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Il grande Gatsby
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Articoli e recensioni del blog > Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald

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La Stamberga dei Lettori (lastambergadeilettori) | 116 comments Mod
Recensione di Valetta (su http://www.lastambergadeilettori.com/...)

Ammettetiamolo che stiamo tutti leggendo (o rileggendo) questo romanzo in occasione della milionesima versione cinematografica firmata Baz Luhrmann-Leonardo DiCaprio che sta per travolgerci. Da parte mia confesso candidamente che il buon Leo ha il mio cuore da quando si è beccato un iceberg tra capo e collo anni orsono; per lui ho quindi buttato alle ortiche il pessimo ricordo che ho del romanzo e l'orrida sensazione di noia mortale che immancabilmente associo al film omonimo con Redford e ho ripreso in mano il libro di Fitzgerald che, come vi avranno ripetuto fino alla nausea, si suppone essere uno dei più grandi romanzi della letteratura americana.
Fino alla nausea vi avranno anche ripetuto che questo libro meravigliosamente rappresenta i "Ruggenti Anni '20" e lo spirito decadente dell'Età del Jazz oltre che una riproduzione della parabola del "Sogno Americano" (qualunque cosa esso significhi) e questo spiega perché gli americani, dopo essersi concessi una ventina d'anni per digerirne la sfacciata vacuità l'hanno eletto a capolavoro eterno con il quale tormentare i poveri studenti delle scuole superiori (del resto da noi ci tormentano con "I promessi sposi", quindi forse alla fine gli studenti americani se la passano meglio).
Io, che americana non sono, anche dopo una seconda lettura proprio non riesco a trovare in me la forza per gridare al capolavoro.
Certo, non mi è sfuggita la perfetta rappresentazione di una classe sociale i cui membri si muovono annoiati da una festa all'altra, capaci di stringere amicizia con completi sconosciuti per poi dimenticarsi della loro esistenza appena voltate loro le spalle, indifferenti e tanto assuefatti al vuoto che li circonda da rimanere sconvolti alla scoperta che uno di loro in casa osa possedere libri veri invece che i tradizionali cartonati che dei libri riproducono solo i dorsi per riempire uno spazio altrimenti vuoto.
Nemmeno mi è sfuggita la sfacciata ironia della scelta di intitolare un libro ad un personaggio, Gatsby, che non appare quasi mai in prima persona e che anche quando lo fa è sempre attraverso gli occhi e le parole di qualcun altro, che sia il narratore Nick o una qualunque delle altre sbiadite figure che popolano quest'opera, e per questo le informazioni che abbiamo su di lui risultano inevitabilmente parziali e non obbiettive. Eppure egli è in qualche modo sempre presente e per quanto sullo sfondo indirettamente o direttamente muove le fila delle vite di tutti i protagonisti, "grande" per la sua cieca determinazione e la follia senza freni che lo spinge a inventarsi una vita e un'identità dal nulla al solo scopo di realizzare un sogno e al tempo stesso proprio per questo indicibilmente patetico nel suo ancorarsi ad un passato mai esistito e nel suo rifiuto della realtà. Vista da vicino la grandezza di Gatsby assume i contorni di una truffa colossale, maschera di un uomo tragico e un po' insulso; Gatsby nel giro di poche pagine passa da carnefice a vittima, travolto da un mondo che credeva di governare, perso nell'oblio proprio quando la sua stella era al massimo dello splendore.
Ed è infine quasi scontato osservare che tutta questa superficialità e questa indifferenza verso il prossimo esulano dal contesto del romanzo e si possono ritrovare in ogni società e in ogni epoca; aggiungerei però che ciò a mio parere è più vero in alcuni ambienti che in altri e onestamente è comunque un'osservazione che lascia il tempo che trova perché è comprovato che la gente ama addolorarsi per l'incomunicabilità che piaga la nostra società per poi non far nulla, nel proprio piccolo, per cambiare le cose.
Ciò detto, forse Fitzgerald ha un po' esagerato con la vacuità perché anche alla seconda rilettura posso dire in completa sincerità che di Gatsby e del suo sogno romantico e ridicolo, della sua adorata Daisy e di quello scimmione del marito Tom con la sua volgare amante Myrtle e persino del povero Nick, voce narrante petulante e insulsa, non me ne importa assolutamente nulla. Neanche con la più buona volontà sono riuscita ad empatizzare con uno di loro e il perché delle reciproche attrazioni mi è rimasto totalmente oscuro. A questo si aggiunge una mia personale antipatia per le civetterie sociali di ogni tipo per cui, per quanto possa capire qual'era l'intento dell'autore, sono assolutamente priva della pazienza per sopportare giovani donne annoiate che blaterano nonsense languidamente sdraiate sul divano o le conversazioni spezzettate, vuote, inutili e insensate che imperversano per buona parte dell'opera e che solo parzialmente vengono redente dal gusto di Fitzgerald per una narrativa fatta di immagini altamente simboliche: una luce verde, un uomo solo in cima ad una scalinata, un cartellone pubblicitario comunicano molto più al lettore di mille dialoghi inutili.



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