Key Genius's Blog, page 97

May 12, 2017

#Duomo #milano

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#Duomo #milano

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Published on May 12, 2017 15:13

Estratto #CuorediCarne capitolo 27- Disordine controllato

Con indosso il completo di
Versace, Andrea sente il suo testosterone balzare di colpo. Si osserva e non si
riconosce. La giacca doppio petto è bianca così come i pantaloni, la camicia di
seta è fantasia e la cravatta è nera, come le scarpe.

Il tessuto è irrealmente liscio
e gli accarezza la pelle come solo le mani di Susanna riescono a fare.

I capelli glieli hanno
acconciati e fissati con una sorta di gel che nemmeno un tornado potrebbe
scombinare. E con la maschera nera, Andrea stenta a credere che sia davvero lui
il ragazzo nel riflesso.

La sarta gli porge il cappotto
bianco e lo fissa soddisfatta. «Signore, abbiamo finito» gli dice.

«Grazie» le risponde cortese.

«Approvato» sentenzia Ian
d’improvviso fermo sulla porta. «Ottimo lavoro, come sempre.»

«Grazie, Dorian» dice la sarta.

Mentre Andrea si sistema i
polsini, lui entra nella stanza e lo fissa dal riflesso con l’espressione
divertita. Anche Ian indossa un completo bianco e tiene in mano un altro
Borsalino con la fascia nera.

«Allora, come ti senti?»

Andrea non sa che dire.
«Benissimo è poco.»

Lui ridacchia in modo composto e
Andrea fa lo stesso.

Da quando l’ha rivisto in
Milano, è così diverso. Meno cupo e criptico, Ian sembra aver lasciato l’alone
tormentato in favore di un’aria allegra e gioviale che ne fanno ora una persona
davvero affabile.

«Hai l’effetto Versace ancora in
corso, vero?» gli chiede avvicinandosi con un sorrisetto beffardo. «T’invidio.
Vorrei dimenticare per rivivere la tua emozione.»

Ora che sono vicini e così ben
vestito, Andrea non si sente più a disagio come al bar il giorno prima.

Fluttua tra due mondi: quello
vero, che sa di esistere, e quello dell’estraneo che vede davanti a lui nello
specchio.

È surreale.

«Andiamo?» dice a voce alta
Maicol. Lui è un estremista e indossa solo i pantaloni bianchi con una
pelliccia d’ermellino, anche se ci sono meno di dieci gradi fuori. Statuario
nei suoi oltre due metri, ha una pelle talmente chiara e liscia che pare averla
noleggiata.

Andrea lo vede e ringrazia di
avere la maschera. Con questa, può lasciare “Andrea Casini” e indossare il tipo nel riflesso che mostra anche una
sottile arroganza frenata dal raziocinio.

La maschera suscita nuovamente
in lui un insolito turbamento, cancella il passato e crea aspettative così nuove
e affascinanti che sente di dover solo allungare la mano per farle sue.

Il cuore batte e scandisce il
respiro che si sforza di riportare normale.

«Come devo chiamarti, a
proposito, Mini Angel?» lo beffeggia
Maicol con un sorriso che mostra i canini pronunciati. Nell’ora trascorsa hanno
parlato; più che altro è stato lui a fiondarsi nella stanza per conoscerlo
visto che l’aveva sostituito con Nicolle sul palco.

Dopo il primo impatto glaciale,
Maicol si è rivelato un tipo a posto anche se il narcisismo e l’egocentrismo
sono ai massimi livelli e parla di sé in terza persona; un po’ urticante, ma
sopportabile.

«Mini?» Andrea sorride. Visto
che l’Angelo ufficiale di Nicolle è Maicol e che lui sembra piccolo in
confronto, in effetti il nomignolo ci sta. «Fate voi.» Fa spallucce.

«No. Tu sei Key» dice Ian.

Andrea si blocca. Si scambiano
un’occhiata attraverso lo specchio e per un solo attimo è sfiorato da un
dubbio, ma è talmente flebile che gli scivola via come la luce negli occhi di
Ian, che perde di vista appena si gira.

Perché vuole che usi lo pseudonimo di Susanna? Vorrebbe proprio
saperlo.

Maicol annuisce. «Il grande
Maicol può mostrarsi col piccolo Key?» Si abbassa e mette il viso vicino al suo
con un sorriso da leone e batte forte i denti nel suo orecchio. «Direi di sì.»

Eccentrico fin nel midollo.

«È ora, dobbiamo andare» dice
Ian sulla porta. «Voi due siete in auto con me. Gli altri, come da programma.»

Andrea e Maicol lo seguono, e
così tutto il gruppo che lascia il corridoio per attendere l’ascensore.
L’agenzia diventa sempre più silenziosa, rallentano tutti ma nessuno va via.

Finita la festa, si torna qui
per la svestizione. Tutti questi
professionisti attenderanno il loro ritorno per il recupero dei capi che
indossano e, nel suo caso, per togliergli la maschera che è stata appiccicata
al suo viso con uno speciale collante usato nel cinema.

Ritornerà nella realtà, un po’
come un Cenerentolo 2.0.

Scendono a turni e si radunano
nell’ingresso.

Esce dal palazzo di vetro che
l’ha visto entrare in jeans, felpa e scarpe da ginnastica e lo vede uscire come
se fosse la stessa immagine riflessa a fuggire e non davvero lui. Non è Andrea
Casini che sta camminando con scarpe da seicento euro ai piedi.

E tutto il gruppo di nove donne
e undici uomini, tutti superbamente magnifici nella loro grazia e eleganza, non
sono fatti di carne, ma di rilucente cristallo.

Ian cammina davanti e fa cenno
di salire su delle Mercedes nere che riflettono il bianco dei vestiti. Ogni
auto ha un conducente e i vetri indossano la notte chiudendoli nell’anonimato.

Quando Andrea sale, Ian lo vuole
al suo fianco, così Maicol si siede davanti.

Partono lenti e si avviano in
colonna.

Per un po’ riconosce le vie, ma
d’un tratto perde l’orientamento. Tocca il vetro smarrito e la gamba prende a
ondeggiare frenetica. La sua gamba che ora indossa un vestito che non può
permettersi.

«Non essere così teso» gli dice
Ian.

Andrea sussulta, s’era abituato
al rombo sordo del motore.

«È solo una festa» continua
senza guardarlo. Lui fissa fuori dal finestrino e si sfiora il mento con
l’indice.

«Già, ma non ho mai indossato
settemila euro di vestiti.» Sospira. «Non miei, oltretutto.»

Ian sorride appena. «Non ti
preoccupare. Se ti versi una bibita addosso, non ti chiederò di rimborsarmeli.
Sono assicurato per questo.» Lo guarda solo un attimo per poi tornare sulla
strada. «Controlla il tuo disordine interiore e usa la maschera come barriera
per le tue paure.»

Disordine interiore? Come fa sempre a sapere come mi sento? Possibile?
Sono così trasparente per lui?

«Facile a dirsi.»

«La prima volta che ti ho
conosciuto, ti sei presentato come Key» gli dice lanciandogli un’occhiata
rapida. «Stavi interpretando un ruolo. Fallo ancora, se ti fa stare più calmo.
È per quello che ho pensato di chiamarti così, stasera.» Suggerisce muovendo le
spalle.

«Ci provo…» Vorrebbe chiedergli
come farà poi con Susanna, visto che è lo stesso nome, ma Maicol lo sentirebbe.
Così annuisce e basta.

«Ricorda anche di non rispondere
alle domande che ti faranno. Il mistero è la chiave del successo» gli fa un leggero sorriso accentuando la
parola per il doppio senso.

«Va bene.»

«Devi pensare che la gente che
conoscerai stasera vuole vivere una fantasia» dice fissandolo serio. «Andrea lo
possono conoscere perché è un ragazzo comune.» Si ferma per affondare nel
sedile e appoggiare le spalle. «Key, invece, no. Mi spiego?» domanda con un
veloce sguardo. «È solo un gioco e per stasera. Gioca a interpretare Key. Se ti
diverti, risulterai anche più spontaneo. Hai capito?»

«Sì.»

Ian inclina la testa
all’indietro e chiude gli occhi. «Non manca molto, rilassati.»

«Anche tu interpreti un ruolo?»

Ian sorride restando nella
stessa posizione. «Tutti interpretano un ruolo, Andrea. Io però preferisco
restare me stesso, solo che pongo delle barriere.» Sospira. «Per tutti sono il
Conte. Per i miei collaboratori, sono Dorian. Per alcuni sono Ian e per pochi…»
Si ferma e lo fissa intensamente. «Tu non sei tra quei pochi, quindi,
accontentati di Ian.» E sfodera quell’ambiguo volto che sperava di non vedere
più. Gli occhi vanno nell’ombra dei capelli e lo scrutano dall’abisso.

«Mi considero già molto
fortunato.»

«Fidati se ti dico che è così.» Ian
distoglie lo sguardo.

Che fosse una persona complessa,
lo aveva capito. Che fosse un po’ lunatico, anche, ma che Ian fosse
stratificato, non lo avrebbe mai detto. Un dubbio gli viene però quando ripensa
a Nicolle, anche lei lo chiama Ian. Quindi, forse solo i parenti conoscono
l’ultimo strato. O forse è il suo lato più oscuro che mostra ai pochi.

L’auto rallenta interrompendo le
sue riflessioni.

«Eccoci» dice Ian mettendosi
seduto dritto, indossa il cappello e fa un profondo respiro. «Che lo show abbia inizio.» Apre la portiera e i
lampi delle macchine fotografiche lo abbagliano.

Voci adoranti lo chiamano e una
folla lo circonda.

«Vieni, piccolo Key.» Maicol si
gira e sorride. «Dai che le ragazzine allupate non vedono l’ora di sbranarti.»
E imita il ruggito di un leone. Poi, esce e altri lampi irrompono nell’auto.

Andrea afferra la maniglia della
portiera cercando di controllare il suo disordine interiore. La pelle sfrigola
come se fosse sulla piastra. Il cuore gli sta spaccando la cassa toracica. E la
mano trema troppo e non riesce ad abbassare quella semplice levetta.

C’è solo una porta che lo separa
da un nuovo mondo in cui sta per accedere e si domanda perché lo stia facendo.

Per i soldi?

Perché Susanna è entusiasta?

Per glorificare se stesso e il
suo orgoglio?

Per curiosità?

Teme di cambiare e forse Ian ha
ragione. L’unica è restare se stessi, ma porre delle barriere. Lui quel
pomeriggio a Clusone era sempre Andrea, ma aveva posto Key davanti come uno
strato che proteggeva la sua vera Essenza. Il suo vero Io.

Andrea ripensa all’immagine del
riflesso. Si concentra, la pone tutt’intorno a lui e sente di controllare il
disordine. Il respiro si disciplina.

Ora è calmo e abbassa la
maniglia.

Poggia un piede in terra, poi
esce rilassato come se fosse tra amici.

È bombardato dai flash e dalle
domande che arrivano mitragliandolo come schegge impazzite, ma appena Ian e
Maicol si mettono al suo fianco lui sorride.

«Buonasera a tutti. Io sono Key»
dice con voce sicura.



E il momento si ferma in
un bagliore di salomonica certezza: ora sa chi era sul palco con Nicolle.



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Published on May 12, 2017 13:40

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Published on May 12, 2017 12:20

May 11, 2017

Estratto da #Ian#DontBoxMeIn capitolo 5- La finestra; ti sento, oggi come ieri

Rallento un poco vedendo in lontananza la piazza
dove si affaccia il Flatiron Building, che di solito dista dal mio ufficio una
mezz’ora a piedi. Oggi, visto l’accaduto, sono arrivato in venti minuti.

Costeggio il palazzo a forma triangolare unico al
mondo e mi avvio verso il Madison Square Park, verso le panchine di legno che
costeggiano il perimetro.

Mi siedo e osservo il palazzo marrone chiaro di
fronte, al 200 sulla 5ᵃ
strada.

La casa editrice che ho aperto con lei ha la sede
lì. È una bella piazza e la veduta dalla sua finestra è rilassante. C’è anche
la metropolitana vicino.

Lei è in ufficio, al quinto piano; vedo la luce e
la sua sagoma.

La mia dama
bruna
lavora tanto, non c’è che dire.

L’ultima volta che l’ho vista di persona era
agosto in Hong Kong. C’era anche Andrea e ho dovuto fingere che fosse tutto
normale, che lei fosse solo una donna con cui ho una relazione burrascosa.

Il fiato mi si blocca d’improvviso e tento di
riprenderne il controllo deglutendo via l’amarezza e tutta la frustrazione nel
saperla tra le braccia di un altro.

Stringo le mani fra loro e un brivido lungo la
schiena mi crea la pelle d’oca.

La mia donna profanata da un altro. Miserabile e
indegno di lei com’è, vorrei solo tagliargli la gola.

Dannato me che ho accettato il nostro destino
infame, che ho promesso.

“Noi due siamo senza futuro” me lo ripeto e
osservo ancora la finestra. Lei si affaccia e pone la mano sul vetro restando
di poco indietro, ma è lo stesso.

Io la sento dentro la testa, la vedo con gli occhi
chiusi come fossero aperti.

Lei è l’acido che mi brucia l’anima ormai immonda,
ma pur sempre la mia.

Lei è il mio tormento e che Dio mi perdoni perché
io amo il mio tormento.

L’amo più di me stesso. Mi è necessaria più della
pelle che indosso e delle ossa che mi sorreggono.

Sarebbe un amore possibile con un altro nome,
Shakespeare lo insegna. Il nome conta molto, purtroppo. E l’amore è dannato per
quelli come noi, per quelli col nome sbagliato.

Cara…

Ti sento piangere ancora nel vento che soffia
carico di rimorsi per tutti i nostri sbagli.

Amore mio, tu mi scorri nelle vene nutrendomi la
vita di pazzia liquida che mi confonde ogni volta, fin dalla prima volta.

E questa follia che per altri è benedetta con un
matrimonio, ha condotto noi a un punto morto; un inferno rovesciato dove il
cuore è zittito per non essere lapidato d’infamia.  

Anima mia…

Vorrei venir da te, ora, ma mi sono ripromesso di
non farlo.

Devo farmi forza.

Divento rigido e la mascella di gesso.

Lei deve essere felice anche se non con me. È
giusto, le è dovuto. Deve poter avere una sua vita, distinta dalla mia ormai
proiettata in Los Angeles.

Deve potersi costruire un futuro con un altro
uomo, ma non posso mentire a me stesso e dire che ne sono felice.

Frugo in tasca e cerco le sigarette, ne accendo
una prima di dare libero sfogo a altri pensieri.

«Non può fumare qui!» dice qualcuno.

Non mi volto, mi alzo e mi sposto piano, ma la
voce mi segue.

«Le sigarette uccidono!» grida.

«Morire, dormire. Dormire, forse sognare» replico
citando il caro Shakespeare e mi allontano ancora verso l’orizzonte della 5ᵃ strada che porta a casa
mia, a Central Park.

Il palazzo diventa piccolo, ma non la sua finestra
che oggi come ieri ci unisce oltre la carne.

Noi due soli al mondo. Il mondo che ci vuole
separati, non può rompere il nostro legame.

Noi siamo uno.

L’ho capito osservandoti da una finestra sul
soffitto come un ragnetto curioso tanto tempo fa…

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Published on May 11, 2017 13:40

#newyork #5thavenue #ian #dontboxmein #book 









#newyork #5thavenue #ian #dontboxmein #book 

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Published on May 11, 2017 12:20

Full #Moon



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Published on May 11, 2017 11:13

Full #Moon



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Published on May 11, 2017 11:13

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Published on May 11, 2017 11:13

imabaggins:Humans fancy that there’s something special about the...

















imabaggins:

Humans fancy that there’s something special about the way we perceive the world, and yet we live in loops as tight and as closed as the hosts do, seldom questioning our choices, content, for the most part, to be told what to do next.

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Published on May 11, 2017 05:30

perswrites:Ben Barnes as Logan in Westworld S01E04





















perswrites:

Ben Barnes as Logan in Westworld S01E04

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Published on May 11, 2017 05:29