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Era una cosa che ammiravo, la sua genuinità e bontà, consapevole com’ero che il mio bisogno di compagnia fosse di tutt’altra natura, ovvero vincolante e distruttivo quando non veniva soddisfatto.
Quando ci frequentavamo quasi non aveva ancora baciato nessuno e in cuor mio mi chiedevo come facesse a non sentirsi annoiata o sola, anche se sapevo che era il modo migliore di vivere. Con la moderazione finivi per guadagnarti la storia d’amore.
sapevo che a me non sarebbe mai capitato perché non riuscivo a trascorrere una giornata, figuriamoci interi anni, senza guardarmi intorno in cerca di qualcuno per cui provare qualcosa.
(Cosa avrebbe tollerato la gente di me? Quali dei miei bisogni potevo ragionevolmente pretendere di soddisfare?). (Niente, niente, niente).
Con Ciaran ho vissuto in costante trattativa per mesi. Ogni giorno in cui per lui era facile stare con me, in cui ero una fidanzata brava e accomodante, era un’offerta sacrificale. Il mio corpo si aspettava che la perseveranza avesse un significato. E di colpo è stato chiaro che le mie intenzioni non avevano alcun senso, e che non potevo convincerlo con la magia ad amarmi, così come non ero riuscita a riportare in vita un animale.
Da qui i lamentosi: «Scusa» e: «Ti prego», il desiderio di fargli subito dimenticare di avergli mai chiesto qualcosa.
Essere innamorati è come sperare in qualcosa;
È come se ogni giorno riuscissi solo a mangiare e dormire e arrancare attraverso le ore e di nuovo daccapo – e in effetti è tutto quello che riesco a fare. Gli antidepressivi vanno e vengono, ma in ogni caso la mia reazione alla vita, alla verde Terra creata da Dio, a tutto il genere umano, spesso è, E allora?
E poi, ogni volta che mi innamoro, tutto si fa nuovo, inclusa me stessa.
Come si era impoverita la mia vita interiore, affannarmi per un pegno d’amore da parte di qualcuno che non aveva intenzione di offrirmelo.
Mi ha intristito il pensiero di non riuscire a imparare a essere più felice, più normale e più tranquilla,
Mangiavo bene e pochissimo, e quando ero tentata di tagliarmi ero sopraffatta da un rifiuto apatico e non davo seguito all’intenzione. Di solito ero troppo stanca per uscire a bere, e mi vergognavo troppo per farlo da sola. Sentivo che per chissà quali misteriose regole della vita sarei riuscita a trovare la strada per cavarmi fuori dal dolore.
Nel mio ricordo, ci svegliavamo tardi, pigramente esploravamo i confini del letto, bisbigliavamo e ci prendevamo cura l’una dell’altro fino all’ora di pranzo. Leggevamo sul divano con le gambe intrecciate, ordinavamo la cena, bevevamo vino e al crepuscolo tornavamo a letto. Un tempo dev’esserci stato qualcosa del genere, qualcosa che lo faceva sembrare possibile. Devono esserci stati dei fine settimana dove le mura di casa significavano ciò che dovevano significare, ovvero che da soli stavamo bene. Devono esserci stati momenti del genere per dimostrarmi che non era colpa mia né sua se mi sono
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Temevo che vedessero cosa mangiavo, che sapessero cosa mi succedeva dentro, perché più mi conoscevano, più ero costretta a interpretare con sincerità il ruolo che recitavo, e più difficile sarebbe diventato stabilire la differenza tra la me stessa al lavoro e la me stessa a casa.
È una rabbia particolare, infuriarti perché stai facendo qualcosa che nessuno ti ha chiesto.