Chiave di Lettura discussion

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Trilogia della Città di K. Il grande quaderno - La prova - La terza menzogna
Trilogia della Città di K.
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Cœrsivo e/o ovisroƆ!
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Tormentone estate 2022: parlare in corsivo! Immagino voi tutti ormai conosciate, volenti o nolenti, l’influencer "prœf" milanese che ha innescato la suddetta tendenza social.
Non ne sono rimasta esente, nonostante abbia vissuto gli anni Ottanta e posso dire che non si tratta certo di novità.
Già lo hanno detto in tanti ma mi alleo con quanti ne hanno rivendicato l’invenzione al cantautore Piero Pelù, ex Litfiba.
E così mentre iniziavo a scrivere sul resoconto dell’ultimo incontro del GdL "Chiave di Lettura" ho immaginato come potesse scrivere un artista che abbracciasse lo stile “corsivo”.
Forse in maniera esagerata, quasi barocca con frasi e locuzioni allungate e trascinate da parole obsolete. Beh quello che è certo è che non scriverebbe come l’autrice che abbiamo commentato a giugno!
Si tratta di Ágota Kristóf (1935-2011), ungherese naturalizzata svizzera, autrice della "Trilogia della città di K". Davvero il suo modo di scrivere è ruvido, secco, diretto e conciso. Quasi freddo. Non lascia nulla al mellifluo o al romantico. Per niente “corsivo”! È pur vero che la sua è in fondo una narrazione del dolore e dell’esilio che non ammette filtri. Senza retorica. Senza divagazioni.
La maggior parte di noi del gruppo di lettura l’ha apprezzata. Molti hanno definito la sua opera “un vero capolavoro”.
Difficile però non rimanere turbati dalla trama!
Piccola premessa prima di esporla in breve.
La trilogia consta di tre parti: "Il grande quaderno", "La prova" e "La terza menzogna". Furono pubblicate in francese separatamente fra il 1986 e il 1991. In Italia arrivarono insieme nel 1998. Fin dall’inizio la scrittrice ha ottenuto diversi riconoscimenti ed è stata tradotta in varie lingue.
Protagonisti delle vicende sono due gemelli Lucas e Claus (i loro nomi non vengono rivelati nel primo libro ma solo successivamente). A volte appaiono con la lettera “K”. Potete notare come i nomi sono anagrammati. Ciò ha aperto digressioni o veri e propri “orridi” sulla poetica del doppio e delle sue menzogne.
I gemelli hanno pochi anni ma appaiono molto intelligenti anche dal punto di vista emotivo. Vengono costretti dalla guerra ad abbandonare la grande città, anche questa senza nome - Può essere in nessun luogo e in tutti i luoghi!? - e trasferirsi dalla nonna che abita in un piccolo villaggio di frontiera. Anche la nonna ha caratteristiche diverse da come potremmo pensarla. Scorbutica, acida, abitua da subito i bimbi a vivere senza amore e contribuisce a farli diventar forti(?) attraverso un duro addestramento fatto di pene fisiche e morali.
Su un quaderno i fratelli riportano i loro trascorsi fatti di soprusi, violenze, omicidi, perversioni. Sono raccontati con straordinaria leggerezza o come dice il giornalista Giorgio Manganelli con “innaturale secchezza, con una prosa perfetta che ha l’andatura di una marionetta omicida”.
Neppure il secondo e il terzo libro sono facili da digerire. Esistenze solitarie rese appena vitali dall’uso di psicofarmaci, angosce e mute gelosie.
Riusciranno a fortificarsi?
Riusciranno a redimersi?
Troveranno fame di sogni e di nuova speranza?
Non voglio svelare gli altri tantissimi personaggi e vicende che popolano questi libri ne tantomeno il finale, privandone i prossimi lettori della sorpresa ma sento di dire che gli occhi di chi si avvicinerà alla lettura non faticheranno a scorrerne le pagine. Gli animi non resteranno indifferenti.
Dietro "La trilogia di K.” vi è sicuramente la vita della scrittrice ungherese, con un’infanzia tranquilla ma dall’adolescenza piena di stenti e privazioni.
Nel 1956 fugge col marito in Svizzera e va a lavorare in fabbrica, per fuggire dall’invasione dell’Armata Rossa in Ungheria. Scelta per altro rinfacciata e ripudiata. Ha affermato di aver preferito trascorrere del tempo in prigione piuttosto che sentirsi sradicata dalla propria terra. Cosi ha annotato nel suo unico scritto autobiografico “L’analfabeta”:
"Ho lasciato in Ungheria il mio diario della scrittura segreta e anche le prime poesie. Ho lasciato là i miei fratelli, i miei genitori, senza avvisarli, senza dir loro addio o arrivederci. Ma soprattutto, quel giorno di fin novembre, ho perso definitivamente la mia appartenenza a un popolo".
Nei libri che abbiamo letto si avverte con forza il dolore dell’esilio, che è anche esilio dalla propria lingua madre, dalle proprie sonorità.
Si sente, inoltre, fortemente la convinzione della forza della scrittura, dell’esistenza portata e affermata sulla carta. Serpeggia un senso di perdita continuo eppure anche un desiderio feroce di sopravvivere ad ogni costo.
E sono le azioni a identificare chi si è veramente.
Una fiaba cupa e triste in cui la Kristof ha messo se stessa e non solo.
Crudele come a volte la realtà sa essere!
Proposto dalla nostra bibliotecaria Valentina Pascetta, che ne ricordava il suggerimento della scrittrice abruzzese Donatella Di Pietrantonio, ve lo proponiamo caldamente insieme a "Lingua madre" di Maddalena Fingerle che commenteremo insieme lunedì 25 luglio alle 21:00 presso la nostra amata biblioteca o … più probabilmente in esterno data la calura di questi giorni.
Vi saluto augurandovi come sempre:
Buona vita!
Arianna Pascetta