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Tartarughe divine
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Tartarughe divine di Terry Pratchett
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La recensione di Sakura:
Certamente non mancano le opere di finzione che ironizzano sulla religione mettendo in risalto i paradossi e le assurdità di azioni e credenze dei fanatici. Una in più non fa mai male, soprattutto se è firmata da Terry Pratchett, che nei quaranta romanzi del Mondo Disco si è mostrato in grado di sbeffeggiare tutto lo sbeffeggiabile.
Le tante divinità dell’universo creato dall’autore britannico, di cui si può leggere a spizzichi e mozziconi nei romanzi del ciclo, imitano ed esagerano le caratteristiche di quelle reali, antiche e moderne che siano: si va dalla personificazione di Morte, al di sopra persino delle divinità stesse, al dio coccodrillo Offler, dal dio del tuono Io a Tak il creatore dei nani, da Bast la dea gatta a Om, l’Unico (o almeno così dicono i suoi fedeli), passando per un elenco sterminato di ogni personificazione immaginabile.
E poi ci sono i Piccoli Dei. Non sono divinità in senso stretto: ogni qualvolta un pastore ritrovi una capra ed eriga un tumulo di pietre per ringraziare chiunque gliel’abbia fatta trovare, nasce un piccolo dio. Un piccolo dio che può diventare un grande dio se altri pastori, per trovare le loro capre, gli innalzano le loro preghiere e gli erigono altri tumuli in ringraziamento. E che può tornare un piccolo dio, o persino sparire, se quei pastori smettono di credere nella sua esistenza.
Perché le divinità nascono dai fedeli, questo è certo, ma nel Mondo Disco ciò avviene letteralmente. Ed è una lotta tra piccoli e grandi dei per la supremazia, per conquistarsi un numero sempre maggiore di fedeli o per aggrapparsi disperatamente all’ultima persona che crede in loro. E poi c’è Om, che ha addirittura una Cittadella di fanatici che si impegnano a far rispettare i suoi precetti, torturando e bruciando chiunque vi si discosti, appigliandosi ai suoi comandamenti e ai libri dei Profeti. La Quisizione, chiamano quest’organo di disciplina, e nessuno vorrebbe mai mettersi contro Vorbis, il suo capo, l’uomo più pio che si sia mai visto sulla faccia del Disco. Ma cosa accade quando i mortali si danno così tanto da fare in nome di un dio che i fedeli iniziano a temere e rispettare più i suoi sacerdoti che il dio stesso? Accade che quel dio, anche se originariamente più potente di tutte le altre divinità dei vari pantheon, si riduce a reincarnarsi in una tartaruga guercia e a dover ricominciare daccapo a cercare proseliti. Brutha, novizio della Cittadella, è probabilmente l’unica persona a essere così stupida e onesta da credere, con semplicità, indipendentemente dalle frustate e dalla paura di cadere nelle grinfie della Quisizione, e pertanto l’unico a sentire la voce dello stizzoso Om, prigioniero in un corpo minuscolo e incapace persino di incenerire i miscredenti. Brutha scopre suo malgrado che Om non ha mai fatto nulla di tutto ciò che gli si attribuisce, che non ha mai dettato alcun libro sacro ai profeti, che – insomma – Om stesso verrebbe arso sul rogo per blasfemia. E le cose si complicano quando Vorbis, che in virtù della sua dabbenaggine e della sua memoria fotografica vede in lui il seguace perfetto, lo porta con sé a Ephebe, città di filosofi, per trattare la pace con quegli eretici pagani. Lui e la sua tartaruga, che nel frattempo ne ha fatto l’Ottavo Profeta di Om.
Tartarughe divine (titolo originale: Small Gods), solo di recente tradotto in italiano nonostante la sua pubblicazione originale sia del lontano ’92, è il tredicesimo volume del Mondo Disco, assolutamente autoconclusivo, e non si inserisce in alcun sottociclo. Incredibile la capacità di Pratchett di parodiare tutte le più grandi incongruenze delle religioni in generale e di quella cattolica nello specifico, attraverso dialoghi paradossali che avvengono tra fedeli e dio o tra fedeli di diverse confessioni. Non c’è miglior libro di Tartarughe Divine per iniziare la propria avventura con Terry Pratchett. Peraltro – titolo a parte – è sorprendentemente tradotto in modo ottimo (forse perché l’ironia è così sottile che mancano quei continui motti di spirito tipicamente british così difficili da tradurre).
La recensione di Daniele: