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L'idiota
Discussioni letterarie
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Settimo GdL: L'idiota di Fedor Dostoevskij

Esattamente ciò che volevo dire. Si tratta comunque di una caratteristica comune a tutti i romanzi di Dostoevskij che ho letto finora. Come espediente lo troverei benissimo anche collocato nel romanticismo.

@ Ludovica - soprattuto si vede l'influenza del romanticismo nel contrasto bianco/ nero (metaforico!) delle coppie Nastasia/ Aglaya, Muiskin/ Rogojin. Poi nell'eroe dannato. Ma c'è anche una forte componente realistica nella descrizione della società russa


In effetti, adesso che lo hai scritto l'immagine del Cristo mi sembra la metafora che meglio descrive la situazione del Principe

Esattamente: l'arrivo del principe segna il suo "descensus ad inferos" e la sua bontà è la sua perdita - e precisamente questo è stato, secondo me, il messaggio di Dostoyevsky: non soltanto che il mondo non si può salvare ma che ingoia anche i puri. Una sorta di "lasciate ogni speranza", la bruttezza si è già appropriato il mondo

Purtroppo per me (che non mi sto godendo il libro) il messaggio è espresso in una forma molto indigesta.


Poiché continuavo a fare molta fatica nella lettura, cercando, non riuscendoci, di trovare un filo conduttore, qualcosa che mi facesse "sentire" il procedere della storia e l'evoluzione dei personaggi, a un certo punto ho cominciato a considerare il romanzo come una specie di insieme di "quadri/scene", diciamo così, come se camminassi lungo il corridoio di un museo, fermandomi ad osservare i diversi dipinti, che hanno sì una relazione tra loro, ma meglio si intendono se presi uno a uno. Mi sembra vada meglio, anche se, confesso, continuo a non esserne particolarmente entusiasta.
:-)

Vorrei anche sottoporvi un altro dubbio che ho. Nel capitolo 8, il principe e Aglaja si incontrano e hanno un lungo scambio di idee. Secondo voi, quali sono i sentimenti che nutre verso il principe? (view spoiler) . Non mi è chiaro il suo atteggiamento.

Ovvero: se non fosse per il gruppo di lettura, a questo punto abbandonerei il libro. Ho passato il punto di non ritorno: non capisco più niente, confondo oltre l'impossibile i personaggi, mi sembra di leggere la stessa scena da duecento pagine, leggo due capitoli e non mi rimane impresso nulla.
Sapevo di non essere pronto per Dostoevskij, ma posso dire di averci provato.
Non mollo e continuo la lettura, ma non mi aspetto alcun miglioramento.


Ovvero: se non fosse per il gruppo di lettura, a questo punto abbandonerei il libro. Ho passato il punto di non ritorno: non capisco più nient..."
uguale uguale anche per me
Appena finito il capitolo VI. Tutti continuano a delirare e mi sembra di delirare anch'io. Confesso che ho qualche problema con i libri che scivolano nel nonsense.


Arrancando, ansimando, ma sono riuscita ad arrivare alla fine della terza parte. Mi prendo qualche giorno di pausa prima di iniziare la quarta :P

Non posso valutare il comportamento dei protagonisti senza considerare il contesto storico e sociale di appartenenza, ma a me tutta questa gente che passa dal riso al pianto senza alcuna soluzione di continuità mi rende ancora più difficile identificarmi con le situazioni. Possibile che non ci sia nessuno tra i personaggi in grado di controllare le proprie emozioni?
Credo seriamente che si possa affibbiare una patologia clinicamente rilevante a ciascuno di loro. Il disturbo bipolare va per la maggiore.

Sono d'accordo! Le donne sono anche descritte come delle isteriche: Freud e Charcot avrebbero trovato pane per i loro denti.
Aglaja e sua madre, comunque, si meriterebbero anche dei salutari ceffoni.
L'unica che suscita la mia simpatia è Nastas’ja che ha dovuto affrontare la morte dei genitori, della sorella e subire le attenzioni indesiderate di Tokij: è l'unica che a buon diritto può andare fuori di testa.


Interessante (forse più dell'originale), io però volevo vedere la messa in scena dell'originale (e in effetti i dialoghi sono identici al libro)

Il link per lo sceneggiato del 1959 con Albertazzi"
Grazie per il link, Patrizia. Avevo appunto intenzione di guardarlo anch'io. :-)

If this is not amazing, blowminding literature, I don't know what it is!

Nessuno nega che vi siano ottimi passaggi durante la narrazione. E' la discontinuità che desta perplessità. In dialetto veneto si direbbe che pare "una scarpa e un socolo" (ossia che è come camminare indossando in un piede una scarpa e nell'altro uno zoccolo): il risultato è che, camminando, si zoppica. ;-)
Continuando la discussione, direi che sia il caso di entrare nel tema della materia, che è poi il cuore del romanzo: Cristo e il suo messaggio. E qui, suppongo, ci divideremo tra "credenti" e "non credenti". :-)

Concordo con Arwen ma anche con Stela. La scrittura è sì affascinante, ma altrettanto "zoppicante". La mia sensazione è quella di un libro mosaico, nella terza parte la fa da padrone la vicenda di Ippolit (l'ateo nichilista che posto di fronte alla morte fa fatica a trovare un senso nella vita) che sembra correre in parallelo all'intreccio narrativo principale. Od anche digressioni come il racconto di Lebedev sul cannibalismo (a proposito, cosa avrà voluto dire Dosty?). Aumenta il simbolismo e l’uso di metafore (view spoiler) ed il centro della narrazione rimane sempre il Cristo. Secondo me, questa volta, non nell'equivalenza della figura del principe ma nel rapporto che ne hanno gli altri (view spoiler) .
Due considerazioni: l’opera ha un forte carattere di dramma teatrale, sembra scritta apposta per la rappresentazione la messa in scena e mi viene quasi il dubbio che sia stata scritta con questo intento (la suddivisione in quattro atti, le locazioni, etc…), ma soprattutto la presenza delle patologie psichiatriche. Mai avevo visto una tale varietà di patologie ma soprattutto così ben descritte (viene da pensare che Dosty si sia fatto un giro in una casa di cura prima di scrivere questo libro). Per cui, torno a dire, che la parola che meglio descrive questo libro è psico-dramma.

Concordo con Arwen ma anche con Stela. La scrittura è sì affascinante, ma altrettanto "zoppicante". La mia sensazione è quella di un libro mosaico, nella terza parte la fa..."
In effetti penso che la resa teatrale sarebbe molto interessante e se ne può avere un assaggio guardando lo sceneggiato della RAI del 1959.
Secondo me la lettera di Ippolit riprende in maniera organica tutti i temi salienti del romanzo (e forse se Dosty si fosse limitato a scrivere un racconto più breve avrebbe raggiunto più facilmente il lettore con il suo messaggio).
Nel racconto sul cannibalismo, tra i simboli, mi sembra che ci sia anche una sorta di denuncia sociale del difficile rapporto tra la Chiesa (i monaci grassi) e la realtà del popolo affamato. Molto bello anche il racconto del sogno e del medico aiutato da Ippolit (entrambi, nell'ambientazione, mi hanno ricordato vagamente Kafka).
E' vero che le patologie dei vari personaggi sono descritte in maniera molto realistica, ma l'eccesso di tali patologie (non c'è neanche un personaggio che sia equilibrato) aumenta l'andamento zoppicante della trama; forse Dosty voleva proprio mettere in evidenza certi aspetti ridicoli e patologici della società del suo tempo, ma non avendo un intento chiaramente satirico, tutto quest'abbondare di "instabili psichici" mi impedisce di immedesimarmi nelle varie situazioni.
Per me è proprio questo il limite del romanzo, e cioè che il messaggio (al di là della condivisione con esso) è troppo legato al contesto e all'epoca storica.

Credo proprio che Giuseppe ci abbia azzeccato quando dice che Dosty forse aveva in mente una struttura "teatrale" mentre scriveva. Infatti, ho cominciato a guardare lo sceneggiato RAI che ha citato Patrizia e, aldilà del fatto che è un po' datato (è del '59) e che alcune parti sono state ridotte o ridimensionate, immagino per motivi di tempo, l'andamento è molto più fluido del romanzo. Per cui direi che la materia e il messaggio sotteso ci avrebbe guadagnato se il testo fosse stato scritto proprio come testo teatrale.
Ho ripreso la lettura. Morwen mi scrive che il tutto dell'azione si concentra nella quarta parte. Vedremo.

Credo proprio che Giuseppe ci abbia azzeccato quando dice che Dosty forse aveva in mente una struttura "teatrale" mentre scriveva. Infatti, ho cominci..."
Da questo punto di vista mi ricorda tantissimo "Gli indifferenti" di Moravia. Anche là l'autore voleva sfornare un testo per il teatro (view spoiler)

Dunque il carattere artificiale che gli rimproverate (proprio particolarmente alla scena) è voluto: il mondo è falso, insincero, bugiardo e c'è un solo personaggio che può leggere dietro delle maschere. Sfortunatamente, questo è un idiota!

Direi che questa descrizione è azzeccatissima ed è anche il motivo per cui Dosty può essere considerato un precursore della psicanalisi freudiana. Nei suoi personaggi vi sono chiaramente da una parte le pulsioni (l'es) e dall'altra le coazioni sociali (il super-Io), con l'Io tribolato nel mezzo.

Anche io ho riscontrato questa interpretazione freudiana ante litteram. Va beh, quasi quasi mi fate cambiare parere, ma con le stelline sarò molto avara ;)

Appena finito il VII capitolo della IV parte e sono pienamente d'accordo... vediamo come prosegue il tutto!
PS: questa quarta parte mi sta piacendo un sacco!


:-)

:-)"
Io non ho neanche finito la terza... uff!

:-)"
Io non ho neanche finito la terza... uff!"
Io nemmeno la prima..ma questi commenti sulla quarta parte mi incoraggiano a riprendere la lettura!


Quanto è vero. Sembra quasi che Dosty esternalizzi i tumulti interiori dei vari personaggi, cosicché invece di avere uno stream of consciousness è uno stream of behaviourism. Il che credo sia il motivo per cui molti stanno venendo provati dalla lettura: è come fare un viaggio in una carrozza su un terreno accidentato. Ogni personaggio, come una fossa, si porta dietro i suoi sbalzi, per lo più imprevisti, dato che non è possibile prevederli data la minima introspezione.