardà i asen![2]»


«Cosa dici Ugo? Silenzio voialtri… Non c’è niente da ridere!». La riposta di Ugo aveva suscitato un leggero brusio di risa e pernacchie tra i suoi compagni di classe.


«Ho detto che da qui guardo gli asini» ripeté il ragazzino.


«Va bene, ma smettila ora. Stai attento, altrimenti ti cambio di posto! E piuttosto, ascolta la lezione, se non vuoi rimanere anche tu un asinello…»


«I-o, i-o, i-o!», rumoreggiò allora la classe mentre la maestra Monica cercava di tenere a bada quegli otto disperati.


In aula c’era un perfetto equilibrio tra maschi e femmine.


Quattro grembiuli rosa e tre grembiuli azzurri erano stati insieme sin dall’asilo e nel frattempo non era cambiato nulla, tranne il colore dei grembiuli (ora nero per tutti) e l’arrivo, in quarta elementare, del figlio del finanziere, Guglielmo, che era subito stato simpatico a Ugo.


Nessun rimandato in quattro anni, in quella classe. Grande risultato per la scuola e per le famiglie. Solo Giacomino aveva rischiato in seconda e in terza elementare la bocciatura. Ma poi la bontà della maestra Monica aveva avuto la meglio.


Dopo il rimprovero dell’insegnante, Ugo si sforzò di stare fermo con la testa, e di non pensare né agli asini né alle ciliegie. Lo consolava il fatto che l’intervallo c’era già stato, per cui non potevano mancare più di due ore alla fine della lezione. Poi gli sembrava che la maestra parlasse già da parecchio tempo, e concluse che non più di mezz’ora lo separava dalla libertà.


“Peccato”, pensò “che da qui non si vede il campanile…”; ma in quel momento, forse, Ugo dimenticava che non sapeva ancora leggere bene le ore.


Decise quindi che avrebbe provato ad indovinare, per i prossimi venti, trenta minuti, cosa gli avrebbe preparato la mamma da mangiare. Fantasticava: «Speriamo che c’è il picio-pacio… Mh… che buono il picio-pacio! Chissà se la mamma ha preso il formaggio dal furmagiat![3]».


Il “picio-pacio” è un pasticcio di patate arrostite con formaggio dell’alpe, che si mangia direttamente dalla pentola, e Ugo lo conosce bene. Ma dipende tutto da Cesarina, sua mamma, e da quante lire ha portato a casa in questi ultimi giorni Giovanni, padre del ragazzetto.


Scartata la prima ipotesi per sfiducia, perché sarebbe stato troppo bello che la madre avesse cucinato effettivamente il tanto agognato “picio-pacio”, Ugo rivolse totalmente la propria attenzione ad un’altra invitante possibilità: “il paradello”. “Cavolo, magari… Se mi fa il paradell con su lo zucchero, domani vado a messa a Codogna senza frignare!”


Gustosa frittella di farina, latte e uova, cosparsa di zucchero, questo piatto faceva letteralmente impazzire Ugo.


Così, tra una pietanza e l’altra i minuti passarono e la fame aumentò.


E d’improvviso la campanella suonò. Chi se l’aspettava?


Ugo era felice e guardando subito Giacomino e Guglielmo fece loro un sorriso d’intesa.


Ma, come sempre, stava dimenticando di preparare la cartella. La maestra Monica gli si avvicinò: «Cosa fai Ugo? Vuoi lasciare i libri a scuola? E come fai a studiare per lunedì?»


«Orca vacca maestra, mi dimentico ogni volta… Adesso tiro su i quaderni e il libro e vado! Grazie. A lunedì!»


Meno male che la maestra Monica era così attenta.


Giacomino e Guglielmo erano già fuori dall’aula ed aspettavano impazienti che l’amico finisse di preparare le sue cose.


I tre, come la maggior parte dei bambini, erano abituati ad andare a casa a piedi, scendendo verso la parte bassa del paese per entrare nella frazione principale, Cardano, o dirigendosi verso le contrade più alte.


La primavera aveva prepotentemente fatto l’ingresso nelle praterie e nei pascoli di Grandola ed Uniti e i nostri ragazzi lo sapevano bene; lo vedevano, con gli stessi occhi con cui Ugo aveva scrutato, poco prima, il paesaggio dalla finestra dell’aula. Le primule e i narcisi iniziavano a farsi notare, spuntando tra l’erba alta, di color verde tendente al giallognolo, di lì a qualche settimana pronta a diventare fieno. E tra tutti quei fiori Ugo preferiva le margherite, perché le riconosceva subito.


Correndo nel corridoio mentre le maestre urlavano: «Fate attenzione! Attenzione! Rischiate di cadere e pestare il muso!», i bambini della scuola elementare uscirono veloci verso il piazzale. E davanti a tutti, non si sa come (visto che Ugo, con i due compagni che lo aspettavano, era stato l’ultimo ad uscire dall’aula), stavano proprio Giacomino – in pantaloncini corti, con le sue calze spaiate, una blu chiara e una nera – Guglielmo – che già si era levato il grembiule per non sporcarlo nei prati – e un passo davanti al resto della combriccola, con la cartella di vero cuoio (almeno, così aveva detto il venditore ambulante alla fiera di Santa Caterina alla mamma, ma Ugo non ci credeva perché dopo poche settimane s’erano già aperti tre buchi), il nostro ragazzino, impavido, tentava di anticipare tutti.


E così fece, infatti.


 


[1] «La figlia della dottoressa»


[2] «Stavo guardando gli asini»


[3] Rivenditore di formaggio.


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Published on June 01, 2014 05:48

Un’intervista per Omnimilanolibri

Un’intervista per Omnimilanolibri


Marta Abbà mi ha intervistato sul mio “Dettato”


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Published on June 01, 2014 05:37

May 28, 2014

Dettato recensito da Giovanni Turi su Vita da editor

Dettato recensito da Giovanni Turi su Vita da editor


Si parla della nuova collana Romanzi Tunué anche qui…


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Published on May 28, 2014 03:48

Recensione di Dettato firmata Andrea Cirolla per La Balena Bianca

Recensione di Dettato firmata Andrea Cirolla per La Balena Bianca


Questa è la più attenta recensione del mio romanzo d’esordio apparsa finora.


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Published on May 28, 2014 03:43