pianobi: Lettere da Vecchi e Nuovi Continenti discussion
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Mr. Difficult
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La questione che mi inquieta di più, però, è la necessità di incasellare l'arte in due modelli di rapporto con il lettore. L'arte, proprio in quanto arte, non può essere incasellata semplicisticamente.
Ho letto libri di notevole difficoltà stilistica che mi sono piaciuti (altri no!); ho letto libri di notevole facilità di lettura e scorrevolezza e leggerezza che mi sono piaciuti (altri no!).
Non posso dire di essere pro "Status", ma nemmeno pro "Contratto".
Ogni parte della nostra "anima" ha bisogno di soddisfazione: a volte "Status" e a volte "Contratto".
Per quanto riguarda la vanità dell'autore, vorrei proprio vedere un autore non vanitoso! Deve far conoscere se stesso tramite i suoi scritti, se poi il pubblico non apprezza, si rivolgerà altrove, verso uno scrittore con la vanità più similare!
Non ho il coraggio di rileggere ciò che ho scritto, potrei vergognarmene! Anzi, no: sono abbastanza vanitosa da premere il tasto "post" e lasciare al pubblico la sentenza! ...disse colei che si paragonò indegnamente a uno scrittore...
;)

La questione che mi inquieta di più, però, è la necessità di incasellare l'arte in due modelli di rapporto con il lettore. L'arte, proprio in quanto arte, non può essere incasel..."
Guarda hai colto in pieno il motivo della mia perplessità per la schematizzazione un pò fuorviante di Franzen... però da come hai impostato la risposta direi che nel profondo sei in realtà una adepta dello "Status": solo il fatto che la prima parola che hai usato è stata "arte" indica la tua forma mentis.
Io, per esempio, non credo al concetto che un autore abbia alcun "debito", alcun "impegno" verso il lettore, nè che il lettore abbia "diritti" o "legittime aspirazioni" - tutto sommato contesto proprio il fatto di definire la letteratura come rapporto tra scrittore e lettore. Esiste un capolavoro anche se non è mai stato letto da nessuno? ....mi pare che Manganelli avesse scritto un godibilissimo libro su questo....

"Esiste un capolavoro anche se non è mai stato letto da nessuno?"
Si, ma nessuno sa che lo è! (Chi è Manganelli? Vado a cercare illuminazione!)

"Esiste un capolavoro anche se non è mai stato letto da ness..."
Questo
Discorso dell'ombra e dello stemma: o del lettore e dello scrittore considerati come dementi
Boh, a me sembra una divisione manichea che davvero non può essere presa seriamente, e a voler pensar male potrebbe essere anche il tentativo implicito di Franzen di inserirsi in una tradizione d'elite proprio nel momento in cui esce il suo romanzo più ambizioso.
Piuttosto, sempre per chi mastica l'inglese, mi permetto di suggerire questo bell'articolo di Will Self, autore spesso criticato proprio per l'eccessivo arzigogolo della sua scrittura (io però non ho ancora letto nulla di suo, a parte questo articolo, quindi non mi esprimo):
https://lithub.com/will-self-in-prais...
https://lithub.com/will-self-in-prais...

Sì, anche a me Franzen mi pare spesso molto preoccupato della sua reputazione e troppo attento a fare auto-promozione creando polveroni un pò ad arte (tipo quando faceva le crociate contro la rete). E comunque direi che i tempi non gli hanno dato per nulla ragione, non credete?

molto interessante, grazie - confesso di non conoscere Will Self: hai già messo qualcosa di suo in lista di lettura? con cosa mi consigli da cominciare?
mi sembra di capire che per Self la lettura di un romanzo "difficile" aiuta ad allenare la nostra mente e a renderci migliori piuttosto che la lettura di libri di scarso livello: una motivazione "utilitaristica" che apprezzo (anche se un pò scivolosa, rischiando di essere additata come nient'altro che il solito snobismo intellettuale)
But some texts are clearly going to be a better jungle gym for the mind than others—and just as you never put on much muscle mass with a limp-wristed workout, so no one ever got smart by reading… Dan Brown.
In ogni caso, riflettevo che, nonostante il "libro difficile" goda di pessima reputazione e se ne profetizzi la scomparsa con dolore (o con gioia, a seconda dei punti di vista), mi pare che moltissimi scrittori continuino la produzione di tali "pesanti monumenti" anche ai tempi nostri (e con ottimi risultati, non minori di Gaddis, Pynchon, Joyce).
Quindi la notizia della morte del "romanzo difficile" credo sia fortemente esagerata...

Comunque anche secondo me ci saranno sempre lettori di romanzi difficili, che trovano l'appagamento proprio nella difficoltà. Sarebbe come dire che gli alpinisti smettono di scalare le montagne nepalesi perché ci sono vette più facili.

però così banalizzi un pò il problema: è ovvio che ci sono esempi dei vari casi, altrimenti non se ne parlerebbe...
mi permetto di dire che forse non cogli il punto della questione, che è un pò più difficile (appunto): la difficoltà di un testo è una qualità o un difetto dello stesso?
Cioè al netto degli altri elementi: rendere l'esperienza di lettura più impegnativa per il lettore è un merito o un demerito per l'autore?
Franzen sopra sostiene che questo dipende da come consideriamo lo scrittore: un'artista o un "fornitore di servizi"?
non è la questione se Steinbeck sia di valore o meno. Il punto è piuttosto:
Steinbeck è un grande scrittore anche perchè arriva a tutti o nonostante arrivi a tutti?
Io propendo per la seconda ipotesi, da buon snob intellettuale artistoide appartenente alle élite antipopolare...

la domanda secondo me è un'altra: la difficoltà di scrittura è funzionale agli obiettivi autoriali o no?
ti faccio un esempio (tratto da una storia vera): tempo fa mi misi a leggere La ragazza tagliata nel montaggio. avrebbe dovuto essere un giallo, thriller o comunque un romanzo del mistero di puro intrattenimento e così era cominciato. poi si era evoluto in qualcosa di più concettuale e inizialmente avevo apprezzato l'evoluzione perché lo rendeva diverso dai soliti romanzi "di genere". ma via via che andava avanti diventava sempre più "evoluto" e alla fine sembrava quasi che l'essere concettuale fosse il fine e non il mezzo di quel romanzo.
l'ho mollato.
la difficoltà secondo me non deve essere il fine del testo, ma può esserne un mezzo.
però può darsi che dipenda anche dalle inclinazioni personali, del resto io non ho nessuna ambizione di scalare il Nanga Parbat (e men che meno di classificare i lettori in "serie A" e "serie B" e via giù fino alla Z)

Alla fine è questo, il nodo. A me va anche bene la difficoltà, ma deve essere giustificata, portarti da qualche parte, là dove con un percorso più semplice non c'era possibilità di arrivare. Quando invece è puro orpello, autocompiacimento non necessario, sforzo snobistico, grido continuo sul tipo "Guarda quanto sono bravo!", quando però il contenuto non la necessiterebbe, allora no, è male, e merita solo delle sonore spernacchiate.

Qualunque autore (se non dissociato o schizofrenico) sosterrà che la difficoltà del suo testo è funzionale ai suoi obiettivi - ne deduco che siete dell’idea che è il lettore a decidere quando la difficoltà è giustificata o meno.
Forma e contenuto non hanno alcuna relazione, si può scrivere della stessa cosa e degli stessi eventi in infiniti modi diversi (Queneau insegna). Non stiamo parlando di saggistica, dove l’obiettivo è farsi comprendere al meglio, ma di letteratura dove l’obiettivo è molto più indefinito.
Che significa che il contenuto “necessita” di difficoltà di forma? In nessun libro che io abbia letto penso che la difficoltà fosse necessaria per il contenuto di cui si scriveva, piuttosto era necessaria per la creazione artistica. La insignificante giornata di un mediocre omuncolo per la città di Dublino non credo sia un contenuto che merita chissà quale complessità espressiva.
Direi che, nei fatti, questa posizione presuppone una adesione al “Contratto” nei termini di Franzen - dato che partite dal presupposto che il lettore ha il diritto di approvare o spernacchiare le scelte stilistiche dell’autore.
Mario_Bambea wrote: "se non dissociato o schizofrenico"
Stiamo comunque escludendo una larghissima fetta della categoria.
Stiamo comunque escludendo una larghissima fetta della categoria.

la forma è sostanza.
e comunque la percezione dell'arte sarà sempre almeno in parte soggettiva.

la forma è sostanza"
Sì, credo di essermi espressa male usando la parola "contenuto". Non me ne veniva un'altra, ma in effetti si presta a fraintendimenti. Non intendevo il contenuto considerato come trama, ecc. Ma piuttosto la sostanza (brava lise!), il "dove vado a parare", ecc. Il fine che raggiungo. C'è una difficolta che riesce a essere arte e veicolarmi qualcosa di vero e corposo attorno cui affaccendarmi e affaccendare le mie cellule grigie, e c'è una difficoltà puramente di facciata, che dietro all'estremo snobismo della forma non veicola un bel niente, o pochissimo. Ecco, nel secondo caso, per me è sempre un "va' a dar via i chapet!" rivolto all'autore, mi spiace.


così è un pò banalizzare la questione, però e si rischia di finire in un relativismo che annulla qualunque discussione - come dire che non è bello ciò che è bello, me è bello che ciò piace.
per ma la difficoltà è rapportata alle aspettative e alla forma mentale con cui ci si avvicina ad un testo, non solo al lettore:
- evidentemente il cugino di (skate) si aspettava qualcosa di diverso (contemporaneo? qualcosa con il ritmo di una serie TV di oggi?) ed ha avuto difficoltà a leggere un classico che non ha alcuna complessità per chi, invece, sa di trovare una scrittura dell'800 strumentale a creare un'avventura esotica
- Pynchon e Joyce (anche se bisognerebbe distinguere bene tra i loro titoli: Dubliners e Bleeding Edge sono alquanto diversi da Finnegan's Wake e Gravity's Rainbow) per me sono un piacere e non li trovo "difficili" perchè so esattamente cosa aspettarmi da loro. Certo se li prendessi in mano cercando un'avventura di cappa e spada risulterebbero illeggibili.
tutto sommato, sempre secondo lo schema franzeniano (discutibile finchè si vuole) in una prospettiva di "Contratto" la difficoltà è sempre soggettiva - mentre un approccio alla letteratura più artistico porta (forse?) ad una valutazione più oggettiva della difficoltà.
(.... Per quanto ricordi con orrore la fatica di finire un libro di Dan Brown e con immenso piacere la lettura scorrevole e piacevole di "Le perizie" di Gaddis...)
Mario_Bambea wrote: "lise.charmel wrote: "immagino che la difficoltà sia soggettiva per chiunque. Pynchon o Joyce per me (PER ME) sono difficili. Stevenson no."
così è un pò banalizzare la questione, però e si rischia..."
Beh, però ci sono comunque degli evidenti gradi oggettivi che vanno oltre alla forma mentis con cui ci si predispone a leggere un libro (e che non hanno nulla a che vedere col piacere che si prova leggendo un libro ostico ma appagante): se qualcuno trova L'isola del tesoro un libro troppo difficile, è impossibile (!!!) che riesca anche solo andare oltre le 10 pagine dell'Ulisse o dell'Arcobaleno della gravità o di un Gadda (qualunque Gadda).
Comunque se il cugino ha restituito il libro dicendo che "non capiva dove voleva andare a parare" presumo non sia semplicemente abituato alla lettura, quantomeno alla lettura narrativa.
Avrà letto forse qualche romanzo, non lo metto in dubbio, ma magari solo quelle cose didascaliche che ti accompagnano in ogni momento e non lasciano alcuno spazio al minimo intrecciarsi di piani narrativi, che per noi magari sono estremamente basilari, ma magari non è così per tutti.
così è un pò banalizzare la questione, però e si rischia..."
Beh, però ci sono comunque degli evidenti gradi oggettivi che vanno oltre alla forma mentis con cui ci si predispone a leggere un libro (e che non hanno nulla a che vedere col piacere che si prova leggendo un libro ostico ma appagante): se qualcuno trova L'isola del tesoro un libro troppo difficile, è impossibile (!!!) che riesca anche solo andare oltre le 10 pagine dell'Ulisse o dell'Arcobaleno della gravità o di un Gadda (qualunque Gadda).
Comunque se il cugino ha restituito il libro dicendo che "non capiva dove voleva andare a parare" presumo non sia semplicemente abituato alla lettura, quantomeno alla lettura narrativa.
Avrà letto forse qualche romanzo, non lo metto in dubbio, ma magari solo quelle cose didascaliche che ti accompagnano in ogni momento e non lasciano alcuno spazio al minimo intrecciarsi di piani narrativi, che per noi magari sono estremamente basilari, ma magari non è così per tutti.
(skate) wrote: "Invece che Pynchon è difficile l'ho sentito dire ovunque, ma non ho mai letto nulla e ora sono quasi curioso, da quale comincio senza bruciarmi?"
L'incanto del Lotto 49: non è più semplice degli altri, ma almeno ha una dimensione umana
L'incanto del Lotto 49: non è più semplice degli altri, ma almeno ha una dimensione umana
Catoblepa wrote: "(skate) wrote: "Invece che Pynchon è difficile l'ho sentito dire ovunque, ma non ho mai letto nulla e ora sono quasi curioso, da quale comincio senza bruciarmi?"
[book:L'incanto del Lotto 49|35643..."
Per me è stata una lettura incomprensibile, che in genere è l'unico motivo che mi porta ad abbandonare un libro, ma questa volta ho resistito sino alla fine.
[book:L'incanto del Lotto 49|35643..."
Per me è stata una lettura incomprensibile, che in genere è l'unico motivo che mi porta ad abbandonare un libro, ma questa volta ho resistito sino alla fine.

ecco, parlando di difficoltà dovuta all'approccio sbagliato ad un testo, questo è un ottimo esempio - se uno affronta Pynchon con l'idea di "capire" cosa si narra, di avere chiaro "dove va a parare" (espressione che, peraltro, non mi è molto chiara), di avere una trama da seguire allora credo che sia un autore molto ostico, se non illeggibile.
mi autocito (che modestia!) dal topic dedicato a questo genio:
è necessaria non solo una "sospensione dell'incredulità", ma una "sospensione della logicità e della comprensione" per apprezzarlo davvero....
Thomas Pynchon
Mario_Bambea wrote: "piperitapitta wrote: "Per me è stata una lettura incomprensibile, che in genere è l'unico motivo che mi porta ad abbandonare un libro"
ecco, parlando di difficoltà dovuta all'approccio sbagliato a..."
Immagino tu abbia ragione: io non lo avevo mai letto e ho (erroneamente, sembra) preso in biblioteca il più breve, che poi si è rivelato un mattone (per me) non digeribile.
ecco, parlando di difficoltà dovuta all'approccio sbagliato a..."
Immagino tu abbia ragione: io non lo avevo mai letto e ho (erroneamente, sembra) preso in biblioteca il più breve, che poi si è rivelato un mattone (per me) non digeribile.


Questa la capisco solo io.
Indizio: per capirla, bisogna saper leggere il futuro con le carte siciliane.
:-D

Books mentioned in this topic
L'incanto del Lotto 49 (other topics)La ragazza tagliata nel montaggio (other topics)
Discorso dell'ombra e dello stemma (other topics)
Per chi mastica l'inglese, qui c'è il testo completo:
http://adilegian.com/FranzenGaddis.htm
E' un articolo complesso, in cui Franzen mescola la propria esperienza personale con Gaddis con una valutazione della sua opera letteraria e vi inserisce (e qui è il punto interessante) una presentazione della diatriba sulla "difficoltà" di un'opera letteraria ricorrendo ad un dilemma manicheo.
Secondo Franzen, ci sono due modelli di rapporto tra lettore e libro: il modello "Status" ed il modello "Contratto".
Nel modello "Status" i migliori romanzi sono opere d'arte ed il loro valore è indipendente dal numero di persone che lo apprezzano. E' un discorso basato sul genio e sull'importanza della storia e della cultura. Letteratura come arte.
Nel modello "Contratto" lo scrittore fornisce al lettore una esperienza piacevole e l'obiettivo della scrittura è creare una connessione tra individui: un'opera merita l'attenzione del lettore solo finchè l'autore merita la fiducia del lettore. Letteratura come intrattenimento.
Quindi, nello "Status" la difficoltà di lettura è un segno positivo di eccellenza, di rifiuto di facili compromessi e di reale visione artistica.
Per il "Contratto" la difficoltà è un problema, perchè segnala la pretesa dell'autore di privilegiare la sua vanità personale rispetto al desiderio legittimo del pubblico di essere intrattenuto.
Ora, io trovo questa una semplificazione ingannevole fatta un pò con l'accetta, perchè considera i lettori tutti uguali e come entità granitiche - io, per esempio, mi sono divertito nel leggere Gaddis e la difficoltà di lettura di certi passaggi è stata ripagata da un piacere culturale, mentale, emotivo che posso benissimo definire "intrattenimento". Ma è possibilissimo che per altri non sia così - e magari non sia così anche per me in un momento diverso quando sono più disposto ad un intrattenimento meno "impegnativo".
E anche il prosieguo della argomentazioni di Franzen mi convincono molto poco, dato che finisce per dare ragioni a quelli del "Contratto" ed accusare i campioni dello "Status" (quali Gaddis) di essere come adolescenti che non crescono mai e sanno solo lamentarsi del sistema. Magari vista la china sconvolgente che ha preso la società USA in questi ultimi anni Franzen potrebbe rivalutare le capacità profetiche di Gaddis, Coover, Pynchon, DeLillo e DFW a proposito del declino della sua nazione, piuttosto che preoccuparsi di scrivere testi che tutti capiscono per filo e per segno. Va a finire che i veri realisti erano i post-moderni...
In ogni caso, per quanto semplificatoria, questa tesi di Franzen ha il merito di proporre in modo chiaro un modo per dibattere della questione.
E, quindi, chiedo: come considerate la difficoltà in un testo letterario - qualità o difetto (o, se preferite, siete della parrocchia "Status" o "Contratto")?