Donatella Conte

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Alla fine, la mia bambina giaceva avviluppata tra le mie braccia, come un bocciolo in fiore. Mi abbandonai al ritmo della sua bocca che mi succhiava il seno e riportava timidamente la vita al mio cuore indurito, come muschio che avvolge una pietra. Ma rimasi distante, eseguendo solo la meccanica esteriore del prendersi cura di un neonato. Questa fragile bambina mi aveva imposto la volontà di vivere, ed era una cosa che le rimproveravo, perché allora non volevo nient’altro che morire.
Ogni mattina a Jenin
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