Mario Pacchiarotti's Blog, page 40

November 27, 2013

Autopubblicare: Lo scoglio della copertina

Pubblicare autonomamente un libro non è una cosa così difficile come si pensa.

Questo non toglie che ci siano alcuni aspetti abbastanza complessi.
Uno di questi è senz'altro la realizzazione della copertina.

Specialmente per i libri digitali (e-book), la copertina rappresenta una delle forme più potenti di marketing del libro stesso. E' la copertina che viene immediatamente valutata quando il possibile acquirente e lettore si imbatte nel vostro libro, magari scorrendo una lunga lista.

Una copertina mal realizzata, che trasmetta un senso di dilettantismo o di approssimazione, probabilmente allontanerà un certo numero di potenziali lettori. Anche una copertina tecnicamente perfetta potrebbe non essere ideale, quando non riesca a trasmettere correttamente un'idea sul contenuto del vostro testo.

Ci sono essenzialmente due modi di approcciare il problema: ingaggiare qualcuno che faccia la copertina per voi, oppure tentare di realizzarla in proprio.

Quando mi sono trovato di fronte a questa necessità per il mio piccolo libro di racconti - ho deciso di percorrere la seconda strada. Più che altro per il divertimento di farlo autonomamente.
A voi giudicare il risultato.

Non sono in grado di disegnare. Anche oggi, se dovessi provare a tirare giù lo schizzo di un volto, otterrei un risultato simile a quello che potrebbe ottenere una bambina di 4 anni. Per la grafica della copertina, quindi, ho pensato di utilizzare un'immagine stock. Dopo una breve ricerca ho deciso di avvalermi del sito ShutterStock.

Qui ho trovato l'immagine base utilizzata nella copertina che vedete a fianco, perfettamente in tema con il titolo dell'e-book che volevo pubblicare: Madre Terra.

Devo dire che questa è stata la parte più complessa: ricercare un'immagine che contemporaneamente fosse in tema con il libro, e piacevole graficamente.

Il passo successivo è stato realizzato con lo strumento di Amazon per la creazione di copertine. Ci sono molti stili e formati a disposizione degli autori, e c'è la possibilità di fornire un'immagine.

Un paio d'ore di lavoro sono state sufficienti, dovute ai reiterati tentativi di trovare la combinazione di testo e colori che mi soddisfacesse totalmente.

Sia chiaro: non penso di aver ottenuto un risultato eccelso. Però la considero una buona copertina, in particolare se si considera che è stata realizzata da un assoluto imbranato della grafica come me.

Come sempre, commenti e racconti sulla propria esperienza, sono i benvenuti.
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on November 27, 2013 10:00

November 23, 2013

Teutovirus - Un frammento

Un frammento di un racconto che sto rifinendo. Non è la versione definitiva, ma ci siamo quasi :-D
Come sempre sono graditi commenti.

------

Arturo lavorava nell’Ufficio Oggetti Smarriti della Stazione Termini di Roma da un tempo così lungo che poteva ormai considerarsi alla stregua di uno dei tanti oggetti inutili che si erano accumulati in quel magazzino negli anni e che nessuno sarebbe mai venuto a reclamare.

La gente raramente portava qualcosa di valore. Era però presente nello stanzone alle spalle di Arturo una notevole collezione di numero 1398 ombrelli, differenti per foggia e colore. Per non parlare delle sciarpe, ne aveva esattamente 574. Non mancavano valigie, borsoni e pacchi, quasi sempre violati prima della consegna, ma questa tipologia di oggetti normalmente era lì soltanto di passaggio. La gente tendeva a recuperare la propria valigia, o la borsa, anche se ormai priva di ogni valore prezioso al suo interno. Affezione alle mutande, soleva chiamarla Arturo con una vena di sarcasmo amaro che aveva assorbito in tanti anni di quel lavoro.

Non era sempre un lavoro noioso. In un angolo remoto del magazzino c’era lo scaffale che Arturo aveva denominato “dei misteri”. Colà venivano accumulati quegli oggetti che anche la più approfondita analisi non era riuscita a classificare. Qualche volta Arturo, dopo mesi di studi e riflessioni, riusciva a capire che cosa fosse il tale oggetto, e spesso questo automaticamente rendeva facile rintracciarne il proprietario. Altre volte arrivava qualcuno che chiedeva se fosse stato trovato il suo odhner, oppure un altro che aveva perso delle bacchette da cimbalom. Arturo li portava nell’angolo del mistero e immancabilmente il nome veniva associato a un oggetto concreto.
Erano soddisfazioni. Purtroppo però per la gran parte si trattava di un lavoro piuttosto noioso. Comodo e rilassante, ma noioso.

Da qualche tempo però le cose erano cambiate. Prima di tutto c’era stato un significativo e progressivo aumento degli oggetti consegnati. Proprio ad evitare la noia Arturo si era dilettato a calcolare un incredibile numero di statistiche, alcune davvero inutili (a che poteva servire sapere quanti ombrelli di colore rosso erano stati ritrovati nel 2010?).
Le statistiche mostravano con chiarezza come un grafico quasi del tutto piatto si era ora impennato ad assumere, nella sua parte più recente, la configurazione di un arco di parabola, con una tendenza crescente.

Ma la cosa più importante è che la tipologia di oggetti consegnati era cambiata radicalmente. Se in precedenza gli venivano riportate solo cose di scarso valore, come ombrelli, cappelli, sciarpe, qualche valigia e borsa (previo svuotamento dei valori eventualmente presenti), qualche orologio dozzinale, e altra paccottiglia di questo tipo, ora la varietà di oggetti si era immensamente ampliata. Nell’ultimo mese erano stati consegnati più computer portatili che negli ultimi cinque anni, telefoni cellulari, portafogli con tanto di valori e carte di credito all’interno (di vuoti ne aveva sempre ricevuti tanti), persino due orecchini d’argento (spaiati, evidentemente persi da qualche signora in transito alla stazione).

Ed ora questo. Arturo guardò ancora una volta con attenzione l’anello che poco prima una vecchia signora gli aveva affidato. Ritrovato sul lavabo del bagno delle signore. Non era un professionista, ma sapeva riconoscere la qualità dei diamanti, e quello incastonato in quell’anello aveva una luce e un colore magnifici. A occhio doveva essere intorno ai cinque carati.

Era rimasto talmente sorpreso e imbarazzato dall’evento che si era dimenticato di consegnare la ricevuta alla signora che lo aveva trovato. Moltissimi anni prima un ragazzo gli aveva portato un portafoglio con dentro contanti per un milione. Erano un sacco di soldi all’epoca e lui aveva abilmente evitato di specificare il contenuto del portafogli nella ricevuta e se li era intascati.
Guardò l’anello lungamente, e per un attimo pensò che avrebbe potuto fare lo stesso. Tra l’altro era in crisi monetaria, come gran parte degli italiani, e chi aveva perso quell’anello doveva di certo essere ben fornito di soldi.

Avrebbe potuto. Ma si rese conto di essere a disagio con quell’idea.
Non voleva farlo. Non gli sembrava.... onesto....
Ci posso fare un sacco di soldi, e senza rischi, pensava. Ma al tempo stesso capiva che non era giusto, che l’anello non era suo, che andava restituito, che il suo lavoro era conservarlo finché qualcuno non si fosse presentato. “Che diavolo mi piglia” - si disse, ma al pensiero di trattenere l’anello per se il disagio aumentava diventando inaccettabile. Non riusciva a darsi una ragione per queste inspiegabili nuove sensazioni.

Scosse la testa pensoso, quasi spaventato da quel nuovo se stesso, poi si apprestò a sistemare l’anello nel magazzino. Si fermò un attimo sulla porta pensando a quale fosse il posto giusto. Ovviamente non esisteva uno scaffale per i gioielli. Rimase in dubbio solo un secondo, poi si avviò deciso verso l’angolo dei misteri.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on November 23, 2013 02:34

November 15, 2013

Il dolore di scrivere

Non ho idea se per tutti è lo stesso.

Scrivere, per me, è insieme un piacere, e un dolore.

Oggi vi parlo del dolore.

Quando mi siedo, e comincio a scrivere, lo faccio perché sento l'esigenza di trasmettere agli altri una storia, con personaggi, emozioni, dettagli precisi, che sono tutti contenuti dentro di me.
Nella mia testa non c'è magari la forma compiuta di ogni cosa, ma per qualsiasi domanda che mi possa porre su un personaggio, una situazione, una parte della storia, ho pronta nella mia mente la risposta, che magari si forma da sola nel momento stesso in cui la domanda viene posta.

Io conosco esattamente ogni emozione, ogni sfaccettatura, perché sono essenzialmente mie, frutto della mia mente, ben chiare in me.

Ma nel momento stesso in cui scrivo una serie di frasi, che tentano di descrivere tutto quello che ho dentro, ecco che inizia il dolore. Perché tradurre un'emozione, una storia, un sentimento, in parole scritte, che rendano a chi le legge le stesse emozioni, la stessa storia, lo stesso esatto sentimento che io provo, è compito quasi impossibile.

E dunque, il risultato è sempre un'approssimazione, un'ombra di quello che ho dentro, appena accennata, insufficiente, non soddisfacente, e quindi, inevitabilmente, dolorosa. Persino quando rileggo la frase, il frammento di racconto che ho appena scritto, e lo trovo magari perfetto, c'è comunque il dubbio che quello stesso concetto, a me chiaro, non sarà recepito totalmente dal lettore.

Non è certo un dolore insopportabile. Semmai, un vago senso di fastidio, di frustrazione a volte, che mi accompagna sempre, specialmente quando arriva il momento di mettere la parola fine al racconto, quando si avvicina il confronto con chi lo leggerà.

Persino questo semplice e breve articolo. Sarà compreso? Sarà chiaro quello che intendo?

Ancora di più i racconti, dove il desiderio è quello di trasmettere qualcosa, sia in maniera diretta, con lo scorrere naturale della storia, sia in maniera indiretta: più sottilmente, quasi nascondendolo per chi abbia la voglia di grattare sotto la superficie.

Ma non fa niente. Perché in fondo tutto nella vita è un po' gioia e un po' dolore.

Se non altro tutto quello per cui, vale la pena di vivere!
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on November 15, 2013 10:00

October 29, 2013

Sporcare la carta

Non ricordo mai i miei sogni.
Mia moglie dice che la notte, rido. Sarà vero, ma non so dirgli il perché.
Almeno saranno sogni divertenti.

Non ricordo mai i miei sogni.
Però, almeno in parte, li conosco.

Il punto è, che, da quando mi ricordi, ho sempre avuto bisogno di tempo per addormentarmi. Così mi infilo nel letto, assumo la posizione più comoda che mi sia possibile, e comincio a scrivere.

Senza carta e senza penna, costruisco storie. Sono queste, probabilmente, che animano i miei sogni. Quando una storia mi piace particolarmente, vado avanti giorni e giorni, mesi e persino anni, costruendone ogni volta un altro frammento.

Tra poco compio 54 anni. Immaginate quante storie sono passate per la mia testa.
Di quanti sogni sono stato regista.
Storie, costruite, consumate, e poi volate via nella notte e mai più ricordate.

Di alcune percepisco ancora l'alone, come fossero ombre che scompaiono lentamente.

Così, improvvisamente mi è presa la voglia di scriverle, queste storie, di sporcare la carta.
Ho raccolto un po' di coraggio ed ho iniziato.

Qui, vi racconterò come va: qualcosa in più sulle mie pagine sporche.


 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on October 29, 2013 12:00