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«Mille grazie, signorina». Questo fu tutto, amore mio; ma da quell’istante, da quando avvertii su di me quello sguardo morbido e affettuoso, io fui interamente tua. In seguito, e anche molto presto, avrei constatato che, di quello sguardo avvolgente e attraente, di quello sguardo capace di avviluppare e al tempo stesso di spogliare – lo sguardo del seduttore nato –, tu fai dono a ogni donna che ti sfiora, a ogni commessa che ti vende qualcosa, a ogni cameriera che ti apre la porta; uno sguardo di cui tu non sei consapevole come di una tua volontà o di una tua inclinazione, ma che la tua
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Da quell’istante ti ho amato. Lo so, le donne l’hanno usata spesso questa parola con te, con quell’uomo viziato che sei. Ma credimi, nessuno ti ha amato con tutta l’abnegazione di una schiava, di un cane, come lo fece quell’essere che io ero allora e quale per te son sempre rimasta,
Proiettai così su di te tutto ciò che altrimenti si disperde e si dissipa, su di te proiettai l’intero mio animo che, pur compresso, tornava sempre a espandersi, impaziente.
Ogni cosa esisteva solo in quanto aveva un rapporto con te, ogni cosa nella mia esistenza aveva senso solo se era legata a te. Tu trasformasti, tutta intera, la mia vita.
Ero sempre concentrata su di te, sempre in tensione e in movimento; ma tu non potevi sentirlo, così come non senti la tensione nella molla dell’orologio che porti nel taschino e che, nel buio, conta e misura pazientemente le tue ore, accompagna i tuoi passi con il suo impercettibile battito e sul quale il tuo sguardo cade frettoloso per uno appena fra i milioni di tictac, fra i milioni di secondi.
Per ore, per giorni interi potrei raccontarti come ho vissuto con te allora, con te che a malapena mi conoscevi di vista perché, se ti incontravo per le scale e non potevo evitarti, intimorita dal tuo sguardo ardente ti passavo davanti di corsa a testa bassa, come uno che si getta in acqua per sfuggire al fuoco. Per ore, per giorni interi potrei raccontarti di quegli anni, che tu da tempo hai dimenticato, potrei srotolare l’intero calendario della tua vita; ma non voglio tediarti, non voglio tormentarti.
Lo so, sarò di nuovo sola. E non c’è nulla di più terribile che essere soli in mezzo alla gente.
Lontano da te non volevo vivere felice e appagata, e mi seppellii in un mondo tenebroso di solitudine, in cui mi torturavo da sola.
Non immaginavo che adesso, nel momento in cui fra te e il mio sguardo radioso c’era solo il vetro sottile e luccicante della tua finestra, io in realtà mi trovavo altrettanto lontano dalla tua mente quanto lo ero stata dietro valli, montagne e fiumi. Non mi stancavo di guardare verso l’alto: lassù c’era luce, c’era la casa, c’eri tu, c’era il mio mondo.
Oggi invece capisco bene – e sei stato tu a farmelo capire – che il volto di una ragazza, di una donna, deve essere per un uomo qualcosa di straordinariamente mutevole perché, nella maggioranza dei casi, rispecchia solo una passione, un gesto infantile, un moto di stanchezza, e svanisce con la stessa facilità di un’immagine allo specchio; capisco insomma che un uomo può dimenticare tanto più facilmente il viso di una donna, perché l’età vi lascia il segno delle ombre e della luce, perché i vestiti che ella indossa lo incorniciano diversamente da una volta all’altra. I rassegnati, solo loro,
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Non mancherò mai di esserti grata per quell’ora, per come appagasti la mia appassionata venerazione, per come fosti tenero, delicato, discreto, mai insistente, senza le precipitose effusioni del vagheggino, e dimostrandomi da subito una così ferma e affettuosa confidenza, che mi avresti conquistata anche se io già da tempo non ti fossi appartenuta con tutta la mia volontà e con tutto il mio essere.
Sentivo che, mentre camminavamo chiacchierando, tu mi osservavi di lato con una certa meraviglia. Il tuo intuito, il tuo intuito dell’animo umano fiutò subito, magicamente sicuro com’era, qualcosa di insolito, un segreto in quella ragazza carina e premurosa. L’essere curioso che c’è in te si destò e, dai tuoi giri di parole, dalle tue domande insinuanti, mi resi conto che volevi scoprire il mio segreto. Ma io eludevo quelle domande: preferivo sembrare stramba, piuttosto che rivelartelo.
Tu, tu che riesci a respirare solo se libero, ti saresti sentito in qualche modo legato a me. Mi avresti odiata per questo vincolo, so bene che lo avresti fatto, pur contro la tua consapevole volontà.
Ma quel bambino era tutto per me, e d’altronde veniva da te, eri ancora una volta tu, eppure non più tu, l’uomo felice e spensierato che io non riuscivo a trattenere, bensì quella replica di te – così pensavo – che mi era stata data per sempre, prigioniera nel mio ventre, legata alla mia vita. Finalmente ti avevo catturato, nelle mie vene potevo sentirti crescere, potevo sentir crescere la tua vita, e quando nel profondo dell’anima ardevo dal desiderio, potevo nutrirti, dissetarti, accarezzarti, baciarti. Vedi, amore mio, per questo fui così felice appena seppi che avrei avuto un bambino da
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il tuo bambino doveva avere tutto, tutta la ricchezza, tutta la spensieratezza di questo mondo, doveva tornare in alto da te, sino alla sfera in cui vivi tu.
Allora forse, chissà, mi chiamerai, e per la prima volta io ti sarò infedele, dalla mia tomba non udrò più il tuo richiamo;