Laura Imai Messina's Blog, page 2

March 24, 2022

Cerimonia di fine asilo

Oggi sono inservibile.“Cerimonia di fine asilo”, nella ritualità giapponese che cura sempre l’inizio e la fine delle cose. Io che piango di una commozione che al principio quasi non capisco, poi la individuo nel tempo che ho perso o che avrei voluto usare insieme di più. Nel sapere Sōsuke emozionato e nel sentirmi inadeguata, sempre, rispetto a ciò che vorrei (non dovrei, vorrei) essere, nonostante lui mi gridi ogni santa mattina «ti amo, ti voglio bene mamma, buona giornata, lavora tanto, ciao mamma» dalla strada, io affacciata alla finestra. Ma questo giorno, queste emozioni profonde che non si disperdono ma convogliano nel sentimento di affetto che provo per lui, mi hanno fatto capire come una sorta di epifania il tipo d’amore che cerco. Era proprio sotto il mio naso. Perché non c’è possesso, non c’è attesa né gelosia. È questo preciso tipo di amore – concentrato naturalmente solo nel dare – quello che fa per me, per la persona che sono adesso.Auguri Sōsuke, e congratulazioni piccino mio ♥
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Published on March 24, 2022 02:00

March 22, 2022

Le 1200 parole per raccontare la pioggia in giapponese

Credo nella complessità. Credo nella disciplina. Credo nelle 1200 parole per dire «pioggia» in giapponese.🌧 Sfoglio il dizionario delle parole che in questa lingua raccontano la pioggia 『雨のことば辞典』e mi ripeto qualcosa che per fortuna ho capito presto, ovvero che la fatica è il terreno più fertile al successo.La cultura è una cosa complicata. Lo è l’amore, lo è avere a che fare con le cose e le persone. So che in ciò che ha scorza e guscio si nasconde spesso il meglio. ☔ Lo descrissi anche in «Tokyo tutto l’anno», l’esatto momento in cui incontrai – prima ancora del Giappone – il giapponese.«Quando vidi quei segni che si affollavano sullo schermo, scorrendo dall’alto in basso, da destra a sinistra, fu un colpo di fulmine. Per temperamento ho sempre amato la complessità, misurarmi con qualcosa che non accetta di aprirsi al primo incontro.»Così, anche oggi, accompagnando i bambini oltre la porta, esclamo – Guardate che bello! – e mostro loro il tempo. Pioggia di primavera, lieve.«Uno dei compiti che mi sono assegnata come madre, è quello di far apprezzare ai bambini giornate cosí, le pozzanghere, l’effetto dell’acqua sulle cose, il rumore diverso dei passi, gli abiti cambiati delle persone, stivali di gomma e impermeabili pieni di colore. Trovo deprimente che della pioggia si percepisca solo il fastidio e mi pare piuttosto un peccato mortale schiacciare la percezione dei bambini, che sarebbe invece naturalmente in grado di tirar fuori il meglio dalla realtà.»
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Published on March 22, 2022 02:31

March 21, 2022

Equinozio di primavera che significa vacanza

Un paese che fa dell’Equinozio di Primavera un giorno di vacanza nazionale è un luogo del cuore per me.
Oggi in Giappone lo è, 春分の日, visto che ieri era domenica.

🌱

⟨A fine mese sarà uno spettacolo immenso quello dei ciliegi che si affacciano languidamente sul fossato dalla parte di Kudanshita.
Lo saranno anche i riflessi delle loro braccia nodose, ingentilite da nuvole appese di petali e pistilli, sul laghetto del parco Inokashira a Kichijōji dove, sulla scia di un entusiasmo che nella ripetizione non si infiacchisce, ho scattato per piú di dieci anni fotografie tutte uguali della primavera.

Col tempo ho tuttavia scoperto angoli meno noti, come in prossimità della stazione di Takaidō sulla linea Inokashira, in cui il paesaggio pare in miniatura rispetto al piú noto Naka-meguro. Se sono solo i ciliegi a interessare, e non invece tutta la cornice umana di struscio, bancarelle profumate di cibo, chiasso di gioia condivisa, i migliori sono senza dubbio questi scorci, piú intimi e godibili.

La parabola è chiara. «I doveri del vento sono pochi, – scriveva Emily Dickinson, – accompagnare sul mare i navigli, | scortare i flutti, presentare marzo, | significare ovunque libertà».

Ed eccolo marzo, s’insedia torturando i ciliegi, rendendo ancora piú fragile questo paesaggio esitante, sempre sbilenco. Precipitare fa parte dell’immaginario dei ciliegi: tutto lo segnala, che niente è destinato a restare e che tutto farà ciclicamente ritorno.
La prima persona singolare sarà sempre diversa. La prima persona plurale – ovvero quella che conta – rimarrà invece per sempre.⟩

da «Tokyo tutto l’anno: Viaggio sentimentale nella grande metropoli», Einaudi editore

Benvenuta primavera~🌸

📷 Scatto di Tōkyō di Hiro Goto @hiro_510 su Instagram

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Published on March 21, 2022 02:31

March 20, 2022

Ciò che non si dona ammuffisce

Ho la assoluta convinzione che ciò che non si dona ammuffisca. Che ciò che non si condivide si perda.Così accade alle parole, che hanno un loro tempo (e, a seconda del tempo, un diverso significato), così ai sentimenti che vanno spesi, ora, adesso, mentre li si possiede, senza mai cedere al timore di restarne a corto. Anzi, più ci si regala più ci si crea.A me accade con la scrittura, con le persone e con la rete.Risparmiare fotografie, racconti e pensieri che mi paiono belli, magari allo scopo (pure comprensibile) di dilazionarne nel tempo o inserirle altrove, è, secondo me, un errore. Si affina lo sguardo, invece, a cercarne sempre di nuove. Perché più le si dona, più di avverte l’urgenza di trovarne.E allora guardo Emilio alla finestra (1) che si proietta sull’orizzonte di Hakodate, e mi dico che certe cose – se non le si cerca – l’occhio comunque non le trova. Prima serve immaginarle, come un figlio, come un progetto complicato. Bisogna sognarle.Ecco allora ponti di neve che uniscono due giri di scale (2), un ponte elevatoio, forse una scala sospesa nel nulla; e orizzonti di mare che sono territori di pirati e meduse giganti (3). Ecco le terme cittadine (4), gente che nel bel mezzo di uno snodo di tram e macchine di Hakodate si sfila le scarpe, solleva un po’ la gonna o arrotola i pantaloni, e immerge piedi e gambe nell’acqua termale.Sì, se certe cose non sei pronto a vederle non le vedi. E se sei avaro nel raccontarle, le perdi. ♥
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Published on March 20, 2022 02:34

March 18, 2022

Il profumo della neve dell’Hokkaido

Di uno dei tanti perché io adoro la città di Hakodate.

Il profumo della neve vaga per le strade in Hokkaidō, ti si presenta compatta appena apri la finestra. I vetri sono doppi, perché ne apri uno e, dopo lo spazio di un palmo, eccone un altro. Così anche le porte. Il caldo ha due protezioni ed è buffo ma gli abitanti dell’Hokkaidō a Tōkyō hanno freddo. Il riscaldamento qui è esagerato.

Questo profumo di bianco ha un sinonimo nella mia memoria: freschezza, che è il benessere dell’aria.

Prima di partire Francesca mi ha scritto che “ogni viaggio un poco ci cambia”. Non ho replicato ma ho conservato le sue parole. Ho la fortuna di amici che amano come me le parole e sanno il lungo viaggio che esse sono capaci di fare.

Tutto questo bianco. Ripeto i gesti della sveglia, la colazione sempre un po’ sbagliata in albergo, le parole imperfette che si dicono la mattina.
Scendiamo in treno verso ovest e la neve arretra. Il cielo smorza il verde e resta la terra e la pelle degli alberi, la corteccia nuda.

Da sempre l’Hokkaidō mi affascina per la solitudine che ispira, questo tanto che è lo spazio e questo poco che è l’uomo e le cose che ha costruito. Come una casa collegata da infiniti corridoi, come le regge visitate in Europa: quel percorso artificiale che ti portava dalle stanze della regina all’anticamera di uno degli innumerevoli salotti, alle stanze di un aristocratico e soffitti che sognavano cieli e pavimenti che chissà che passi avevano accompagnato.

Francesca aveva ragione, viaggiare cambia. È il come che non so ancora, perché il viaggio è fatto del suo ritorno tanto quanto del sogno che lo precede, e del partire.

E io non ho alcuna fretta di tornare.

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Published on March 18, 2022 02:37

March 17, 2022

Hatsu-snowbord

🛷 POST di sfacciata condivisione gioiosa🏂

La prima volta in snowboard!!!
Io che credevo avrei mollato dopo dieci minuti mi sono fatta due discese e, come la giostra dell’altro giorno, avrei detto ancora ancora ancora.

Che bello schiaffone ho dato a uno stereotipo su me stessa! Non mi metto spesso in gioco (mentalmente in continuazione, fisicamente mai) quindi è stato bellissimo ❤

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Published on March 17, 2022 02:40

March 15, 2022

Scrivere, leggere, è visitare l’altrove

«Scrivere, leggere, è visitare l’altrove.

Il posto in cui nasciamo, del resto, non è detto coincida con il posto in cui finiamo per vivere né, cosa ancor più importante, con quello in cui diventeremo felici.
Talvolta fin da bambini, talvolta crescendo – non è raro che ci si trovi a proprio agio in una diversa cultura – magari per la consapevolezza di non essere perfettamente allineati alla propria.

Scavarsi una nicchia di altro nel qui è una risorsa preziosa.

E allora l’altrove nelle storie non serve solo a viaggiare con la fantasia, né a imparare a leggere il diverso come interessante, ma è anche una risorsa importante per rimanere esattamente dove si è – nel centro di Roma, nella periferia di Seattle o nella campagna della Cambogia. E starci, se non completamente bene, perlomeno meglio.

Si tratta, soprattutto, di accettare l’ALTROVE dentro di sè.»

❄ 🏔 🌨 ⛄ 🚡 ☃ 🏂 🛷 🎿 ⛄ ❄ 🌨

Lo scrivevo su un pezzo uscito tempo fa su Il Libraio e … DOMANI PARTIAMO per la neve, le montagne, l’Hokkaidō e il bianco che brucia lo sguardo tanto è assoluto.
Penso all’effetto che farà sui bambini con cui non viaggiamo per bene da due anni e mezzo. Anche allora fu l’Hokkaidō, questa terra che per me significa la pausa più di ogni altra. Un altrove che è innanzitutto spazio.

Photo: 📷 di Kazuki → @kz_pht ←

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Published on March 15, 2022 02:42

March 4, 2022

Un boccone alla volta

Non ho mai avuto l’idea che si debba affrontare tutto. Né subito né, soprattutto, tutto insieme. Credo nell’importanza di prendere la vita poco per volta, di lasciarla pure fuori dalla porta quando si sente che, entrando, alzerebbe una tempesta. Per questo, anche il lutto per me è una cosa che si affronta non in giorni né mesi, ma in anni. L’oriente me lo ha insegnato. Io non ho fretta.

Ieri, scrivendo il romanzo, nella playlist è entrata per sbaglio una canzone italiana, una di quelle che mi riportano a Roma, al Giulio Cesare, a mio padre che la metteva su in macchina. Mi sono “accorta” – come mi accorgo un numero imprecisati di momenti in un anno – che lui non c’è più. Sono questi i momenti in cui affronto, a minuscoli bocconi, il lutto. Ho pianto piano, non ho chiamato nessuno. Non volevo che dilagasse perché in questi anni non ho il tempo e la forza mi serve per camminare dritta. L’ho riposto quindi in una delle infinite tasche che ha una giornata.


Ad alcuni paio forse anche assurda, una che tiene il dolore lontano, una che rimuove. Ma io non rimuovo, affronto le cose piano piano. Nei giorni in cui ho quella larghezza nel petto che i giapponesi spiegano con l’espressione 余裕がある “yoyū ga aru”, infilo le dita in quella precisa tasca, esploro l’emozione della sua assenza, e allora ne avverto non solo il pericolo ma anche la dolcezza.

«Il lutto è come qualcosa che si mangia ogni giorno, un panino fatto a piccoli pezzi e ingurgitato con calma. Oggi l’orecchio del pane, il granello rimasto di riso, domani il giallo spaccato del limone. La digestione era lenta.»

Me lo spiegò con la sua pacatezza Yui in «Quel che affidiamo al vento», e io le sono ancora grata.
Perché anch’io sono così. Affronto le cose più grandi e difficili un boccone alla volta. 

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Published on March 04, 2022 22:55

October 27, 2021

Le cose che impariamo facendone altre

Studiando i kanji che compongono la parola “lingua” e “linguaggio” 「言語」  in giapponese, le antiche radici di cui vi parlerò nel primo video della serie, ho capito questa mattina come apprendiamo certe cose facendone di completamente diverse. Impariamo virtù essenziali, le mettiamo pure in pratica, ma non le sappiamo per niente.

Come si assaggia la fatica, ad esempio, e come si impara la pazienza, che è capacità che il corpo per primo assorbe, passando la dritta alla mente che a sua volta processa la fonte. Ci sono qualità come la perseveranza, la tenacia, l’amore più resistente, tutte cose che in buona parte ci accade di intuire profondamente solo quando NON riusciamo a ottenerle. È quel perdere tempo in attesa di riuscire che rende quel tempo, precisamente, il più utile alla nostra formazione.Primo Levi raccontava di come “Un’altra virtú che il mestiere di chimico sviluppa è la pazienza, il non aver fretta. Oggi la chimica è completamente cambiata, è una chimica rapida. Oggi l’analisi di un minerale non è piú manuale, viene fatta a macchina, e richiede pochi minuti, quando prima occorrevano settimane. Naturalmente era svantaggioso lavorare una settimana per analizzare un minerale, però questo consentiva di sviluppare altre virtú, che sono appunto quelle della costanza, del non scoraggiarsi, dell’applicazione assidua” Corsi di pazienza io non ne conosco e anche esistessero è difficile credere in qualcosa di così immateriale. Ma ricordo di ogni riga che ho scritto, libro, articolo o post che fosse, gli almeno sette/otto passaggi fatti di cancellature, correzioni, riscritture, ribaltamenti, un articolo determinativo che diventa indeterminativo, un altro che sparisce, un singolare tramutato in plurale, parole che cambiano pelle perchè suonano ripetive, altre invece rinforzate proprio perchè nella ripetizione trovino la forza di raccontare il senso profondo di quella frase. E via, da capo, di nuovo. Fino a che un libro lo chiudi non perchè finisce ma perchè, come ho letto una volta, l’autore è sfinito e non ce la fa più a modellare quelle vite. E scommetto che ogni mestiere, a partire dall’essere figli, dall’essere cuoco o genitore, assemblatore, meccanico o professore, avvocato o programmatore, ha certe zone di contrattazione, quel tempo che si teme di star perdendo, il non riuscire, ma che invece ci sta impartendo una lezione fondamentale: la pazienza, la perseveranza, e insieme l’amore che ci spinge a continuare, perchè in fondo vogliamo vedere come andrà a finire.📷 Scatti sparsi da: randomwire.com e https://booksandbao.com/tokyo-bookstores/
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Published on October 27, 2021 02:30

August 23, 2021

Teshima e gli Archivi (dei battiti) del Cuore

«Nella ricchissima onomatopea del giapponese doki doki racconta del cuore l’emozione, baku baku ne spiega invece l’ansia; toku toku si usa quando il cuore fa un piccolissimo rumore, come quello di un bambino che pulsa sottovoce. Il suono si fa accelerato in un neonato, in un cagnetto; qualcuno perde un battito, qualcun altro nel cuore ha un soffio. Sull’isola di Teshima, nell’arcipelago della prefettura di Kagawa a sud-ovest del Giappone, nasce e cresce un museo che raccoglie i battiti del cuore di decine di migliaia persone: Les Archives du Cœur, gli Archivi del Cuore. […]Dei tanti cuori che ascolto quello che mi commuove alle lacrime è di Arima Hanane, cui si mischia forte il suo pianto dopo pochi secondi dall’inizio. È il numero 42797, registrato il 2021/08/15 in questo stesso luogo dove io adesso siedo, con il mare di fronte. “Ho zero anni, e sono venuta con mamma e papà” recita il messaggio di accompagnamento.Il numero del mio cuore – Laura Imai Messina, 2021/08/19 – sarà il 42818 ma io ancora non lo posso sapere.»  ↑ Questi sono frammenti del lungo pezzo/reportage che esce oggi su la Repubblica e a cui tengo #immensamente. Lo trovate in edicola o qui https://www.repubblica.it/…/tokyo_museo_cuore-315095534/Sul mio profilo Instagram @lauraimaimessina invece mille foto ❤❤❤ in più di questo posto meraviglioso. Scrivo di questo museo dei battiti del cuore, della storia di un’isola che si è riscattata da un destino feroce. Vorrei lo leggeste. Perché su questo luogo sto progettando grandi cose. Mi è rimasto, letteralmente, nel cuore.
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Published on August 23, 2021 15:19

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Laura Imai Messina
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