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Sono tutte città inventate;
uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita,
Oggi si parla con eguale insistenza della distruzione dell’ambiente naturale quanto della fragilità dei grandi sistemi tecnologici che può produrre guasti a catena,
Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.
Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro.
I desideri sono già ricordi.
Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato:
Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.
Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo.
Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare nessuna nota.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone;
La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere.
Forse l’impero, pensò Kublai, non è altro che uno zodiaco di fantasmi della mente.
più si perdeva in quartieri sconosciuti di città lontane, più capiva le altre città che aveva attraversato per giungere fin
che quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé,
Ne inferisce questo: se l’esistenza in tutti i suoi momenti è tutta se stessa, la città di Zoe è il luogo dell’esistenza indivisibile.
Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.
al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio.
il passaggio dall’una all’altra non implicasse un viaggio ma uno scambio d’elementi.
La menzogna non è nel discorso, è nelle cose.
Il risultato è questo: la città che dicono ha molto di quel che ci vuole per esistere, mentre la città che esiste al suo posto, esiste meno.
otterrei delle città troppo verosimili per essere vere.
anche se nessuno di loro conserva gli occhi e la voce che aveva nella scena precedente.
Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano,
Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco.
I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro,
Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.
«Si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono più dei vivi. E la mente si rifiuta d’accettare altre fisionomie, altre espressioni: su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi, per ognuna trova la maschera che s’adatta di più».
la vera mappa dell’universo sia la città d’Eudossia così com’è,
una macchia che dilaga senza forma, con vie tutte a zigzag, case che franano una sull’altra nel polverone, incendi, urla nel buio.
e la risposta era in quella nuvola.
la forma delle cose si distingue meglio in lontananza.
ma il bruciaticcio delle vite bruciate che forma una crosta sulle città,
l’ingorgo di passato presente futuro che blocca le esistenze calcificate nell’illusione del movimento: questo trovavi al termine del viaggio.
Dicono che nelle due città gemelle non ci sia più modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti.
sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere,
Abbiamo dimostrato che se noi ci fossimo, non ci saremmo.
forse di Irene ho già parlato sotto altri nomi; forse non ho parlato che di Irene.