Massimo Spiga's Blog: Massimo Spiga Punto Com, page 7
April 7, 2017
Teorema – Thimbleweed Park
È uscito TEOREMA #14. Questo mese, ho scritto Thimbleweed Park – Gerarchie del controllo (e anche una recensione di Hardcore Henry). Ecco l’incipit.
«Sarà come aprire un vecchio e polveroso cassetto e trovarci un’avventura grafica della LucasArts a cui non avete mai giocato». Con queste parole, due anni fa, si aprì la raccolta fondi su Kickstarter che diede origine a Thimbleweed Park, il nuovo videogame di Ron Gilbert e Gary Winnick. L’iniziativa ebbe un certo successo: attirò più di quindicimila backer, ammassando un capitale doppio rispetto a quello richiesto dagli sviluppatori (ovvero, più di seicentomila dollari). Dato che viviamo in un mondo crudele – si vocifera che una parte dell’umanità sia ancora ignara delle mirabili opere di Gilbert e colleghi – è necessario compiere un breve excursus per spiegare come mai tutto ciò costituisca una buona notizia.
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March 9, 2017
Rassegna Stampa – Sardinia Post, intervista su PARADOX
Sardinia Post mi ha intervistato. Ecco un estratto:
I personaggi del testo sono in bilico tra estremo realismo e sicura visionarietà…
Spesso, la narrativa fantastica degenera in una confortevole favola d’evasione, in cui i lettori possono rifugiarsi, al sicuro dalla terribile concretezza della realtà. Al contrario, perché le nostre storie abbiano un’utilità non meramente analgesica, credo che l’immaginario debba solidamente radicarsi nell’”incubo della storia” (come scriveva Joyce). Questo vuol dire rappresentare i personaggi – e gli ambienti in cui vivono – in modo verosimile, per poi innestare ogni aspetto fantastico sopra queste solide fondamenta. Solo da questo delirio della realtà può emergere qualcosa che abbia un significato “mitologico”; capace di suscitare la riflessione, oltre che l’intrattenimento.
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March 1, 2017
È uscito CTHULHU E RIVOLUZIONE
È uscito CTHULHU E RIVOLUZIONE – IL PENSIERO POLITICO DEL SOLITARIO DI PROVIDENCE. In questo testo del 1933, H.P. Lovecraft espone la trasformazione del suo pensiero politico in seguito alla Grande Depressione, discutendo di lotta di classe, del potere dei monopoli, di un nuovo sistema di welfare e del suo giudizio sul New Deal rooseveltiano, sollevando interrogativi e trovando soluzioni a problemi che ancora oggi vessano l’Occidente. Il volume include anche Il culto dei nomi barbari, una disamina delle etimologie lovecraftiane in fatto di divinità aliene, libri maledetti, luoghi e personaggi, e A layman looks at the government, il testo originale in inglese del breve saggio che costituisce la parte centrale del volume.
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H.P. Lovecraft – L’innominabile sogno di una cosa
(Questo articolo costituisce la prefazione del volume Cthulhu e Rivoluzione – Il pensiero politico del Solitario di Providence)
Si vedrà allora come da lungo tempo il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente.
Lettera a Ruge, Karl Marx, 1843
La Grande Razza sembrava formare un’unica nazione dai legami alquanto elastici e con le maggiori istituzioni in comune; tuttavia c’erano quattro specifiche divisioni. Il sistema politico-economico era una specie di socialismo fascista, con le principali risorse distribuite razionalmente e il potere delegato a un governo di pochi individui, eletto dai voti di tutti coloro che superavano determinate prove psicologiche e culturali.
The Shadow Out of Time, H.P. Lovecraft, 1935
Il governo era complesso e probabilmente di tipo socialista, anche se a questo proposito i bassorilievi non hanno potuto darci nessuna sicurezza.
At The Mountains of Madness, H.P. Lovecraft, 1936
Secondo la vulgata, non c’è dubbio che Lovecraft fosse un fascista. Era un conservatore nazionalista, misogino, antisemita, xenofobo, omofobo e classista, convinto che la democrazia fosse una tragica farsa. Eppure, il percorso politico del Solitario di Providence riserva delle sorprese a chiunque desideri approfondire l’argomento; una mera scorsa superficiale alle sue lettere e ai suoi articoli non si limita ad offrirci una rapida confutazione della tesi circa il suo presunto fascismo ma, in un sorprendente colpo di scena, mina la nostra sanità mentale con un’agghiacciante rivelazione: sepolta nelle innominabili profondità del suo animo, vediamo sventolare una bandiera rossa.
Nato in una famiglia repubblicana del ceto medio, HPL ha ricevuto un’educazione di stampo quasi aristocratico, in cui i valori tradizionali afferenti all’americanismo si mescolavano a un paradossale senso d’inferiorità verso la cultura europea. Da buon conservatore, in gioventù, espresse le sue idee sul mondo tramite poemetti razzisti, racconti satirici anti-bolscevichi e inni patriottici, collaborando anche a svariate riviste amatoriali – quelle che ora chiameremmo “blog” – di estrema destra. Come egli stesso ammette nella sua corrispondenza, era un uomo di lettere, e non si curò mai di approfondire le ragioni di fondo della politica: le sue scelte in materia erano dettate più da ragioni estetiche che sociali (o “scientifiche”, come le definisce) e seguivano, senza metterla in dubbio, la tradizione ideologica della sua famiglia. Quella del giovane Lovecraft è l’immagine maggiormente sedimentata nell’opinione pubblica contemporanea; tuttavia, qualcosa accadde, e lo costrinse a uno shock antropologico tale da invertire in maniera pressoché completa la sua visione del mondo.
Il momento della “via di Damasco” avvenne nel 1929, quando ormai aveva raggiunto l’età adulta. È questo l’anno in cui, con sua somma sorpresa, HPL scoprì di essere povero. Ergo, sviluppò una coscienza di classe.
Di quel momento, scrive: “La Grande Depressione – e la concomitante pubblicizzazione di ogni sorta di problemi industriali, finanziari e governativi – mi ha scosso dalla letargia e mi ha portato a riesaminare i fatti della storia sotto una prospettiva di analisi scientifica, depurata dal sentimento; entro breve, mi accorsi di quanto ero stato asino. I pensatori di sinistra, di cui prima ridevo, avevano ragione – perché loro vivevano nel presente, mentre io vivevo ne passato. Loro usavano la scienza, mentre io avevo fino a quel momento guardato gli eventi attraverso un filtro antiquario e romantico1”.
Quindi, da ex-elettore di Hoover, inizia il suo radicale supporto per Roosevelt e il suo New Deal. Nel mentre, la sua opinione circa il partito repubblicano si è in qualche modo deteriorata: “Parlando dei repubblicani… come si può considerare serio un branco di mercanti e fortunati perditempo, spaventati, avidi e nostalgici, che ha deciso di chiudere gli occhi davanti alla storia e alla scienza, che scatena le sue turpi emozioni contro ogni decente solidarietà umana, che si aggrappa a ideali sordidi e provinciali, esaltando nel contempo la mera appropriazione, mentre approva la sofferenza artificiale imposta a coloro che non hanno mezzi? Sentimentalmente, i repubblicani abitano compiaciuti in un distorto cosmo onirico fatto di slogan, principi ed atteggiamenti obsoleti, fondati su un mondo agricolo che ormai non esiste più, e si crogiolano su una serie di pregiudizi mendaci (che ne siano consapevoli o no), come, ad esempio, la nozione che la Vera Libertà sia esclusivamente sinonimo di una licenza economica senza restrizioni, o che una pianificazione razionale della distribuzione delle risorse possa in qualche modo contravvenire alla loro misticheggiante Eredità Americana. E, tutto questo, in palese contraddizione ai fatti e senza una minima base nell’esperienza umana. Intellettualmente, gli ideali dei repubblicani meritano la tolleranza ed il rispetto che si devono ai morti”2.
È interessante constatare come HPL svolga questa piroetta a 180° senza smettere di considerarsi un conservatore. Questa definizione, a cui è legato più per motivi sentimentali che realmente politici, stride così tanto con le sue “nuove” idee da spingerlo a creare una sintesi ad hoc atta a rappresentarlo. Dal suo punto di vista, la mera adesione alla socialdemocrazia non è sufficiente, perché egli nega con decisione l’ideale democratico. In una lettera, scrive: “La democrazia (distinta dall’offerta di opportunità ed un trattamento equo per tutti) è oggi una fallacia e un’impossibilità così grande che ogni serio tentativo di applicarla non può essere interpretato in altro modo se non come uno scherzo o una presa in giro. Un governo “eletto dal voto popolare” significa soltanto la nomina di uomini dalle dubbie qualifiche da parte di claque (dalla dubbia autorità e dalla dubbia competenza) composte da politici professionisti che rappresentano interessi nascosti. A questo, segue la farsa sardonica di una persuasione emotiva in cui gli oratori con le lingue più lunghe e gli slogan più spregiudicati ammassano al loro fianco una maggioranza numerica di idioti ciechi e facilmente impressionabili, che, quasi tutti, non hanno idea di come funzioni realmente tutto questo circo”.3
La contraddizione insita in HPL è insuperabile: per lui, anche la politica rooseveltiana è, in fin dei conti, una mezza misura. Nei suoi scritti, delinea i punti cardine della sua visione tecnocratica e autoritaria di sinistra: nazionalizzare l’intero settore imprenditoriale privato, condurre una feroce lotta di classe, deprecare i decadenti valori borghesi, estirpare il falso sistema democratico, condannare la guerra in quanto barbaro sfruttamento delle classi ricche sul proletariato, istituire un sistema di welfare universale con l’obiettivo di eliminare per sempre la povertà, imporre una rivoluzione dall’alto che spazzi via il vecchio sistema economico e politico, e vari altri punti capaci di scaldare il cuore a Lenin. Tuttavia, pur usando un linguaggio e delle analisi di chiara matrice marxista, Lovecraft continuerà per tutta la vita ad opporsi alle politiche bolsceviche. Questo paradosso pare inesplicabile soltanto a chi non conosca la sua personalità e le sue fonti d’informazione.
Il Solitario di Providence si è formato sulla stampa americana (sia “ufficiale” sia appartenente alle riviste amatoriali), la quale, specialmente dopo la Rivoluzione d’Ottobre, si è sforzata di descrivere il bolscevismo come il regno della barbarie e della degenerazione sessuale. Per Lovecraft, il socialismo reale era la negazione di ogni valore della decenza e dell’estetica: un oscuro impero la cui arte era abominevole (Mayakovsky, Vertov e tutta l’avanguardia) e la promiscuità rampante. Inoltre, egli aborriva la violenza e il caos che una rivoluzione avrebbe portato. Per cui, i suoi principali motivi di repulsione verso il comunismo sovietico, alimentati certo dalla stampa, avevano un carattere eminentemente non politico, ma si ancoravano alla sua ammirazione per l’antica tradizione culturale europea.
Inoltre, dobbiamo tenere in considerazione che le critiche di Lovecraft rivolte ai giovani “radicali” marxisti sono, in parte, una affettuosa frecciata verso il circolo di scrittori con cui ha, per tutta la vita, mantenuto rapporti di profonda amicizia. Nelle lettere a loro rivolte, spesso si rappresenta ironicamente come un vecchio conservatore arcigno in ciabatte, circondato da giovani pazzoidi con l’Ideale negli occhi e nel cuore. Sappiamo che HPL non ha mai letto o posseduto un testo di Marx, Engels o Lenin4, ma possiamo intuire che ne abbia assorbito idee e terminologia dai suoi amici scrittori, sebbene reinterpretandole nella sua particolare chiave di lettura. È stupefacente scorrere alcuni paragrafi dei suoi articoli, in cui critica Marx in modo sferzante, seguiti da argomentazioni che paiono parafrasi o sintesi di sezioni de Il Capitale. La sensazione che emerge da questa dissonanza è che HPL abbia basato molte delle sue critiche al mondo sovietico su fraintendimenti, sentito dire e resoconti ostili; per cui, giunge da solo alle medesime convinzioni dei suoi “nemici” rossi, senza mai abbandonare l’astio nei loro confronti. Pare che Lovecraft covasse in sé il “sogno di una cosa” marxiano, eppure, per i suoi pregiudizi sviluppati in gioventù, si sia sempre rifiutato di dargli un nome preciso e di farlo emergere alla coscienza.
La disinformazione di Lovecraft circa la politica europea dell’epoca si manifesta anche in un secondo aspetto, più oscuro: ovvero, il suo apparente rispetto per il fascismo. Lovecraft parla di esso quasi fosse, in essenza, la Repubblica delineata da Platone, ovvero un governo consiliare di saggi e di esperti che agisce per il bene dei popoli. Questi toni blandi, tuttavia, appaiono particolarmente stridenti quando si considera come egli condanni la Russia in quanto “tirannia personale” di un dittatore. Il fatto che HPL non avesse una chiara idea di cosa fosse il fascismo emerge anche da un suo aneddoto personale: un giorno, si trovò a commentare sul carisma di Hitler – da lui visto come una sorta di eroe romantico anti-borghese – in casa dei suoi vicini. La domestica, un’immigrata tedesca, reagì d’impeto e gli spiegò come si viveva sotto il regime nazionalsocialista; la delineazione di quel panorama d’abiezione lasciò sgomento il Solitario di Providence.
È per questo motivo che, all’interno di Cthulhu e Rivoluzione, abbiamo scelto di tradurre il termine fascist con autoritario: per Lovecraft, le due parole erano sinonimi, mentre per noi, eredi di un pesante e complesso bagaglio storico, l’uso del primo vocabolo avrebbe prodotto potenti interferenze semantiche, pregiudicando la comprensione dei passaggi in cui è menzionato (chi non condivide la nostra linea interpretativa è libero di traslare mentalmente “autoritario” in “fascista” durante la lettura). L’idea di un governo autoritario, per HPL, era necessaria per evitare che il processo democratico – e le distorsioni in esso prodotte dal denaro – finisse per avvantaggiare le classi abbienti a scapito di quelle popolari. L’idea può risultare irricevibile alle nostre orecchie, ma non è certo di esclusiva pertinenza del fascismo.
Un altro aspetto della politica lovecraftiana incompatibile con il fascismo è la sua trattazione del tema della razza; ovvero, non ve n’é alcuna. Il tema non esiste. Questo può sembrare scontato, eppure dobbiamo considerare che HPL, in base agli studi scientifici su cui si è formato, era sinceramente convinto che i neri, gli ebrei e i popoli latini fossero razze inferiori. Per lui, questa determinazione non aveva carattere di opinione, ma era semplicemente “vera”, così come la legge di gravità. Ci dispiace che HPL non abbia cambiato idea sull’argomento: dopotutto, durante la sua età adulta, gli antropologi e i biologi avevano già cominciato a smantellare la teoria della razza – ma si tratta di testi che lui non lesse mai e, di conseguenza, non poté revisionare le sue idee “scientifiche”. Tuttavia, constatiamo come il razzismo non abbia alcuno spazio nel suo pensiero politico, né deve averlo, perché la principale suddivisione che HPL vede nella popolazione è quella in classi sociali, e non in gruppi etnici. Questo elemento è molto importante, in quanto la dialettica Popolo VS Altri si pone alle fondamenta della cultura di destra; il Popolo, inoltre, è percepito dai fascismi come omogeneo sul piano etnico-religioso e portatore monolitico di eguali interessi economici, ovvero il bene e il prestigio della nazione. Niente di tutto ciò appare in Lovecraft: egli, al contrario, sfila i guanti bianchi quando si tratta di sferzare le ingiustizie prodotte dalla dinamica tra padroni e lavoratori, elevando il tono della polemica a livelli feroci.
Un altro pilastro del fascismo a cui HPL obietta è il nazionalismo. Egli presenta un rapporto con il concetto di nazione che si radica nell’affetto per i suoi luoghi natii e nel desiderio di vederne preservate le antiche tradizioni di matrice europea (il ruolo della famiglia, le ritualità, le cerimonie, le usanze), e nulla ha a che vedere con l’aggressione espansionistica tipica dei regimi fascisti. Al contrario, Lovecraft considera la guerra come un’arma capitalistica per lo sfruttamento ulteriore del proletariato; inoltre ha un atteggiamento curioso e aperto nei confronti delle altre culture, in specie quella greca, indiana e mediorientale. Non dedichiamo neanche un’argomentazione al tema del rapporto tra religione e politica, anch’esso un topos della cultura di destra, perché l’ateismo di HPL è conclamato e totale.
Speriamo che questi rapidi appunti siano sufficienti a limare decenni di disinformazione e luoghi comuni sulle tendenze politiche del Solitario di Providence e possano servire da introduzione e contestualizzazione al testo che segue.
In conclusione, uno sguardo rivolto al futuro anteriore: Lovecraft è convinto che il socialismo sia l’inevitabile destino del pianeta, e ciò appare evidente anche nei suoi racconti: la Grande Razza di Yith – un’avanzatissima specie aliena che rappresenta l’apice della civiltà – ha infatti un’organizzazione sociale curiosamente “rossa” e tecnocratica. Sono stati proprio i due paragrafi sul tema in At The Mountain Of Madness e The Shadow Out Of Time, dissonanti rispetto ai soliti pregiudizi sulla politica lovecraftiana, a spingere molti lettori ad approfondire l’argomento. Il testo che segue, A Layman Looks At The Government, è un lungo articolo che scrisse nel 1933 e restò inedito. È stato rinvenuto negli archivi di August Derleth, direttore della casa editrice Arkham House. In esso, Lovecraft offre un panorama completo della sua ideologia politica, regalandoci un affresco vivido della crisi del capitalismo, capace di porci interrogativi validi ancora oggi. Il testo è seguito da due appendici: Il Culto dei Nomi Barbari, un breve saggio che indaga sull’onomastica lovecraftiana, e il testo originale di A Layman Looks At The Government, in modo che i lettori possano deliziarsi della prosa fluente di HPL ed, eventualmente, individuare e ragionare sull’opportunità delle soluzioni di traduzione intraprese in Cthulhu e Rivoluzione. Dopo aver letto questo volume, potremo aggiungere al vasto pantheon del pensiero socialista una tetra, umida nicchia per il Solitario di Providence.
Massimo Spiga,
06/02/17
1 S.T. Joshi, The decline of the west, U.S.A., Wildside Press, 1990, pag. 64
2 S.T. Joshi, A dreamer and a visionary, U.S.A., Liverpool University Press, 2001, pag. 355
3 S.T. Joshi, A dreamer and a visionary, U.S.A., Liverpool University Press, 2001, pag. 352
4 S.T. Joshi, Lovecraft’s Library – A Catalogue, U.S.A., Hippocampus Press, 2012, pag. 158
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YouTube Party #28 – I’ve Discovered The Greatest Thing Online…
Nota: il video originale è stato soppresso. Ne ho trovato una copia gentilmente offerta da un altro youtuber. È appena uscito il nuovo numero di Diari di Cineclub , in cui si prosegue la mia rubrica YouTube Party. In questo articolo si parla dell’affaire Pewdiepie/Olocausto, strumentalizzazioni mediatiche e sfruttamento selvaggio nella “sharing economy”. Puoi scaricare Diari di Cineclub #48 cliccando il tasto sottostante. L’articolo è a pagina 40.
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February 6, 2017
Teorema – Mother Russia Bleeds
È uscito TEOREMA #13. Questo mese, ho scritto Mother Russia Bleeds – Il passato come merce e come arma. Ecco l’incipit.
«Nulla cambierà il mondo» ripete Marilyn Manson in Lamb of God, un brano scritto al termine del millennio. La totale resa innanzi a una realtà alienata e immutabile è divenuta la nuova ideologia dell’Occidente fin dagli anni ’80; abbiamo sentiti troppi leader, dalla Thatcher alla Merkel, annunciare che «non esiste alternativa». A loro, si è presto unito un compiaciuto coro di intellettuali e filosofi d’apparato, determinati a convincerci che la nostra unica scelta sia sopportare il mondo e non mutarlo, in quanto, dopo cinquantamila anni di storia umana, essa si è conclusa di colpo nel 1989, insieme all’esperienza del blocco sovietico. Non mi pare sia necessario confutare questa concezione ridicola e millenaristica della storia, che tutto piega alla falsa coscienza liberista, perché è già stato fatto: in primo luogo dagli eventi di questi ultimi venti anni e, in secondo luogo, da una pletora di storici e filosofi “critici” o “eterodossi” (vengono così identificati dal mainstream coloro che nel medioevo erano, meno ipocritamente, bollati d’apostasia). Tuttavia, è interessante notare come il virus concettuale della “fine della storia” si sia radicato, anche inconsapevolmente, nella weltanshauung di milioni di persone e di come abbia prodotto effetti collaterali non ovvi. Tra di essi, il passato inteso sia come bene di consumo sia come arma. Per illustrare questo argomento, penso sia utile prendere in esame un videogame in cui quattro rom russi si sparano grandi siringate di droghe letali mentre percuotono i loro nemici a colpi di toilette e bottiglie rotte.
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February 1, 2017
Il manuale CIA per sabotare le organizzazioni con la “stupidità intenzionale”
Questo articolo è stato tradotto per Megachip, lo trovi qui.
di Josh Jones.
Ho sempre ammirato chi riesce a navigare con successo in ciò che chiamo il “Castello di Kafka”, un concetto terrificante che indica le tante aziende e organismi governativi in possesso di un potere illimitato sui nostri dati personali, e che paiono imperscrutabili, agghiaccianti e assurdi quanto il labirinto in cui K è intrappolato nell’ultimo romanzo allegorico di Kafka. Anche se non hai letto Il Castello, ma lavori per un’entità del genere – o, come tutti noi, hai rapporti frequenti con l’Agenzia delle Imposte, il sistema sanitario e bancario, etc. – sarai ben consapevole dell’incompetenza diabolica che si maschera da due diligencee ci incatena in ogni modo possibile. Perché delle organizzazioni multimilionarie (o multibilionarie) sembrano incapaci, o determinate a fallire, nella realizzazione del più elementare degli obiettivi? Perché siamo così tanti a trascorrere la vita all’interno di incubi burocratici che paiono usciti da fiction satiriche come The Office e Office Space?
Una risposta ci giunge da The Peter Principle, opera di Laurence J. Peter del 1969, la quale ci propone la teoria che i manager e i dirigenti siano promossi fino a raggiungere il ruolo in cui la loro incompetenza raggiunge un livello pressoché completo, in modo che possano, come David Brent, devastare i dipartimenti che dirigono. La Harvard Business Review ha riassunto una recente, e inquietante, ricerca che conferma e articola ulteriormente le intuizioni di Peter sul narcisismo, sulla presunzione, o sulla vera e propria sociopatia di molti leader del settore pubblico e privato. Ma, in aggiunta alle debolezze umane, c’è un altro possibile motivo per il caos burocratico; chi tra noi è prono a pensare in termini cospiratori sarà perdonato se suppone che, in molti casi, l’incompetenza istituzionale è il risultato di un sabotaggio deliberato, effettuato sia dall’alto che dal basso. Di certo, i ridicoli meccanismi interni della maggior parte delle organizzazioni acquistano molto più senso se sono interpretati alla luce di una serie di istruzioni finalizzate a raggiungere la “stupidità volontaria”, vale a dire le direttive enucleate nel Simple Sabotage Field Manual, scritto nel 1944 dal precursore della CIA, l’Ufficio dei Servizi Strategici (OSS).
Ora desecretato e disponibile per il download nel sito della CIA, il manuale – che l’agenzia descrive come “sorprendentemente contemporaneo” – un tempo era distribuito agli ufficiali OSS di stanza all’estero, per assisterli nella formazione di “cittadini-sabotatori” nei paesi occupati, quali la Norvegia e la Francia. Tali persone, scrive Rebecca Onion di Slate, “potrebbero essere già all’opera, e sabotare materiali, macchinari oppure operazioni di loro spontanea iniziativa”; quel che gli manca, però, è il talento subdolo nel seminare caos che solo un’agenzia di intelligence può padroneggiare. La genuina pigrizia, arroganza e imbecillità potrebbero, di certo, essere endemiche. Ma il Field Manualafferma che “la stupidità volontaria è contraria alla natura umana” e che richiede un particolare set di competenze. Il cittadino-sabotatore “spesso ha bisogno di pressione, di stimoli o rassicurazioni, nonché di informazioni e suggerimenti sui metodi più efficaci per effettuare un semplice sabotaggio”.
È possibile leggere e scaricare il documento completo a questo link. Per avere un’idea di quanto “sempreverdi” – secondo la stessa CIA – siano queste direttive, potete leggere la lista abbreviata che segue, gentilmente concessaci da Business Insider. Potrà suscitarti una risata amara e, in seguito, farti rabbrividire al pensiero di quanto il tuo posto di lavoro, e molti altri, assomiglino al tipo di pasticcio disfunzionale che l’OSS ha meticolosamente elaborato durante la seconda guerra mondiale.
Organizzazioni e Conferenze
. Insisti perché tutto sia eseguito entro i “canali” prestabiliti. Non permettere scorciatoie che possano accelerare le decisioni.
. Fai “discorsi”. Parla il più frequentemente possibile e in modo estremamente prolisso. Illustra i tuoi “argomenti” usando lunghi aneddoti e racconti tratti dalle tue esperienze personali.
. Quando possibile, rimanda tutte le questioni a vari comitati, motivando la scelta con la necessità di “ulteriore studio e considerazione”. Tenta di rendere i comitati il più grandi possibile: mai meno di cinque persone.
. Discuti di questioni irrilevanti il pi ù frequentemente possibile.
. Negozia in continuazione sulla precisa formulazione linguistica dei comunicati, delle minute, delle risoluzioni.
. Fai riferimento a questioni decise durante l’ultima riunione e tenta di riaprire la discussione sulla loro opportunità.
. Sii un promotore della “cautela”. Sii “ragionevole” e sollecita i tuoi compagni di conferenza ad essere anch’essi “ragionevoli” ed evitare la fretta, la quale potrebbe provocare imbarazzo o difficoltà in seguito.
Manager
. Quando assegni del lavoro a qualcuno, dai la priorità agli incarichi irrilevanti. Assicurati che gli incarichi importanti siano assegnati a lavoratori inefficienti.
. Insisti sulla perfezione del lavoro riguardo a prodotti relativamente poco importanti; rispedisci al mittente tutti quelli che presentano il minimo difetto.
. Per abbassare il morale e, con esso, il livello di produzione, sii gentile con i lavoratori inefficienti; offri loro delle promozioni immeritate.
. Organizza conferenze quando c’è del lavoro molto più cruciale da svolgere.
. Moltiplica le procedure e le autorizzazioni per quel che riguarda le direttive, i pagamenti e così via. Assicurati che tre persone debbano approvare tutto ciò di cui si potrebbe occupare soltanto una persona.
Dipendenti
. Lavora lentamente.
. Effettua il maggior numero di interruzioni al tuo lavoro che puoi, usando l’immaginazione.
. Fai male il tuo lavoro e dai la colpa alla scarsa qualità degli strumenti, dei macchinari o delle attrezzature. Lamentati di come questi fattori ti impediscano di svolgere il tuo mestiere a livello ottimale.
. Non trasmettere la tua abilità e le tue esperienze ai lavoratori nuovi o meno capaci.
Fonte: http://www.openculture.com/2015/12/simple-sabotage-field-manual.html.
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January 31, 2017
YouTube Party #27 – Ultra Hal Chatbot Talks with another Ultra Hal bot
È appena uscito il nuovo numero di Diari di Cineclub , in cui si prosegue la mia rubrica YouTube Party. In questo articolo si parla di intelligenze artificiali passivo-aggressive, purghe planetarie antiumane e trivialità del mercato. Puoi scaricare Diari di Cineclub #47 cliccando il tasto sottostante. L’articolo è a pagina 32.
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January 26, 2017
Narrativa – L’Hardware e il Software
Tutti abbiamo letto infiniti articoli, saggi e commenti sulle tecniche di scrittura, sull’editing e su ogni aspetto della produzione letteraria. Tuttavia, l’elemento che più mi incuriosisce nell’attività degli scrittori è, spesso, quello puramente tecnologico. Quali strumenti usano, come li usano. Ho proposto l’idea di un articolo su questo tema a molti colleghi ma, finora, le traversie della vita (scadenze, lavoro, smemoratezza, caos totale, etc) hanno tenuto in freezer l’iniziativa. Per cui, con scatto virile, ho deciso di cominciare da solo, nella speranza che gli altri autori siano così gentili da offrire un poco del loro tempo per rispondere alle domande che seguono e postare il risultato sulle loro homepage. Penso che la condivisione di queste informazioni possa avere un effetto positivo su tutti gli altri, e far scoprire utili ferri del mestiere a chi di queste cose si occupa tutti i giorni. Per cui, se sei uno scrittore o una scrittrice, fotografa la tua scrivania, rispondi alle domande e segnalami il link del tuo pezzo. Se non lo sei, è probabile che il contenuto di questo articolo ti addormenti dopo una riga. In ogni caso, questi sono i miei attrezzi ed il modo in cui li uso.
Descrivi il luogo in cui lavori.
Nella foto, da sinistra a destra: Raspberry Pi con dentro Kali Linux, mazzo di post-it, penne, evidenziatore, coltello, forbici, anelli tamarri, due pipe, un bocchino per sigarette, sigarette elettroniche di diversa potenza, mazzo dei tarocchi “Thoth” di Aleister Crowley e Frieda Harris, taccuini, piccolo narghilé, cubo di Hellraiser di carta, set di dadi da roleplayer, mixer NanoKontrol 2 della Korg, astuccio con batterie per sigaretta elettronica, schermo secondario, mitra per la Nintendo Wii, tastiera APC Keys 25 (dietro il monitor), gamepad CSL, iPhone, iMac 28 pollici, ventola USB, due HD esterni per un totale di 4 terabyte, Launchpad e Launchpad Mini della Novation, groviglio di cavi, scatoletta con dentro batterie e pezzi di ricambio, casse e woofer, boccette e caricabatterie per la sigaretta elettronica, pistola per la Wii, busto di Mao con collane indiane in plastica provenienti dalla Valle della Morte, trackpad, mouse, tastiera. Fuori dalla foto: iPad (usato per scattarla) con tastiera esterna da viaggio, stampante, cuffioni Sennheiser attaccati al computer. Alle mie spalle, un televisore dotato di Chromecast e di un secondo Raspberry Pi con dentro RetroPie. Nel resto della casa: i fornelli della cucina e il WC sono gli unici posti liberi da mucchi di libri.
Di quali strumenti (sia software che hardware) non puoi fare a meno per scrivere?
Scrivener – È il mio principale strumento di scrittura e contiene tutte le funzionalità necessarie per realizzare un libro, da zero fino all’eBook (l’impaginazione per il cartaceo è realizzata con InDesign in una fase successiva). Scrivener mi permette di tenere in un unico file tutta la mia produzione, con annessi appunti, soggetti, scalette, schede varie, uno storico delle revisioni di ogni testo e ogni altro file attinente. È utile per romanzi, articoli, sceneggiature per fumetto o film; in realtà, per qualsiasi cosa in forma scritta. Ha generatori casuali di nomi per i personaggi, uno spellcheck sintattico e ortografico, una modalità di scrittura a tutto schermo senza distrazioni, la possibilità di creare link intertestuali e una paccata di altri moduli che eccedono l’immaginazione dell’utente (ad esempio, scanner per l’analisi delle parole troppo ripetute e altri ammennicoli più estremi). Oltre ai romanzi e gli articoli, il masterfile contiene varie “Bibbie” con i dettagli di varie ambientazioni.
Scapple – Questo software, aperto in fullscreen nello schermo secondario, contiene una lavagna virtuale in cui raccogliere tutte le informazioni utili sul capitolo su cui si sta lavorando: il soggetto, una sventagliata di appunti utili, etc. Inoltre, lo uso anche per l’analisi strutturale del soggetto, assegnando ad ogni scena di un romanzo un icona che ne descriva la tipologia, e piazzandole in sequenza ascendente o discendente, così da darmi un quadro visivo delle micro-vittorie e micro-sconfitte del protagonista: con una semplice occhiata è quindi facile identificare eventuali problemi strutturali (una sequenza di beat narrativi incentrati sull’esposizione, ad esempio, o una serie di scene ascendenti, segnale che non sto dando abbastanza filo da torcere al personaggio principale). Siccome Scapple offre una lavagna infinita, nella sua parte superiore ho stilato una cronologia zoommabile degli eventi dell’universo narrativo, una bacheca in cui segnare hook irrisolti da sviluppare in altri romanzi e una mappa dei rapporti tra i personaggi di tutti i miei libri.
Evernote – Essenziale per uno scrittore, Evernote contiene l’archivio di tutte le mie idee o di qualsiasi elemento coerente alla mia estetica scoperto in altri testi, libri o film. Ogni taccuino virtuale di Evernote contiene gli appunti su un progetto presente o futuro, più una cartella “generalista” in cui riporre i brandelli concettuali che ancora non hanno trovato una casa.
Typewriter Keyboard – Questo software ha una funzione molto semplice: alla pressione di ogni tasto, replica il suono delle battute su una macchina da scrivere analogica. È una cosa da feticisti, lo ammetto.
Backblaze + Time Machine + Dropbox + Hazel – L’interazione tra questi software fa sì che i backup del masterfile con dentro la mia produzione finiscano automaticamente in tre HD diversi (due esterni e uno interno), in un servizio di cloud e in un secondo servizio di backup online. In questo modo, anche se il mio computer fosse colpito da un meteorite, da qualche parte sarà presente un backup. La copia in due servizi online (Dropbox e Backblaze) è francamente paranoica, ma la sicurezza informatica deve esserlo. Ogni anno realizzo anche un backup USB dell’intera produzione.
Mobile – Se sono costretto a lavorare in viaggio, il setup sopra descritto si riduce a Scrivener sull’iPad (in sync con il masterfile sul mio computer), accompagnato da una tastiera esterna iClever. Evernote sull’iPhone può far le veci di Scapple.
Descrivi la tua routine di lavoro.
Mi sveglio. Faccio una passeggiata di un’ora nella palude di fianco a casa mia, mentre ascolto podcast o lezioni su materie disparate in MP3. Alle 9:30 inizia la prima sessione di lavoro. Revisiono quanto scritto il giorno prima e produco duemila parole di materiale addizionale. La sessione si chiude alle 13:30. Riprendo alle 15:00. Studio qualcosa per un ora; di solito, si tratta di tutorial o testi tecnici su nuovi software (o un approfondimento di quelli che già conosco), testi umanistici o scientifici, acquisizione di nuove abilità pratiche. La seconda sessione di lavoro comincia alle 16. Questa è dedicata a qualsiasi cosa non sia attinente alla narrativa, e dura fino alle 19. Dalle 20 in poi, se sono ancora in condizioni accettabili, produco musica o mi dedico a progetti più esoterici (grafica frattale, creazione di videogame, giochi da tavolo, etc.). In caso contrario, guardo un film o gioco a un videogame. Dalle 23 alle 2 mi dedico alla lettura. La routine descritta, tuttavia, rappresenta una giornata ideale, ed è pensata per bilanciare vari fattori: una sorta di formazione autodidatta permanente, l’output lavorativo, qualche concessione alla salute e qualcuna all’intrattenimento. Non è infrequente che il casino esistenziale di noi tutti (commissioni, imprevisti, scadenze di lavoro) la mandi a monte in maniera parziale o totale.
Descrivi un “trucco” che ti fa risparmiare tempo.
Avere un archivio organizzato in modo razionale è cruciale. Ogni idea, e in generale tutto ciò che in qualche modo vibra alla stessa frequenza della mia estetica, viene annotato su un taccuino o “screenshottato”, per poi finire nel mio account Evernote, in una cartella dedicata al progetto presente o futuro a cui è attinente, oppure nella cartella “generalista” in cui si accumula tutto ciò che ancora non so come usare. Quando inizio a lavorare su un determinato progetto, il contenuto della cartella viene tritato e i suoi elementi principali sparsi come note a pié pagina del soggetto, per poi finire nel mini-soggetto di un singolo capitolo e poi sul file Scapple che uso come schermo secondario mentre scrivo. Se mi viene richiesto di creare un concept nuovo su due piedi, prendo una manciata di suggestioni dalla cartella generalista di Evernote, le collego concettualmente e ho pronto un progetto nuovo in maniera istantanea. In questo modo, la risposta alla domanda «Dove prendi le tue idee?» è, letteralmente, «Evernote».
Lavori ai tuoi progetti uno dopo l’altro o, dopo averne concluso uno, ti prendi un periodo di riflessione in modo da coagulare le idee per il successivo?
Nella migliore delle ipotesi, concludo un romanzo da febbraio a maggio e uno da settembre a dicembre, concedendo un mese alla ricerca, due alla scrittura e uno alle revisioni finali. Scrivere un romanzo è talmente faticoso che mi lascio sempre qualche tempo per respirare.
Cosa ascolti mentre lavori?
La scelta di default è la dark ambient o il punk hardcore: sono gli unici generi che, per qualche motivo, non mi distraggono. A WORLD WITHOUT US e IT IS THE VOID sono stati composti a mio uso e consumo, proprio per questo motivo. Talvolta, ascolto rumori d’ambiente (come quelli registrati da Wes Otis della Platemail Games o da Radio Aporee) attinenti a quanto devo scrivere. In particolari casi, creo una playlist ad hoc con il meglio della musica dell’epoca in cui è ambientato il romanzo (ad esempio, gli anni ’50 in California per Anticristo Americano).
Quali sono le tue abitudini di lettura?
Dato che la mia capacità d’attenzione (come quella di tutti) si è piuttosto logorata con l’immersione nel ronzio digitale della rete, mi dedico tipicamente a quattro libri contemporaneamente, leggendo due capitoli di ciascuno a rotazione. Tre titoli sono di norma romanzi o saggi, mentre uno è un manuale tecnico, un fumetto o un gioco di ruolo. Indipendentemente dal loro contenuto, due sono sempre cartacei, uno è sul eReader Kobo in formato EPUB e uno sull’iPad in formato PDF. Questa strategia mi ha permesso non solo di bypassare il solito “Non riesco a leggere perché non mi concentro”, ma a moltiplicare le mie letture in modo terrificante.
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January 24, 2017
Rassegna Stampa – Daniele Barbieri su PARADOX
La Bottega del Barbieri ha recensito PARADOX. Ecco un estratto:
Ove mai vi intrighino Lovecraft, il precetto taoista Wu Wei, la Chiesa di Satana, l’Aleph (qui in versione insolita), la Cabala, il fiume di escrementi, i Roshaniya, gli dèi schiavi, il presidente Saragat, Mauser nel senso di bangbang, i viaggi nel tempo, Kismet, i cani umani, le macchine di Rube Goldberg allora non perdetevi «Paradox».
Una rapida risposta a Daniele Barbieri: sì, un certo numero di refusi sono sfuggiti alle maglie dell’editing. Sono stati brutalmente assassinati in seguito all’uscita del libro; di loro non resta memoria nella seconda tiratura.
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