La Peste

by Albert Camus

Un modo facile per conoscere una città è scoprire come vi si lavora, come si ama e come si muore.

Il fatto è che i topi muoiono fuori, in strada, mentre gli uomini nella loro camera da letto. E la stampa si occupa solo di quel che accade fuori.

Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre tutti alla sprovvista.

nessuno sarà mai libero finché ci saranno dei flagelli.

Era uno di quegli uomini, rari nella nostra città come altrove, che non si vergognano dei loro buoni sentimenti.

un recente arresto che aveva fatto un certo scalpore ad Algeri. Si trattava di un giovane impiegato che aveva ucciso un arabo in spiaggia.

Citazione Lo straniero Camus

i due coniugi non erano nemmeno sicuri di essere soddisfatti della loro unione. Ma quella separazione brutale e prolungata li aveva messi nella condizione di scoprire che non potevano vivere lontani l’uno dall’altra,

ci abbandonavamo all’immaginazione e ci lasciavamo andare aspettando lo squillo di campanello del ritorno o un passo familiare sulle scale, se, in quei momenti, accettavamo di dimenticare

Provavano così la sofferenza profonda di tutti i prigionieri e di tutti gli esuli, che è quella di vivere con una memoria che non serve a niente.

i dolori più autentici presero a tradursi in banali formule di conversazione. Era il prezzo pagato dai prigionieri della peste per ottenere la compassione del portinaio o l’interesse di chi li ascoltava.

Al principio di un flagello, e alla fine, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso non si è ancora persa l’abitudine e nel secondo la si è già ritrovata. Solo nel momento della tragedia ci si abitua alla verità, cioè al silenzio.

Lenirebbe la sofferenza, prima di volerne dimostrare la nobiltà.”

Il male presente nel mondo viene quasi sempre dall’ignoranza, e la buona volontà, se non è illuminata, può fare altrettanti danni della malvagità.

“C’è sempre qualcuno più prigioniero di me” era la frase che allora riassumeva l’unica speranza possibile.

Presi dalle code da fare, dalle pratiche da sbrigare e dalle formalità da assolvere se volevano mangiare, non ebbero tempo per pensare a come la gente moriva intorno a loro e a come loro stessi un giorno sarebbero morti.

Alla fine gli abitanti avevano capito di cosa si trattava. E nonostante le pattuglie che impedivano l’accesso alla panoramica, spesso alcuni gruppetti di persone riuscivano a infilarsi tra gli scogli a strapiombo sulle onde e a gettare fiori nei rimorchi al passaggio dei tram.

Al principio della peste ricordavano benissimo la persona che avevano perduto, e la rimpiangevano. Ricordavano nitidamente il volto amato, il suo riso, quel giorno che riconoscevano a posteriori come un giorno felice, e tuttavia avevano difficoltà a immaginare cosa potesse fare l’altro nell’istante in cui lo rievocavano e in luoghi divenuti ormai lontani. In quei momenti, insomma, possedevano la memoria, ma era l’immaginazione a far loro difetto. Nella seconda fase della peste persero anche la memoria. Non che l’avessero dimenticato, quel volto, ma, cosa non molto diversa, aveva perso la sua carne, non lo sentivano più dentro di loro.

la peste aveva tolto a tutti la disposizione all’amore e all’amicizia. Poiché l’amore richiede un po’ di futuro, e per noi ormai c’erano solo istanti.

L’unica cosa che non vuole è essere separato dagli altri. Preferisce rimanere sotto assedio con tutti piuttosto che in prigione da solo.

non c’era da vergognarsi a scegliere la felicità. “Sì,” disse Rambert, “ma forse c’è da vergognarsi a essere felici da soli.”

chi mai poteva sostenere che l’eternità di una gioia bastasse a ripagare un istante del dolore umano?

Era il giorno in cui tutti tentavano di risarcire il defunto dell’isolamento e dell’oblio in cui era stato lasciato per lunghi mesi.

Mentre la peste, con la sua efficace imparzialità, avrebbe dovuto rafforzare l’uguaglianza fra i nostri concittadini, per il normale effetto degli egoismi rendeva invece più acuto nel cuore degli uomini il sentimento d’ingiustizia. Rimaneva, certo, l’ineccepibile uguaglianza della morte,

questa epidemia non mi insegna niente di nuovo,