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February 9 - February 12, 2021
Come scrive Byung-Chul Han, il filosofo coreano autore di Psicopolitica, la trasformazione da lavoratori a consumatori si è effettivamente completata e sta lasciando oggi spazio a un altro terribile passo: la trasformazione da soggetti a progetti. Ogni essere umano che vive in una società tecnologicamente avanzata, che ha accesso al web e ha un profilo su un social network è automaticamente un brand, cioè un marchio, un’attività, un progetto, che dunque va promosso perché rimanga in vita. Se non sei online e non condividi ogni aspetto della tua esistenza – anche il più insignificante – non
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Louis Muñoz liked this
Se chi ha più di trent’anni ha vissuto in modo marginale questo processo, la generazione dei nativi digitali non conosce altro, non ha fatto esperienza di un’adolescenza fatta di noia e silenzio, libera dalle timeline. E forse è questa una delle ragioni del disagio di cui si parla così spesso online. Il disagio di non avere uno spazio sacro, libero dall’ansia da prestazione. Ciascuno dovrebbe sapere che la parte più autentica di sé non può essere rivelata, che il proprio profilo pubblico sarà sempre un’imitazione dell’identità personale. Come scrive Peter Handke: «Io vivo di ciò che gli altri
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Non possiamo perdere alcun potenziale plusvalore da esibire, dunque dobbiamo far quadrare tutto, non possiamo permetterci di abbandonare niente, dobbiamo coltivare la parte spirituale, quella fisica, avere una vena creativa, essere divertenti. E valutiamo gli altri allo stesso modo, sia in ciò che esibiscono oggi, sia nel progresso che hanno compiuto nel tempo. Perché siamo votati alla crescita personale, al potenziamento, alla corsa instancabile, e chi appare oggi allo stesso modo in cui appariva un paio di anni fa è incomprensibile. Dobbiamo cambiare continuamente perché nulla cambi, cioè
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Oggi si è tempo, e così non lo si ha più. Si è inscatolati dentro tabelle di marcia, orari di lavoro: si vendono le proprie ore di vita in cambio di un compenso, si elimina lo spazio per la manifestazione dell’ignoto e non si ha più a disposizione la capacità di sprecarlo, il tempo, perché a causa di questa simbiosi si avrebbe la sensazione di sprecare se stessi. E invece passa da lì, dal non identificarsi con il tempo, con le attività svolte durante il giorno, dal darsi il permesso di rinunciare all’efficienza che ci si può riscoprire felici.
Seguire la vocazione significa domandarsi sempre se ci si trova sulla strada giusta: non ci si trova sulla strada giusta se dall’esterno arrivano molte gratificazioni o se si riesce a essere produttivi, ma se si percepisce di star agendo senza condizionamenti, in piena libertà, senza voler ricevere approvazione e riconoscimento, senza essere legati al denaro o al potere, e con la sensazione profonda di essere fortunati. Si tratta di una percezione che la nostra società ha dimenticato e che ha dunque bisogno di essere educata. Bisogna educare alla vocazione, cioè dare la possibilità agli
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