Quel che mi importa, invece, è ritrovare le parole attraverso le quali pensavo me stessa e il mondo circostante. Stabilire ciò che per me era normale e ciò che era inammissibile, persino inimmaginabile. Ma la donna che sono nel ’95 è incapace di ricollocarsi nella ragazzina del ’52 che conosceva soltanto la sua cittadina, la sua famiglia, la sua scuola privata, e aveva a sua disposizione un vocabolario ridotto. E, davanti a lei, l’immensità del tempo da vivere. Non esiste un’autentica memoria di sé.

