La scienza dello storytelling: Come le storie incantano il cervello
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La cura per l’orrore è il racconto. Il nostro cervello ci distrae dalla verità più spaventosa riempiendoci la vita di obiettivi carichi di speranza e incoraggiandoci a fare di tutto per raggiungerli. Ciò che desideriamo, e gli alti e bassi della nostra lotta per ottenerlo, sono la storia di ognuno di noi, qualcosa che regala alla vita una parvenza di significato e ci fa distogliere lo sguardo dalla paura.
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il nostro cervello ci fa sentire come gli eroi morali al centro della trama che si sta svolgendo nella nostra vita. In qualunque “dato” si imbatterà, cercherà di adattarlo a tale trama. Se i “dati” sapranno blandire il senso eroico della nostra individualità, saremo più pronti ad accettarle ingenuamente, a prescindere da quanto possiamo ritenerci intelligenti. In caso contrario, la nostra mente saprà escogitare i modi più scaltri per smentirli.
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Certo, gli eventi esterni alla trama sono fondamentali, e dovranno essere immediati, funzionali e ordinati. Ma il vero scopo di qualsiasi trama è quello di sostenere i personaggi.
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«I nostri sistemi percettivi, di fatto, non vengono azionati se non in presenza di mutamenti da rilevare.» In un ambiente stabile, il nostro cervello rimane relativamente calmo2. Ma la rilevazione di un mutamento è sempre accompagnata da un picco nell’attività neurale.
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È il concetto di controllo a spiegare perché il cervello vive in un costante stato di allerta per rilevare il cambiamento inaspettato.
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L’inaspettato ci rende curiosi, ed è proprio la curiosità lo stato d’animo che una storia che funziona dovrebbe suscitarci già al primo assaggio.
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Ecco che cosa fanno i narratori. Creano momenti di cambiamento inaspettato che catturano l’attenzione dei loro personaggi e, di riflesso, quella del lettore o dello spettatore.
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La minaccia del cambiamento è un’altra tecnica estremamente efficace per suscitare curiosità.
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alla fine quel botto non era uno sparo, ma solo il portellone di un camion richiuso con forza; il nome che avevamo sentito non era il nostro, ma una madre che chiamava il suo bambino. E così potremo tornare a immergerci nella nostra rêverie e il mondo tornare a essere un innocuo strato di movimento e rumore. A volte, però, quell’imprevisto conta. Ci costringe all’azione. Ed è qui che inizia la storia.
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I narratori sanno far leva proprio su questi istinti creando dei mondi, ma guardandosi bene dal rivelare al lettore tutto quello che c’è da sapere.
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il cervello sembra diventare spontaneamente curioso quando si trova di fronte a un «set di informazioni» che percepisce come incompleto.
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Nel suo contributo The Psychology of Curiosity14, Loewenstein individua quattro modi per indurre spontaneamente la curiosità negli esseri umani: 1) «proporre una domanda o un enigma»; 2) «mostrare una sequenza di eventi con una soluzione anticipata che però non è nota»; 3) «la violazione delle aspettative che innesca la ricerca di una spiegazione»; 4) sapere che «qualcun altro possiede delle informazioni».
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«Il vostro cervello non sta assolutamente sperimentando in modo diretto qualcosa di tutto questo. In realtà, è rinchiuso nel silenzio e nell’oscurità della vostra scatola cranica.»
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Dato che, in fondo, gli scrittori proiettano dei film neurali nella mente del lettore, dovrebbero optare per un ordine filmico delle parole, ovvero prevedere come la cinepresa neurale dei loro lettori si poserà su ciascun elemento della frase.
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La forma grammaticale attiva fa sì che i lettori visualizzino la scena descritta sulla pagina proprio come se si stesse svolgendo sotto i loro occhi.
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Se si vuole che i lettori diano correttamente forma ai suoi mondi narrativi, lo scrittore dovrebbe prendersi la briga di descriverli con la maggior accuratezza possibile. Una descrizione precisa e dettagliata consentirà di creare modelli altrettanto precisi e dettagliati. Secondo le conclusioni di uno studio, per rendere vivida una scena andrebbero descritte tre qualità specifiche di un oggetto, tra le quali i ricercatori contemplano “un tappeto blu notte” e “una matita a righine arancioni”39.
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ordine filmico delle parole, accuratezza dei dettagli, e capacità di mostrare-non-dire.
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Se per i primi esseri umani costretti a vagare per ambienti ostili si erano rivelate essenziali l’aggressività e la forza fisica, nel momento in cui diventammo più cooperativi quei tratti si rivelarono sempre meno utili. Anzi, da quando iniziammo a vivere in comunità stanziali si sarebbero rivelati controproducenti. In quel nuovo scenario, ad avere la meglio sarebbero stati gli individui più bravi ad andare d’accordo con gli altri, non a dominarli fisicamente.