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Mi ero fatta fregare all’ultimo dagli ardori, e ciò che cresceva in me era, in un certo senso, il fallimento sociale.
Suor Sorriso fa parte di quelle donne, mai incontrate, morte o vive, reali o immaginarie, con le quali, malgrado tutte le differenze, sento di avere qualcosa in comune. Formano in me una catena invisibile in cui stanno fianco a fianco artiste, scrittrici, eroine dei romanzi, donne della mia infanzia. Ho l’impressione che la mia storia sia in loro.)
È un’intera folla che resuscita, e mi trascina. Ed è questa folla che, più ancora dei miei ricordi personali, mi riconsegna la me stessa di ventitré anni,
Quando Annick mi prestava gli sci e gli scarponi, che io non avevo i mezzi per noleggiare, cadevo senza remore, ogni volta credendo di provocare lo scossone che mi avrebbe liberata.
Avanzavo, gli occhi fissi al pendio, abbagliata dal riverbero, camminando con crescente difficoltà nella neve fresca, con in testa un unico desiderio, far sì che quell’embrione lasciasse la presa. Ero persuasa di dover raggiungere la cima e lo stremo delle forze per riuscire a sbarazzarmene. Mi estenuavo per ucciderlo sotto di me.
È come se questa donna che si dà da fare tra le mie gambe, che introduce lo speculum, mi stesse facendo nascere. Ho ucciso mia madre in me in quel momento.
(Su questa immagine ne scivola adesso un’altra, di nove anni precedente. Quella della grande macchia rosacea, di sangue e umori, lasciata un pomeriggio di aprile sulla federa del mio cuscino dalla gatta di casa, morta mentre ero a scuola e subito seppellita, prima che io tornassi, con i gattini morti dentro di lei.)
Ho visto un piccolo bambolotto penzolarmi dal sesso, appeso a un cordone rossastro. Non avevo immaginato di avere dentro di me una cosa così.
In Giappone gli embrioni abortiti sono chiamati «mizuko», i bambini dell’acqua.
Da una parte c’erano gli esseri e le cose, che significavano troppo, dall’altra le parole dette e le parole scritte, che non significavano niente.
Provavo un senso di fierezza. Forse la stessa dei navigatori solitari, dei drogati e dei ladri, quella di essersi spinti fin dove gli altri non oserebbero mai andare.
Senza saperlo, quella donna forse venale – ma viveva in una casa povera – mi ha strappata a mia madre e mi ha gettata nel mondo. È a lei che dovrei dedicare questo libro.

