Sergio Maistrello's Blog, page 5

November 3, 2016

State of the Net 2016

Due giorni ricchi, come sempre, di spunti di riflessione e ah-à moment. Con in più il piacere di essere tornati a casa, a Trieste e in Friuli Venezia Giulia, dopo la trasferta milanese del 2015 in occasione di Expo. A State of the Net 2016 s’è parlato di fatti, della loro abbondanza, del frequente rifiuto e di un possibile superamento al tempo della rete. Di post-verità, un paio di settimane prima che questa diventasse una delle parole simbolo del 2016. Secondo tradizione, tutto resta disponibile e riascoltabile online, sul sito della conferenza e su YouTube. La biblioteca di idee raccolte in sei edizioni dalla conferenza comincia a fare una certa impressione.




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Published on November 03, 2016 09:52

State of the Net 2016

Due giorni ricchi, come sempre, di spunti di riflessione e ah-à moment. Con in più il piacere di essere tornati a casa, a Trieste e in Friuli Venezia Giulia, dopo la trasferta milanese del 2015 in occasione di Expo. A State of the Net 2016 s’è parlato di fatti, della loro abbondanza, del frequente rifiuto e di un possibile superamento al tempo della rete. Secondo tradizione, tutto resta disponibile e riascoltabile online, sul sito e su YouTube. La biblioteca di idee raccolte in sei edizioni dalla conferenza comincia a fare una certa impressione.




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Published on November 03, 2016 08:52

August 26, 2016

Gli occhi di P.

Nei giorni scorsi abbiamo salutato un amico, che in poche settimane si è dovuto arrendere a una delle più crudeli tra le sfide per la vita. Su invito della famiglia, che ha saputo trasformare una vicenda orribile in una in una celebrazione della vita e del valore della comunità, ho scritto queste righe per lui. Mi piace che ne resti traccia qui.


 


A P. ho voluto istintivamente bene.


Che cosa ti fa venire in simpatia una persona che puoi dire di conoscere appena e che incontri il più delle volte soltanto per il tempo di un ciao nell’atrio delle scuole dei tuoi figli?


Un modo di stare, un modo di guardare, un modo di ascoltare.


Ci sono occhi – la gran parte – che sono portoni sprangati, indifferenti, rivolti altrove. Altri, più rari, sono finestre tenute appena accostate dal pudore. Dietro una cordialità riservata, gli occhi di P. lasciavano intravedere un mondo ricco. Ricco di contrasti, di differenze, di originalità.


Semplice, ma intenso.

Umile, ma orgoglioso.

Rispettoso, ma indomito.


P. gli occhi te li incollava addosso, se quello che dicevi catturava la sua immaginazione. Grati. Assetati. Quasi avessero saputo di avere poco tempo per capire quel che c’era da capire.


P. un giorno avrò modo di conoscerlo meglio, mi dicevo. Avrò modo di farmi raccontare la sua storia, a cui K. accenna sempre così fiera. Avrò modo di scoprire da dove attingono compostezza e sfumature fuori dal comune i suoi bimbi.


Che sfortuna, P., un’ingiustizia da spezzare il cuore. Ma anche che enorme lezione di vita, di condivisione, di dignità, di gioia nonostante tutto, che ci avete dato in queste poche settimane straordinarie.


Ci lasci una famiglia splendida, a cui volere ancora più bene. E un senso di comunità da accudire, ora anche nel tuo ricordo.


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Published on August 26, 2016 08:41

May 25, 2016

Toni

Ciao, signor Toni.

Che gran bella persona sei stato.

Gentile, genuino, generoso.

Roccia per la mia famiglia.

Far nascere un sorriso grato anche nella tristezza

è il privilegio delle persone che lasciano un segno.


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Published on May 25, 2016 13:28

April 30, 2016

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Published on April 30, 2016 00:00

March 23, 2016

Bilancio decennale di un innovatore di provincia

Martedì sera, con un voto del Consiglio comunale, per me si è chiuso di fatto un lungo periodo di lavoro e sperimentazione tra informazione, comunicazione digitale e partecipazione civica nella mia Pordenone. È stato un periodo straordinariamente stimolante e di cui un giorno mi piacerebbe scrivere in modo più approfondito, perché Pordenone è soltanto una delle migliaia di comunità locali che potrebbero imparare a usare le reti in modo più maturo per generare innovazione e valore.


Siamo partiti nel 2007 pensando a come il wifi civico avrebbe potuto sostenere la connessione tra competenze e idee. Nel 2010 abbiamo trasformato il formato assai liso degli stati generali tra portatori di interessi in un racconto aperto e multicanale, aggregando reti dentro e fuori la città per mettere a fuoco nuovi volani di sviluppo. Nel 2011 abbiamo provato a pensare a come la presenza in rete del municipio avrebbe potuto favorire queste logiche, un progetto premiato da fondi europei ma non ancora decollato per complicazioni amministrative.


Inseguendo un metodo smart, nel 2012 abbiamo aperto un grande laboratorio civico al servizio dell’analisi e della pianificazione strategica del territorio, arrivato proprio in questi giorni al capolinea. Nel 2014 abbiamo usato il web e i social network per accelerare la diffusione di informazioni di servizio in occasione di un enorme evento di massa che ha stravolto la routine cittadina per diversi giorni. Quell’evento è stato anche il pretesto per connettere i nodi più attivi della rete cittadina in un social media team diffuso per la promozione del territorio.


Allo stesso modo, abbiamo proposto il conforto della documentazione e dei dati oggettivi quando lo scontro tra opposti interessi rischiava di distrarre la comunità dalla necessità di comprendere di che cosa si stava parlando. Abbiamo incrociato gli hashtag e aggregato flussi di informazione spontanea, cercando di distillare nuove forme di racconto di una città mentre vive. Ci siamo interrogati sulle regole del gioco da inseguire dentro ambienti che sono più veloci e complessi della capacità delle istituzioni di comprenderli. Ci siamo spesi perché si consolidassero luoghi informali di incontro, di collaborazione, dove incubare nuove idee. Abbiamo risposto ai dubbi e consolidato pratiche nei quartieri.


A tenere insieme e a motivare questo fermento è stata la convinzione di vivere anni speciali in un luogo speciale, ricco come pochi di energie, di specializzazioni e di progetti che aspettano soltanto di essere messi in rete per spingere l’intero ecosistema locale a un nuovo livello di consapevolezza e di efficienza.


È stato un ciclo bellissimo, vissuto insieme a splendide e generose persone che tanto mi hanno insegnato su di me, sul mio lavoro, sulla mia città e sulle implicazioni del vivere insieme sopra uno stesso fazzoletto di terra. Ho imparato a riconoscere il valore del servizio civico, l’imprescindibilità dell’interesse generale, il peso morto delle rendite di posizione, la forza senza tempo dei legami tribali, il costo della coerenza in un ecosistema complesso.


Tuttavia è un ciclo che noi pordenonerd sappiamo in cuor nostro essersi sostanzialmente chiuso, per ora. Abbiamo dimostrato opportunità, favorito importanti risultati a beneficio della comunità, raccolto pacche sulle spalle, ma non siamo stati così bravi da instillare il dubbio, la possibilità, l’urgenza là dove il cambiamento potrebbe effettivamente essere accelerato a vantaggio di tutti. Non bastasse la nostra onestà intellettuale, i temi, i formati e i linguaggi su cui sembra essersi assestata la campagna elettorale per le amministrative di primavera sono lì a dimostrarlo.


Serve un nuovo ciclo e servono nuove energie. Chi ha idee si faccia avanti e sfidi le consuetudini con spirito da hacker civico. Io, per il momento, mi faccio da parte e torno dopo dodici anni a Milano, a imparare cose nuove e a inseguire l’innovazione da una prospettiva differente, più concreta. Se la testa per un po’ sarà tutta lì, il cuore, non serve dirlo, resta a Pordenone.


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Published on March 23, 2016 19:30

Bilancio decennale di un innovatore di provincia

Martedì sera, con un voto del Consiglio comunale, per me si è chiuso di fatto un lungo periodo di lavoro e sperimentazione tra comunicazione digitale, informazione e partecipazione civica nella mia Pordenone. È stato un periodo straordinariamente stimolante e di cui un giorno mi piacerebbe scrivere in modo più approfondito, perché Pordenone è soltanto una delle migliaia di comunità locali che potrebbero imparare a usare le reti in modo più maturo per generare innovazione e valore.


Siamo partiti nel 2007 pensando a come il wifi civico avrebbe potuto sostenere la connessione tra competenze e idee. Nel 2010 abbiamo trasformato il formato assai liso degli stati generali tra portatori di interessi in un racconto aperto e multicanale, aggregando reti dentro e fuori la città per mettere a fuoco nuovi volani di sviluppo. Nel 2011 abbiamo provato a pensare a come la presenza in rete del municipio avrebbe potuto favorire queste logiche, un progetto premiato dai fondi europei ma non ancora decollato per complicazioni amministrative.


Inseguendo un metodo smart, nel 2012 abbiamo aperto un grande laboratorio civico al servizio dell’analisi e della pianificazione strategica del territorio, arrivato proprio in questi giorni al capolinea. Nel 2014 abbiamo usato il web e i social network per accelerare la diffusione di informazioni di servizio in occasione di un enorme evento di massa che ha stravolto la routine cittadina per diversi giorni. Quell’evento è stato anche il pretesto per connettere i nodi più attivi della rete cittadina in un social media team diffuso per la promozione del territorio.


Allo stesso modo, abbiamo proposto il conforto della documentazione e dei dati oggettivi quando lo scontro tra opposti interessi rischiava di distrarre la comunità dalla necessità di comprendere di che cosa si stava parlando. Abbiamo incrociato gli hashtag e aggregato flussi di informazione spontanea, cercando di distillare nuove forme di racconto di una città mentre vive. Ci siamo interrogati sulle regole del gioco da inseguire dentro ambienti che sono più veloci e complessi della capacità delle istituzioni di comprenderli. Ci siamo spesi perché si consolidassero luoghi informali di incontro, di collaborazione, dove incubare nuove idee.


A tenere insieme e a motivare questo fermento è stata la convinzione di vivere anni speciali in un luogo speciale, ricco come pochi di energie, di specializzazioni e di progetti che aspettano soltanto di essere messi in rete per spingere l’intero ecosistema locale a un nuovo livello di consapevolezza e di efficienza.


È stato un ciclo bellissimo, vissuto insieme a splendide e generose persone che tanto mi hanno insegnato su di me, sul mio lavoro, sulla mia città e sulle implicazioni del vivere insieme sopra uno stesso fazzoletto di terra. Ho imparato a riconoscere il valore del servizio civico, l’imprescindibilità dell’interesse generale, il peso morto delle rendite di posizione, la forza senza tempo dei legami tribali, il costo della coerenza in un ecosistema complesso.


Tuttavia è un ciclo che noi pordenonerd sappiamo in cuor nostro essersi sostanzialmente chiuso, per ora. Abbiamo dimostrato opportunità, favorito importanti risultati a beneficio della comunità, raccolto pacche sulle spalle, ma non siamo stati così bravi da instillare il dubbio, la possibilità, l’urgenza là dove il cambiamento potrebbe effettivamente essere accelerato a vantaggio di tutti. Non bastasse la nostra onestà intellettuale, i temi, i formati e i linguaggi su cui sembra essersi assestata la campagna elettorale per le amministrative di primavera sono lì a dimostrarlo.


Serve un nuovo ciclo e servono nuove energie. Chi ha idee si faccia avanti e sfidi le consuetudini con spirito da hacker civico. Io, per il momento, mi faccio da parte e torno dopo dodici anni a Milano, a imparare cose nuove e a inseguire l’innovazione da una prospettiva differente, più concreta. Se la testa per un po’ sarà tutta lì, il cuore, non serve dirlo, resta a Pordenone.


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Published on March 23, 2016 18:30

January 19, 2016

La responsabilità dei padri e l’autonomia dei figli

Caro genitore ansioso, son sempre io. Quello che, se tu dici che dobbiamo proteggere di più i nostri figli, lui ribatte polemico che al contrario dovremmo renderli più autonomi. Quello che, se tu proponi di sprangare il cancello, lui non perde l’occasione per suggerire che semmai dovremmo sradicare la recinzione. Quello che ti mette a disagio, perché non va mai ad aiutare suo figlio nello spogliatoio in palestra oppure lo manda da solo in giro per il quartiere a fare piccole commissioni.


Oggi sei particolarmente agitato. Hai letto sul giornale di un brutto fatto di cronaca. Uno dei nostri incubi peggiori: bullismo invisibile, fragilità sottovalutata, disagio esplosivo. Qui, proprio accanto a noi, nella nostra città. Ti fai domande, hai la sensazione che nemmeno tutto il tuo amore potrebbe bastare a preservare tuo figlio dai rischi. La fiducia in chi te lo custodisce per molte ore al giorno, già condizionata, vacilla. Trovi istintiva rassicurazione in chi ostenta soluzioni: dobbiamo stare loro ancora più vicino, passare al setaccio il loro mondo, filtrare le loro comunicazioni, avere tutto sotto controllo.


Mi colpisce una prima differenza tra me e te. Tu sembri identificarti soprattutto in tuo figlio e soffri preventivamente al suo posto, sulla base di un’urgenza emotiva sobillata da terzi. Io mi identifico nell’adolescente che sono stato, ripasso la geografia delle mie cicatrici e provo a marcare i punti di contatto tra la mia esperienza di allora e quella che potrebbe vivere mio figlio. E sai cosa? È davvero una realtà diversa, come sostieni sempre tu. Ma sospetto che la causa sia soprattutto nostra.


Ricordo sempre a me stesso che io già in prima elementare andavo e tornavo da scuola da solo, le chiavi di casa appese al collo. Il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, potevo uscire e andare ai giardinetti o in giro con gli amici del palazzo in bicicletta, lasciando agli adulti soltanto idee sommarie sui luoghi in cui avrei passato il mio tempo e sui compagni di avventure. Non ricordo di essere mai stato accompagnato in palestra a fare sport, dove andavo a piedi portandomi da solo l’attrezzatura necessaria. Godevo di ampi margini di autonomia, disponevo per gran parte del tempo libero delle mie scelte, protetto da maglie di fiducia molto ampie.


Oggi non posso dire lo stesso di mio figlio, che fa la quarta elementare. Lui è costretto a passare dalla sorveglianza di un adulto a quella di un altro adulto, deve essere accompagnato e ripreso in continuazione da scuola a casa, dall’oratorio alla palestra, dal parco alla casa degli amichetti. I suoi tempi e i suoi luoghi sono dettati da, o nel migliore dei casi concordati con, un adulto. Ho preteso per lui tutta l’autonomia che regolamenti e assunzione diretta di responsabilità mi concedono, vincendo l’ottusità delle consuetudini e il biasimo dei miei pari, ma è comunque ben poca cosa, insufficiente a creare anche soltanto una parvenza di quella indipendenza e capacità di badare a se stessi che per noi, alla loro età, era ormai scontata e acquisita.


Ogni tanto invento scuse, per supplire a questa mancanza di spazi: mi vai a prendere il pane? Preferisci restare a casa da solo mentre vado a predere la tua sorellina? Te la senti di andare per conto tuo al compleanno del tuo amico, che poi vengo a riprenderti io? Ti posso lasciare all’incrocio prima della palestra? Devo comunque limitarmi, perché i miei esperimenti generano spesso un disagio controproducente negli adulti che lui incrocia in questi frangenti, un allarme sociale che supplisce alla mia assenza e ripristina il controllo.  Nei suoi occhi invece vedo accendersi la scintilla della sfida, dell’orgoglio, della possibilità, dell’autonomia, che altrimenti sarebbe rimasta spenta. Poi ti lamenti che i giovani di oggi sono apatici: ci credo, gli soffochiamo la fiamma pilota.


Non puoi fare paragoni, ribatti sempre tu a questo punto, sono cambiate troppe cose. Davvero? Il traffico, dici. Di certo ce n’era meno. Ma c’erano anche meno marciapiedi, meno piste ciclabili, meno attraversamenti in sicurezza: cresce tutto in proporzione. Queste sono in ogni caso le strade in cui i nostri figli possono imparare a muoversi consapevolmente e responsabilmente. Ci sono tanti altri pericoli in più, insisti allusivo. I malintenzionati. Non c’erano forse i malintenzionati ai nostri tempi? E non era enormemente più basso il controllo sociale e la consapevolezza di chi si occupava di noi? Ci hanno mai impedito di fare la nostra vita e di crescere accorti, ma liberi e consapevoli della diversità nel bene e nel male attorno a noi? Dove esattamente è subentrata l’idea che dobbiamo svolazzare costantemente accanto a loro come aquile per sindacare in loro vece ogni loro incontro? Non siamo uno spettacolo orrendo noi tutti genitori assiepati sempre in attesa davanti a ogni scuola, ogni giardinetto, ogni palestra, ogni oratorio? Ammettilo, ai nostri tempi li avremmo detestati.


In prima media, improvvisamente, la libertà. A undici anni possono cominciare ad andare a scuola da soli. Tutto d’un tratto è considerato accettabile che i ragazzi si muovano per la città senza sorveglianza. Da un giorno all’altro piomba loro addosso il fardello del badare a se stessi per diverse ore al giorno. Senza progressione, senza allenamento, senza abitudine. Un bel casino, ci hai mai pensato? E proprio nel momento in cui l’adolescenza, l’evoluzione dell’individualità, la malizia e le dinamiche di gruppo cominciano a urlargli nel cervello.


A me questa cosa spaventa, non so a te. Preferirei di gran lunga che i miei figli arrivassero a quel momento sapendo già arrangiarsi senza genitori, avendo messo alla prova i limiti della loro libertà bambina, avendo disegnato con innocenza di fanciulli le mappe di un territorio che hanno imparato a esplorare anche senza guida. Servono spalle abbastanza larghe e gambe ben piantate per resistere agli spintoni del secondo decennio della loro vita, molto più che la custodia amorevole, onnipresente e tuttofare di mamma, papà e nonni. Senza contare che stiamo formando una generazione socialmente rachitica, proprio nel momento in cui gli aliti della storia promettono tempesta.


Mi sono confrontato con dirigenti scolastici, animatori, amministratori. Spesso mi hanno confortato nelle mie convinzioni di gran lunga minoritarie. Tuttavia ammettono di avere le mani legate. Perché non basta il buon senso, quando una comunità è pronta a scaricarti addosso tutta la responsabilità di ciò che può andare storto. Ci siamo abituati a considerare la responsabilità una situazione da evitare o da passare avanti, fino a quando qualcuno non resta col cerino corto e paga per tutti. Mi piacerebbe che tornasse a essere un sacrificio da condividere in modo diffuso nel nome di un progetto comune.


Ecco, io la mia parte di responsabilità me la vorrei prendere tutta. Chiedo monotono in ogni sede e in ogni occasione di farlo. Disperando di convincerti, spero almeno di instillarti un dubbio un po’ alla volta.


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Published on January 19, 2016 08:08

December 17, 2015

L’anno che verrà

ebook_2016_880


Good Morning Italia ha pubblicato l’edizione 2016 de L’anno che verrà, l’ebook che raccoglie spunti e previsioni su quello che possiamo aspettarci nei prossimi mesi. Tra i contributi raccolti quest’anno c’è anche il mio.


§


L’avverti l’accelerazione? Sei il passeggero di un aereo al decollo. Parte la rincorsa, le ruote cominciano a girare. Poi accelera. Accelera. Accelera. Te l’aspetti, la progressione, sei preparato alla spinta. Sai che il velivolo deve raggiungere una velocità considerevole per staccarsi dal suolo. Tutto bene. Fino a quel momento lì.


C’è un istante in cui la velocità supera il moltiplicatore ideale che mente e corpo si erano prefigurati. Non hai alcun controllo sulla situazione. Nemmeno il pilota può più arrestare la manovra. Per alcuni secondi sei sospeso al limite della tua soglia di comfort e insegui equilibri precari. Per alcuni è ebbrezza, per altri disagio.


Ecco: nell’innovazione tecnologica siamo giunti all’equivalente di quel momento lì. Per decenni la nostra idea di progresso è stata lineare: una crescita regolare, la somma di sforzi e intuizioni, anno dopo anno. Conoscevamo fenomeni evolutivi soggetti a progressioni esponenziali, ma li consideravamo governabili, perché il loro impatto era molto meno veloce e significativo delle nostre pianificazioni.


[continua a leggere su Good Morning Italia]


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Published on December 17, 2015 03:05

November 26, 2015

Lo scarto tra raccontare e raccontarsela

8850333332p400Gli amici di lunga data di Apogeo mi hanno chiesto di scrivere la prefazione a Content Marketing, guida pratica scritta da Michela Ballardini con Federica Dardi, in uscita oggi. Il testo si può leggere sul sito dell’editore, così come l’indice e l’introduzione. La riporto anche qui.


§






Può l’informazione convivere con la pubblicità? Storicamente la divisione è netta: da una parte le notizie, dall’altra la promozione di marchi e prodotti. Sono diversi gli scopi, i linguaggi, le regole di ingaggio con chi ne fruisce. Poi sono arrivati il Web e i social media. Il campo della comunicazione ha subito cambiamenti strutturali epocali, gli spazi di pubblicazione sono esplosi, una miriade di nicchie di interesse sono diventate sostenibili con grande facilità.


Che senso ha comprare banner nei siti generalisti altrui quando abbiamo un sacco di spazio a buon mercato per esprimere quel che abbiamo a cuore, andandoci a cercare le persone che potrebbero essere interessate? Nemmeno gli slogan facili bastano più, del resto. Se dici che il tuo prodotto è “rivoluzionario” o “esclusivo” e “funziona davvero” probabilmente stai firmando la sua condanna all’oblio.


Siamo diventati clienti esigenti: sebbene ancor più istintivi che in passato, perché abbiamo il carrello della spesa a portata di mouse, ci siamo abituati a confrontare e approfondire, attingendo all’esperienza di chi ha acquistato prima di noi. Siamo affamati di storie: prediligiamo le aziende e i prodotti che entrano nella nostra vita attraverso un’emozione o un vissuto riconoscibili. Se poi le storie arrivano attraverso il filtro dei nostri amici, la nostra disponibilità a valutarle è particolarmente alta.


Quanta conoscenza viene dispersa nel ciclo di progettazione, produzione e distribuzione di un oggetto? Per anni il mercato ha richiesto che la complessità fosse invisibile, nascosta sotto il tappeto delle pubbliche relazioni, imbellettata al punto da apparire fin troppo banale per essere credibile. Oggi la credibilità di un prodotto passa anche attraverso la capacità di chi lo produce di raccontare da dove viene, quanto complicato è stato farlo, da quale intuizione è nato, come è stato forgiato.


Come dimostrano i sempre più frequenti incidenti di comunicazione che vengono amplificati senza pietà dalla comunità delle persone interconnesse, senza trasparenza e senza piena disponibilità a fornire elementi di valutazione concreti ai clienti la via del successo commerciale è sempre più impervia. Nei siti web, nelle pagine Facebook, nei profili Twitter, nelle gallerie Instagram, nelle collezioni Pinterest oggi si aprono inedite opportunità di interazione tra un marchio e il suo fan o cliente potenziale.


A dispetto delle tante esperienze in corso, alcune delle quali sono raccontate nelle pagine che seguono, è ancora quasi tutto da inventare e sperimentare. Può essere la nuova frontiera dell’aria fritta e degli slogan consunti, e spesso nonostante tutto quello che stiamo dicendo lo è davvero, oppure una grande opportunità di iniziare a ripensare completamente la postura sociale di un’azienda o di un canale di vendita. Non è un caso che intorno al termine storytelling si vadano polarizzando critici ed estimatori del genere: è che finiamo per usare la stessa etichetta sia per raccontare che per raccontarsela.










In questo senso, Facebook e le altre piattaforme sociali stanno dando un grande contributo. I contenuti emergono soltanto se sono fatti bene, se sono interessanti, se sono informativi, se sono utili, se sono divertenti. Se chi li legge li giudica tali, quantomeno. I pessimi contenuti, quelli vuoti e gratuitamente promozionali, non decollano nemmeno investendo denaro in campagne di visibilità a pagamento.


I nuovi filtri sociali di cui ci stiamo dotando per decodificare il caos incoraggiano scelte ardite e di lungo respiro. Il contenuto è la nuova vetrina, il modo in cui ci si presenta all’esterno e si attira l’attenzione. Testo, immagini, video, interazioni, scelte di stile, presenza, calore prendono il posto di decori, decalcomanie, espositori, ordine delle merci e richiedono altrettanto impegno e attenzione per i dettagli.


Il content marketing è dunque la frontiera di sperimentazione più avanzata dove i contenuti nobili dell’informazione e quelli più pragmatici della pubblicità inseguono nuovi equilibri. Come tutte le specializzazioni recenti, vive ancora soprattutto di tentativi ed errori. E, come accade spesso quando si ha a che fare con la Rete, non fare nulla è peggio che sbagliare.


Maturare esperienze e competenze è la strategia più rapida per guadagnare terreno in questo ambiente. Tanto più che non esistono affatto né un metodo né uno stile sicuri, adatti a tutti, buoni per tutte le occasioni. Ognuno insegue il proprio registro, il mix ideale di elementi, la frequenza perfetta di pubblicazione, l’intensità adeguata di presenza, il sangue freddo e la faccia tosta che aiutano a superare i momenti critici.


Le pagine che seguono sono l’abbrivio di cui spesso abbiamo bisogno per cominciare a metterci alla prova.


[L’originale in Pdf sul sito dell’editore]






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Published on November 26, 2015 01:28