Un indovino mi disse
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Kindle Notes & Highlights
Read between March 18 - April 7, 2024
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UNA buona occasione nella vita si presenta sempre. Il problema è saperla riconoscere e a volte non è facile.
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Appena si decide di farne a meno, ci si accorge di come gli aerei ci impongono la loro limitata percezione dell’esistenza; di come, essendo una comoda scorciatoia di distanze, finiscono per scorciare tutto: anche la comprensione del mondo. Si lascia Roma al tramonto, si cena, si dorme un po’ e all’alba si è già in India. Ma un paese è anche tutta una sua diversità e uno deve pur avere il tempo di prepararsi all’incontro, deve pur fare fatica per godere della conquista. Tutto è diventato così facile oggi che non si prova più piacere per nulla. Il capire qualcosa è una gioia, ma solo se legato a ...more
Chiara
Letto durante un viaggio attraverso l’Asia, senza mai, per scelta, varcare l’ingresso di un aeroporto, ho riscoperto anche io il romanticismo e la lentezza dei viaggi via nave o treno.
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Al momento basta ancora metterci piede per sentire che nel Laos c’è qualcosa di unico e di poetico nell’aria: le giornate sono lunghe e lente e la gente ha una quieta dolcezza che non si trova nel resto dell’Indocina. I francesi, che conoscevano bene i popoli delle loro colonie, dicevano: «I vietnamiti piantano il riso, i khmer li stanno a guardare e i lao ascoltano il riso che cresce».
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Che brutta invenzione il turismo! Una delle industrie più malefiche! Ha ridotto il mondo a un enorme giardino d’infanzia, a una Disneyland senza confini. Presto anche nella vecchia, remota capitale reale del Laos sbarcheranno a migliaia questi nuovi invasori, soldati dell’impero dei consumi e, con le loro macchine fotografiche, le loro implacabili videocamere, gratteranno via quell’ultima naturale magia che lì è ancora dovunque.
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Un giorno, addentrandosi nella foresta, dove si faceva compagnia cantando tra sé e sé la Traviata, come racconta nelle sue lettere, Mouhot d’un tratto, in mezzo al fogliame fitto, sotto gli alberi giganteschi, si sentì guardato da due, quattro, dieci, cento occhi di pietra che gli sorridevano. Ho sempre cercato di immaginarmi che cosa avesse provato in quel momento; un momento per il quale era valso il suo viaggio, e la sua morte.
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Aveva ragione il Foscolo con il suo elogio dei sepolcri! I sepolcri sono di grande ispirazione e certo non a caso io mi sono sentito sempre stranamente attratto da queste semplici, commoventi tracce di vita lasciate dagli occidentali in giro per il mondo.
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Nella grotta principale un gruppo di laotiani, inginocchiati dinanzi a un Buddha di pietra, lo interrogavano sul loro futuro. Feci lo stesso. Il sistema è semplice: lentamente, con le mani giunte, si scuote un bussolotto finché una delle tante piccole stecche di bambù che stanno dentro non cade per terra. Ogni stecca ha un numero; a ogni numero corrisponde un foglietto di carta con un messaggio.
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Mekong era piatto e senza drammi, l’acqua densa, con la superficie a volte mossa da grandi bolle di fango. Si scivolava via lenti fra le due sponde che erano l’essenza di quella contraddizione che dentro di me avrei tanto voluto risolvere: a sinistra la sponda laotiana con i villaggi di capanne all’ombra delle palme di cocco, le barche a remi ormeggiate al fondo di semplici scale di bambù e, la sera, i bagliori teneri delle lucine a olio nel silenzio; a destra, la sponda thailandese: luci al neon, la musica degli altoparlanti e il rombare lontano dei motori. Da una parte il passato da cui ...more
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Tutti dobbiamo chiederci – e sempre – se quel che stiamo facendo migliora e arricchisce la nostra esistenza. O abbiamo tutti, per una qualche innaturale deformazione, perso l’istinto per quel che la vita dovrebbe essere, e cioè soprattutto un’occasione di felicità?
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Eppure, se quel fiorentino in crisi si fosse messo «in cammino » all’interno della sua cultura, si fosse fatto francescano o gesuita, si fosse ritirato a Camaldoli o La Verna, invece che in un monastero del Nepal, forse avrebbe trovato una strada più familiare, più adatta, meno solitaria. E almeno si sarebbe risparmiato quei terribili corni al mattino! Anche lui vittima dell’esotismo? Del dover cercare altrove? Come me, in fondo, che avrei potuto benissimo fare il giornalista in Italia e trovare lì i vietcong dalla cui parte schierarmi, cercare lì le verità nascoste, viaggiare lì in un
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paese alla fin fine esotico quanto l’Asia e ancora tutto da raccontare.
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Batti un gong e vedrai un Thai che accenna un passo di danza, suona uno zufolo e tutto un gruppo alza le mani in aria, muove i fianchi e si mette a ballare. «Mai pen rai» è la loro frase più comune. Significa «Non importa», «Pazienza », «Lascia stare», «Perché preoccuparsi?» Il vento ha buttato giù il tetto della casa? Mai pen rai. Le strade di Bangkok si allagano regolarmente al primo acquazzone? Mai pen rai. La città è diventata invivibile? Mai pen rai.
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OGNI posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta ...more
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Più ci si guarda attorno, più ci si rende conto che il nostro modo di vivere si fa sempre più insensato. Tutti corrono, ma verso dove? Perché? Molti sentono che questo correre non ci si addice e che ci fa perdere tanti vecchi piaceri. Ma chi ha ormai il coraggio di dire: «Fermi! Cambiamo strada»?
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Somerset Maugham,
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«Viaggiare ha senso solo se si torna con una qualche risposta nella valigia», attaccò Leopold. «Tu che viaggi tanto, l’hai trovata?»
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Anche per lui la nave era una pausa, una liberazione dalla routine. Leopold passava i lunghi tempi vuoti che la navigazione ci dava a riflettere su quello che gli stava a cuore e io ero come il sacco di sabbia contro cui il pugile si addestra a dar colpi. Questo pugno mi colpì duramente, perché io quella risposta sapevo di non averla trovata. Anzi, strada facendo, avevo perso anche quelle due o tre certezze che prima credevo di avere. Forse quella era la risposta, ma non lo dissi e, cercando di alleggerire il tono del discorso, aggiunsi che viaggiavo perché la mia natura è quella di un evaso: ...more
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Avevo salutato tutti ed ero già preso dalla solita gioia di mettermi in cammino, dal sempre rinnovato senso di sollievo che mi prende a sapere che nessuno mi potrà raggiungere, che non sono prenotato o aspettato da nessuna parte, che non ho impegni tranne quelli creati dal caso. Adoro questo mescolarmi a una folla, questo diventare un viaggiatore qualsiasi, libero dal proprio ruolo, dall’immagine che uno ha di sé e che é a volte una gabbia stretta quanto quella del corpo;
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Beasts, Men and Gods,