“...oh, mi sono divertita in quegli anni, credo", stava dicendo April. "Me lo ricordo sempre come un periodo felice, stimolante, e ritengo che lo sia stato, eppure", la sua voce non era più monocorde, adesso, "eppure mi pareva ancora...non so".
"Ti pareva ancora che stessi perdendo il meglio della vita?"
"In un certo senso, sì. Avevo ancora l'impressione che da qualche parte esistesse tutto un mondo di gente meravigliosa, un mondo altrettanto superiore al mio di quanto lo erano le ragazze dell'ultimo anno, a Rye, quando io facevo la prima media; gente che sapeva ogni cosa per istinto, che dava alla propria esistenza la direzione che più gli garbava senza neppure il minimo sforzo, che non doveva mai far buon viso a cattivo gioco perché gli riusciva sempre tutto alla perfezione la prima volta che ci provava. Una specie di eroici superuomini, tutti belli e spiritosi e calmi e gentili, e mi sono sempre immaginata che, se mi fosse stato dato di scoprirli, subito mi sarei resa conto di appartenere anch'io alla loro razza, di essere una di loro, di essere da sempre destinata a essere una di loro, e che tutto ciò che era accaduto nel frattempo era stato un errore; e anche loro l'avrebbero capito. Ero una specie di brutto anatroccolo tra i cigni, insomma". [...]
April non aveva davvero voglia di parlare; non con lui, comunque. Tutto quel che voleva era sfogarsi, liberarsi recitando la parte della malinconica e della disillusa, e aveva scelto lui come spettatore.”
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Richard Yates,
Revolutionary Road