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«Credo che il dovere rivoluzionario dello scrittore sia scrivere bene [...] Il romanzo ideale è un romanzo assolutamente libero, che non solo inquieta per il suo contenuto politico e sociale, ma anche per il suo potere di penetrazione nella realtà; e meglio ancora se è capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio».
Il nome del giudice non comparve in nessuno di essi, ma è evidente che era un uomo acceso dalla febbre della letteratura. Aveva senza dubbio letto i classici spagnoli, e qualcuno dei latini, e conosceva benissimo Nietzsche, che era l’autore di moda tra i magistrati del suo tempo. Le note a margine, e non solo per il colore dell’inchiostro, parevano scritte col sangue. Era così perplesso sull’enigma che gli era toccato in sorte, che molte volte incorse in divagazioni liriche contrarie al rigore del suo mestiere. Soprattutto, non gli parve mai giustificato che la vita si servisse di tante
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