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Questa è una mia quarantennale convinzione. Ho quarant’anni, e quarant’anni sono una vita intera; sono la più fonda vecchiaia. Vivere oltre i quarant’anni è indecoroso, volgare, immorale. Chi vive oltre i quarant’anni? Rispondetemi sinceramente, onestamente. Ve lo dico io, chi vive: gli stupidi e i furfanti.
spiego. Il piacere derivava dalla fin troppo chiara coscienza della tua umiliazione; dal fatto che tu stesso senti di aver toccato il fondo dell’abisso; che è abietto ma non puoi farci niente; che ormai non hai alcuna via d’uscita, che mai potrai diventare un altro uomo; che se pure avessi ancora tempo e fede per mutare, probabilmente non vorresti mutare, e se anche lo volessi ci rinunceresti perché in effetti non c’è niente in cui valga la pena di trasformarsi.
Lo ripeto, lo ripeto con forza: tutte le persone spontanee e attive sono attive perché sono ottuse e limitate.
Già, signori, l’unica ragione per cui io mi considero un uomo intelligente, forse, è che in tutta la mia vita non ho mai potuto intraprendere né concludere niente.
la legge della natura di tutti gli uomini per bene della terra. E se a qualcuno capita di fare qualche prodezza non si consoli e non se ne rallegri, tanto di fronte a un altro calerà le brache. È l’unica, inevitabile via d’uscita. Le prodezze le fanno solo gli asini e i bastardi, e anche quelli fino a un certo limite. Non mette conto di occuparsi di loro perché non hanno alcuna rilevanza.
Noi russi non abbiamo mai avuto, genericamente parlando, quelle romanticherie lunari dei tedeschi e soprattutto dei francesi, che non si lasciano sfiorare da niente; neanche se la terra scricchiolasse sotto i loro piedi, neanche se la Francia crollasse tutta intera sulle barricate, farebbero una piega, per eleganza, e continuerebbero a cantare le loro lunari canzoni, tanto per dire, sino alla tomba, perché sono dei cretini.
sospettavo di essergli molto antipatico e tuttavia andavo a trovarlo, perché non ne ero proprio sicuro.
«Vedi Liza, ti parlerò di me. Avessi avuto nell’infanzia una famiglia, non sarei come ora. È una cosa a cui penso spesso. Per quanto male uno possa stare in famiglia, ha sempre suo padre e sua madre, e non dei nemici, non degli estranei. Almeno una volta all’anno ti esprimono il loro affetto. E comunque sai di essere a casa tua. Io sono cresciuto senza famiglia; e probabilmente sono venuto fuori così... arido.»
“Ma tanto non la lasceranno uscire, quella ‘troietta’”
Anche nelle mie fantasie del sottosuolo non mi figuravo l’amore se non come una lotta che cominciasse sempre dall’odio, e finisse con il totale assoggettamento morale e poi però non sapevo immaginare cosa ne avrei fatto di un oggetto assoggettato.
Ma davvero le sarà più facile vivere, dopo tutto ciò? “In effetti, ora pongo a me stesso una domanda oziosa: che cos’è meglio? Una felicità a buon mercato, oppure un’estrema sofferenza? Allora, cosa è meglio?”
Poiché scrivere, per esempio, lunghi racconti sul fallimento della mia vita a causa della disgregazione morale nella mia tana, per la mia insocievolezza, per inconsuetudine alla «vita viva», e per la rabbia livida del sottosuolo, perdio, non è affatto interessante. In un romanzo occorre un eroe e qui apposta ho raccolto tutti i possibili tratti dell’antieroe e il peggio è che tutto ciò produrrà una sgradevolissima impressione, perché tutti noi siamo disavvezzi alla vita, tutti zoppichiamo, chi più, chi meno.