Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra

by Robert Fisk

coadiuvato dalle truppe italiane e francesi, trovò un labirinto di tunnel di cemento che si estendeva sotto i campi per almeno sei chilometri, alcuni corridoi erano pieni di razzi, mortai e munizioni per piccole armi. Un tunnel che attraversai con i soldati italiani era lungo quasi quanto tutto il campo di Shatila. Era alto due metri e mezzo e largo due, comprendeva una serie di camere di cemento in cui erano immagazzinate casse di missili Grad a due stadi.

Gli italiani si sarebbero dimostrati di gran lunga i soldati più coscienziosi della forza multinazionale, ma il loro arrivo era stato infausto. Quando il primo mezzo da sbarco si incagliò attraccando, le porte rimasero bloccate per diversi minuti e i giornalisti in attesa sul molo poterono sentire gli sfortunati tiratori scelti del reggimento Governolo battere sulle porte per uscire. Quando finalmente emersero alla luce del sole del Mediterraneo, erano stranamente equipaggiati con elmetti bianchi decorati da lunghe penne nere e veicoli corazzati di un bianco altrettanto virginale. In retrospettiva, ci saremmo resi conto che gli italiani rappresentavano veramente una forza di pace, che la vernice bianca rifletteva sinceramente le loro intenzioni. Mentre gli americani e i francesi avevano preferito scendere a terra in camion mimetici pieni di casse di munizioni, gli italiani avevano portato con sé due camion carichi di pasta, così i loro soldati – per usare le indimenticabili parole del tenente colonnello Bruno Tosetti – sarebbero stati «completamente autosufficienti».