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Questo non è il libro che mia madre vorrebbe leggere. Questo non è neanche il libro che mio padre vorrebbe leggere. Per di più, questo libro mio fratello non lo leggerà mai. Innanzitutto, perché non è propriamente quel che si dice un lettore forte. E poi, perché non mi parla da sette anni. A dirla tutta, questo non è neanche il libro che avrei voluto scrivere. Tuttavia ne ho bisogno.
questo è un libro sulla violenza. Ma anche sull’amore. Perché sotto a quella X ci sono entrambi. Nel mio caso, sono convinta che, se non affronto il primo argomento, mai sarò degna del secondo.
È bello essere donna. È come essere una luna. Ti permette di esplodere nei silenzi, piena, finalmente; di eclissarti quando ne hai più bisogno. Con un corpo che non è granitico, che non finge neanche di esserlo. Mutevole e liquida come la vita. Sincera come il sangue che ti purifica mensilmente – che pure voi siete fatti di sangue, ma a volte ve ne dimenticate. Noi no. Noi non possiamo.
Una madre giudicante e protettiva ti protegge da tutto e non ti protegge da niente. Se il sesso è tutto sbagliato, allora non lo è mai. Neanche quando non lo vuoi. Tanto è sempre tua la colpa. Sia che scopi, sia che ti stuprano: è sempre colpa tua. E non è mai responsabilità di nessuno, neanche quando lo è. Neanche quando è un reato.
Chissà perché sono diventata così sensibile all’insistenza. Chissà se questo marchio me lo porterò dentro a lungo. Chissà se tornerò a essere arrendevole. Chissà, poi, se c’è un modo di proteggere gli altri dalle mie nuove spine.
Il fatto che gli articoli di giornale sembrino stare dalla parte delle donne stuprate solo quando sono morte o quasi morte porta le vive a non denunciare?
“Presto dovremo affrontare la scelta tra ciò che è giusto e ciò che è facile”.
Che se ho scelto di non denunciare è perché ciò che è giusto per un tribunale non è per forza ciò che è giusto nella vita.
A volte, semplicemente, la facilità non è un’opzione. A volte, neanche la giustizia è un’opzione.
È strano il meccanismo della proiezione: odiamo di più gli altri, quando ci mostrano parti di noi che vorremmo dimenticare.
È stato allora che ho capito che a ucciderti non è quasi mai l’urto, né il naufragio; è vedere quanto scappa via veloce chi ha una zattera e nessuna intenzione di condividerla.
Arin non solo mi ha ospitata, ma mi ha insegnato la lezione più importante: non è vero che la violenza è sempre sbagliata. Al contrario, esiste una violenza giusta. È la rabbia degli oppressi, degli umiliati – delle oppresse, delle umiliate. L’odio di chi troppo a lungo è stato odiato. Ad Arin devo la resistenza. A tutti i miei compagni e le mie compagne devo la solidarietà. E a te, a mio fratello, cos’è che devo?

