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Il berretto da cuoco, sissignore! E sbatta le uova! Lei crede, con codeste uova che sbatte, di non aver poi altro per le mani? Sta fresco! Ha da rappresentare il guscio delle uova che sbatte!
Sissignore, il guscio: vale a dire la vuota forma della ragione, senza il pieno dell'istinto che è cieco! Lei è la ragione, e sua moglie l'istinto: in un giuoco di parti assegnate, per cui lei che rappresenta la sua parte è volutamente il fantoccio di se stesso.
maschere espressamente costruite d'una materia che per il sudore non s'afflosci e non pertanto sia lieve agli Attori che dovranno portarle: lavorate e tagliate in modo che lascino liberi gli occhi, le narici e la bocca. S'interpreterà così anche il senso profondo della commedia. I «Personaggi» non dovranno infatti apparire come «fantasmi», ma come «realtà create», costruzioni della fantasia immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori. Le maschere ajuteranno a dare l'impressione della figura costruita per arte e fissata ciascuna immutabilmente
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lei sa bene che la vita è piena d'infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere.
può stimarsi realmente una pazzia, sissignore, sforzarsi di fare il contrario; cioè, di crearne di verosimili, perché pajano vere. Ma mi permetta di farle osservare che, se pazzia è, questa è pur l'unica ragione del loro mestiere.
far parer vero quello che non è; senza bisogno, signore: per giuoco... Non è loro ufficio dar vita sulla scena a personaggi fantasticati?
esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri! Siamo dello stessissimo parere!
la natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, più alta, la sua opera di creazione.
l'autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non potè materialmente, metterci al mondo dell'arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l'uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni, perché—vivi germi—ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per
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Non è una donna, è una madre!—E
Frasi! Frasi! Come se non fosse il conforto di tutti, davanti a un fatto che non si spiega, davanti a un male che si consuma, trovare una parola che non dice nulla, e in cui ci si acquieta!
La figliastra. Qui non si narra! qui non si narra! Il padre. Ma io non narro! voglio spiegargli. La figliastra. Ah, bello, sì! A modo tuo!
Il padre. Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sè, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo d'intenderci; non c'intendiamo mai!
Ho sempre avuto di queste maledette aspirazioni a una certa solida sanità morale! La Figliastra, a questo punto, scoppierà di nuovo a ridere fragorosamente.
migliore, migliore anzi, perché non ha paura di scoprire col lume dell'intelligenza il rosso della vergogna, là, nella bestialità umana, che chiude sempre gli occhi per non vederlo. La donna—ecco—la donna, infatti, com'è? Ci guarda, aizzosa, invitante. La afferri! Appena stretta, chiude subito gli occhi. È il segno della sua dedizione. Il segno con cui dice all'uomo: «Accecati, io son cieca!».
un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato.
Il padre. Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi—veda—si crede «uno» ma non è vero: è «tanti», signore, «tanti», secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: «uno» con questo, «uno» con quello—diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'esser sempre «uno per tutti», e sempre «quest'uno» che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! non è vero! Ce n'accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non esser tutti in
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Non so più che dirle... Comincio già... non so, a sentir come false, con un altro suono, le mie stesse parole.
La loro espressione diventa materia qua, a cui dan corpo e figura, voce e gesto gli attori, i quali—per sua norma—han saputo dare espressione a ben più alta materia: dove la loro è così piccola, che se si reggerà sulla scena, il merito, creda pure, sarà tutto dei miei attori.
la rappresentazione che farà—anche forzandosi col trucco a somigliarmi... —dico, con quella statura... tutti gli Attori rideranno difficilmente potrà essere una rappresentazione di me, com'io realmente sono. Sarà piuttosto—a parte la figura—sarà piuttosto com'egli interpreterà ch'io sia, com'egli mi sentirà—se mi sentirà—e non com'io dentro di me mi sento. E mi pare che di questo, chi sia chiamato a giudicare di noi, dovrebbe tener conto.
Perché vogliono guastare, in nome d'una verità volgare, di fatto, questo prodigio di una realtà che nasce, evocata, attratta, formata dalla stessa scena, e che ha più diritto di viver qui, che loro; perché assai più vera di loro? Quale attrice fra loro rifarà poi Madama Pace? Ebbene: Madama Pace è quella! Mi concederanno che l'attrice che la rifarà, sarà meno vera di quella—che è lei in persona!
scena tra la Figliastra e Madama Pace, durante la protesta degli Attori e la risposta del Padre, sarà cominciata, sottovoce, pianissimo, insomma naturalmente, come non sarebbe possibile farla avvenire su un palcoscenico.
Il capocomico (fermandolo). Ma no, aspetti! Qua bisogna rispettare le esigenze del teatro! Prima che lei sia pronto... La figliastra (interrompendolo). Ma sì, subito! subito! Mi muojo, le dico, dalla smania di viverla, di vederla questa scena! Se lui vuol esser subito pronto, io sono prontissima!
Pallidissimo; ma già investito nella realtà della sua vita creata, sorriderà appressandosi dal fondo, come alieno del dramma che sarà per abbattersi su di lui.
La rappresentazione della scena, eseguita dagli Attori, apparirà fin dalle prime battute un'altra cosa, senza che abbia tuttavia, neppur minimamente, l'aria di una parodia; apparirà piuttosto come rimessa in bello. Naturalmente, la Figliastra e il Padre, non potendo riconoscersi affatto in quella Prima Attrice e in quel Primo Attore, sentendo proferir le loro stesse parole, esprimeranno in vario modo, ora con gesti, or con sorrisi, or con aperta protesta, l'impressione che ne ricevono di sorpresa, di meraviglia, di sofferenza,
padre. Appunto, gli attori! E fanno bene, tutti e due, le nostre parti. Ma creda che a noi pare un'altra cosa, che vorrebbe esser la stessa, e intanto non è! Il capocomico. Ma come non è? Che cos'è allora? Il padre. Una cosa, che... diventa di loro; e non più nostra.
È stata sempre per me una maledizione provare davanti agli autori! Non sono mai contenti!
La figliastra. Ma è la verità! Il capocomico. Ma che verità, mi faccia il piacere! Qua siamo a teatro! La verità, fino a un certo punto!
La figliastra. No, signore! Della mia nausea, di tutte le ragioni, una più crudele e più vile dell'altra, per cui io sono «questa», «così», vorrebbe forse cavarne un pasticcetto romantico sentimentale, con lui che mi chiede le ragioni del lutto, e io che gli rispondo lacrimando che da due mesi m'è morto papà? No, no, caro signore! Bisogna che lui mi dica come m'ha detto: «Togliamo via subito allora, codesto vestitino!». E io, con tutto il mio lutto nel cuore, di appena due mesi, me ne sono andata là, vede? là, dietro quel paravento, e con queste dita che mi ballano dall'onta, dal ribrezzo, mi
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Il capocomico. Ma sì, non nego, sarà la verità... e comprendo, comprendo tutto il suo orrore, signorina; ma comprenda anche lei che tutto questo sulla scena non è possibile!
Bisogna contener tutti in un quadro armonico e rappresentare quel che è rappresentabile!
Lo so bene anch'io che ciascuno ha tutta una sua vita dentro e che vorrebbe metterla fuori. Ma il difficile è appunto questo: farne venir fuori quel tanto che è necessario, in rapporto con gli altri; e pure in quel poco fare intendere tutta l'altra vita che resta dentro!
Ah, comodo, se ogni personaggio potesse in un bel monologo, o... senz'altro... in una conferenza venire a scodellare davanti al pubblic...
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La madre. Io non posso! non posso! Il capocomico. Ma se è già tutto avvenuto, scusi! Non capisco! La madre. No, avviene ora, avviene sempre! Il mio strazio non è finito, signore! Io sono viva e presente, sempre, in ogni momento del mio strazio, che si rinnova, vivo e presente sempre. Ma quei due piccini là, li ha lei sentiti parlare? Non possono più parlare, signore! Se ne stanno aggrappati a me, ancora, per tenermi vivo e presente lo strazio: ma essi, per sè, non sono, non sono più! E questa, indicherà la Figliastra signore, se n'è fuggita, è scappata via da me e s'è perduta, perduta... Se
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Il padre (con uno scatto, alzandosi). L'illusione? Per carità, non dicano l'illusione! Non adoperino codesta parola, che per noi è particolarmente crudele! Il capocomico (stordito). E perché, scusi? Il padre. Ma sì, crudele! crudele! Dovrebbe capirlo! Il capocomico. E come dovremmo dire allora? L'illusione da creare, qua, agli spettatori— Il primo attore.—con la nostra rappresentazione— Il capocomico.—l'illusione d'una realtà! Il padre. Comprendo, signore. Forse lei, invece, non può comprendere noi. Mi scusi! Perché—veda—qua per lei e per i suoi attori si tratta soltanto—ed è giusto—del loro
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Il padre (con dignità, ma senza alterigia). Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre «qualcuno». Mentre un uomo—non dico lei, adesso—un uomo così in genere, può non esser «nessuno».
Il padre (quasi in sordina, con melliflua umiltà). Soltanto per sapere, signore, se veramente lei com'è adesso, si vede... come vede per esempio, a distanza di tempo, quel che lei era una volta, con tutte le illusioni che allora si faceva; con tutte le cose, dentro e intorno a lei, come allora le parevano—ed erano, erano realmente per lei!—Ebbene, signore: ripensando a quelle illusioni che adesso lei non si fa più, a tutte quelle cose che ora non le «sembrano» più come per lei «erano» un tempo; non si sente mancare, non dico queste tavole di palcoscenico, ma il terreno, il terreno sotto i
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gli autori nascondono di solito il travaglio della loro creazione. Quando i personaggi son vivi, vivi veramente davanti al loro autore, questo non fa altro che seguirli nelle parole, nei gesti ch'essi appunto gli propongono, e bisogna ch'egli li voglia com'essi si vogliono; e guai se non fa così! Quando un personaggio è nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant'altre situazioni in cui l'autore non pensò di metterlo, e acquistare anche, a volte, un significato che l'autore non si sognò mai di dargli! Il capocomico. Ma sì,
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Oh amorino mio, amorino mio, che brutta commedia farai tu! che cosa orribile è stata pensata per te! Il giardino, la vasca... Eh, finta, si sa! Il guajo è questo, carina: che è tutto finto, qua! Ah, ma già forse a te bambina, piace più una vasca finta che una vera; per poterci giocare, eh? Ma no, sarà per gli altri un gioco; non per te, purtroppo, che sei vera, amorino, e che giochi per davvero in una vasca vera, bella, grande, verde, con tanti bambù che vi fanno l'ombra, specchiandovisi, e tante tante anatrelle che vi nuotano sopra, rompendo quest'ombra. Tu la vuoi acchiappare, una di queste
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non ha ancora compreso che questa commedia lei non la può fare! Noi non siamo mica dentro di lei, e i suoi attori stanno a guardarci da fuori. Le par possibile che si viva davanti a uno specchio che, per di più, non contento d'agghiacciarci con l'immagine della nostra stessa espressione, ce la ridà come una smorfia irriconoscibile di noi stessi?

