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Kindle Notes & Highlights
by
Oliver Sacks
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August 25 - August 31, 2023
l’emisfero sinistro è più complesso e specializzato, è un prodotto molto tardo dello sviluppo del cervello del primate, e in particolare dell’ominide. D’altro lato, è l’emisfero destro che è preposto alla cruciale funzione del riconoscimento della realtà, capacità che ogni creatura umana deve avere per sopravvivere.
una malattia non è mai semplicemente una perdita o un eccesso, che c’è sempre una reazione, da parte dell’organismo o dell’individuo colpito, volta a ristabilire, a sostituire, a compensare e a conservare la propria identità, per strani che possano essere i mezzi usati:
Ma chi era più tragico, chi era maggiormente anima perduta: l’uomo che sapeva o l’uomo che non sapeva?
Si deve incominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricordi, per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza memoria la vita non è vita... La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire. Senza di essa non siamo nulla...
«Egli è, per così dire,» scrissi nei miei appunti «isolato in un singolo momento dell’esistenza, con tutt’intorno un fossato, o lacuna di smemoratezza... È un uomo senza passato (e senza futuro), bloccato in un attimo sempre diverso e privo di senso».
(Se un uomo ha perso una gamba o un occhio, sa di averli persi; ma se ha perso un sé, se stesso, non può saperlo, perché egli non c’è più per saperlo).
«Un uomo non consiste di sola memoria. Ha sentimento, volontà, sensibilità, coscienza morale... È in queste cose... che lei può toccarlo e vedere un profondo cambiamento».
«il corpo in discussione», ma il corpo, di solito, non è mai in discussione: il nostro corpo è fuori discussione, o forse non è degno di essere discusso: è semplicemente, incontestabilmente, dato. Questa incontestabilità del corpo, la sua certezza, è per Wittgenstein il punto di partenza e la base di ogni conoscenza e certezza.
Poiché la natura era venuta meno, Christina ricorreva all’«artificio», ma l’artificio era suggerito dalla natura e presto divenne una «seconda natura».
Ma quando Christina si arrampica faticosamente su un autobus, trova solo un’incomprensione sgarbata e stizzosa: «Ehi, signora, ma che fa? È cieca? È ubriaca?». E lei, che cosa può rispondere: «Non ho la propriocezione»? Questa mancanza di sostegno e solidarietà sociali rende ancor più pesante il fardello di Christina: è un’invalida, ma la natura della sua invalidità non è chiara; non è, dopo tutto, palesemente cieca o paralitica, o impedita in modo visibile, e il più delle volte viene trattata come una commediante o un’idiota. Ecco che cosa succede a chi è affetto da disordini dei sensi
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Perché in un certo senso essa è davvero «svuotata», disincarnata, una specie di fantasma. Insieme al senso della propriocezione, ha perso l’àncora fondamentale, organica dell’identità – almeno di quella identità corporea, o «io corporeo», che Freud considera la base dell’io: «L’io è anzitutto un io corporeo».
Le sue mani si direbbero potenzialmente in grado di funzionare perfettamente, eppure non lo sono. Che non funzionino, che siano «inutili», perché non le ha mai usate? L’essere stata sempre «protetta», «assistita», «coccolata» le aveva forse impedito le normali attività esplorative delle mani, che tutti i bambini apprendono nei primi mesi di vita? L’avevano portata in braccio, avevano fatto ogni cosa per lei, impedendole in tal modo di sviluppare delle mani normali? E se così era (l’ipotesi pareva un po’ forzata, ma era l’unica che riuscissi a formulare), poteva acquisire adesso, a
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Per questo paziente, per tutti i pazienti, l’uso non è dunque importantissimo? Non serve dunque a scacciare un fantasma «cattivo» (o passivo o patologico), se esiste; e a mantenere vivo, attivo e in buona salute, come è loro necessario, il fantasma «buono», cioè il persistente ricordo o immagine personale dell’arto?
«Si può mentire con la bocca,» scrive Nietzsche «ma con la smorfia che l’accompagna si dice ugualmente la verità».
Charcot e i suoi allievi, tra i quali, oltre a Tourette, c’erano Freud e Babinski, furono tra gli ultimi esponenti della loro professione ad avere una visione unitaria di corpo e anima, di «esso» e «io», di neurologia e psichiatria. Con la frattura, prodottasi alla fine del secolo, fra una neurologia senz’anima e una psicologia senza corpo, scomparve ogni possibilità di comprendere la sindrome di Tourette.
Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un «racconto», e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.
Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi – possedere, se necessario ri-possedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo «ripetere» noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi. L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé.