Memorie da una casa di morti

by Fyodor Dostoevsky

Per esempio, non avrei mai potuto immaginare quanto ci fosse di terribile e tormentoso nel fatto che per tutti i dieci anni della mia condanna non sarei stato da solo una sola volta, per un solo minuto. Al lavoro sempre sotto scorta, a casa con duecento compagni e nemmeno una volta, nemmeno una volta da solo!

Tutto questo popolo lavorava sotto la minaccia del bastone, per conseguenza era ozioso, per conseguenza si corrompeva; se anche non era corrotto in precedenza, in galera si corrompeva. Tutti, quaggiù, non s’erano riuniti per loro volontà; tutti erano estranei gli uni agli altri.

Certo, le prigioni e il sistema dei lavori forzati non correggono il delinquente; si limitano a punirlo e garantiscono la società da ulteriori attentati alla sua tranquillità da parte del malfattore. Nel delinquente, invece, la colonia penale e i lavori forzati più pesanti sviluppano soltanto l’odio, la brama di piaceri proibiti e una terribile avventatezza. Ma sono fermamente convinto che anche il famoso sistema della reclusione in singole celle raggiunga soltanto uno scopo falso, ingannevole, esteriore. Esso succhia la linfa vitale dell’uomo, ne snerva l’anima, la indebolisce, la spaventa e poi presenta come esempio di emendamento e pentimento una mummia moralmente rinsecchita, un semideficiente. Certo, il delinquente, che s’è ribellato alla società, la odia e quasi sempre ritiene di essere nel giusto, mentre la società è colpevole. Per di più ne ha già sopportato la punizione, e grazie a ciò quasi si ritiene purificato, in pari con i conti.

Ci sono nature a tal punto belle di per loro, a tal punto dotate da Dio, che persino il solo pensiero che esse possano in un qualche momento tramutarsi in qualcosa di meschino vi pare impossibile. Per loro siete sempre tranquilli. Io ancora adesso sono tranquillo per Alej. Dove sarà mai adesso?…

È come se, una volta superato il limite a lui vietato, cominciasse a contemplare il fatto che per lui non c’è più niente di sacro; come se qualcosa lo spingesse a superare d’un colpo qualsiasi legalità e potere, e a godere di una libertà sfrenata e senza limiti, a godere di questa stretta al cuore provocata dal terrore che, forse, non può provare di fronte a se stesso. Sa inoltre che lo attende un castigo terribile. Tutto ciò può assomigliare a quella sensazione che un uomo sperimenta quando da un’alta torre si protende verso il vuoto che ha sotto i piedi, di modo che alla fine lui stesso sarebbe contento di buttarsi a capofitto; che si faccia in fretta e che tutto finisca!

Luiza parlava bene anche in russo, solo un po’ così, come se avesse l’erre moscia, e una dolcezza del genere non l’avevo ancora mai incontrata.

Chi ha sperimentato una volta questo potere, questo dominio sconfinato su corpo, sangue e anima di un uomo in tutto uguale a lui, fatto allo stesso modo, un fratello secondo la legge di Cristo; chi ha sperimentato il potere e la completa possibilità di umiliare con l’avvilimento supremo un altro essere che porta su di sé l’immagine di Dio, questi già senza volerlo cessa di avere il controllo delle proprie sensazioni. La tirannide è un’abitudine: è dotata di capacità di sviluppo, e alla fine si tramuta in una malattia. Io sostengo che l’uomo migliore può farsi rozzo e ottuso per colpa dell’abitudine fino al livello dell’animale. Sangue e potere inebriano: sviluppano la rozzezza, il vizio; divengono accessibili alla ragione e al sentimento e, alla fine, i fenomeni più anormali divengono dolci. L’uomo e il cittadino nel tiranno periscono per sempre, e il ritorno alla dignità umana, al pentimento, alla rigenerazione diventa per lui quasi impossibile. Inoltre la possibilità di un simile arbitrio agisce in modo contagioso anche sulla società tutta: un tale potere è seducente. La società che contempla indifferente tale fenomeno è già di per sé infetta nel proprio fondamento. In una parola, il diritto della punizione corporale, conferito a uno sugli altri, è una delle piaghe della società, è uno dei mezzi più forti per l’annientamento in essa di qualsiasi germe, di qualsiasi tentativo di spirito civile e la premessa certa di una sua immancabile e ineluttabile dissoluzione.

La realtà è infinitamente più varia a confronto con tutte le più astute conclusioni del pensiero astratto, e non tollera distinzioni nette e grossolane. La realtà tende alla frantumazione.