Key Genius's Blog, page 87
June 3, 2017
Che bello il nuovo #Marchesi il galleria

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June 1, 2017
Cuore d’acciaio -21- Casini in Kabuki-chō
La
via è un vero bordello, pensa
ridacchiando.
Però,
è vero che è tranquilla. È trafficata da gente di tutte le età e sesso, che si
riversa all’inverosimile nella strada oltre che sui marciapiedi. Di giorno, è
tutto chiuso e spento. Di notte, non passano più le auto e tutto è acceso come
le aspettative dei passanti, soprattutto stranieri.
Dicono
che Kabuki-chō sia gestita dalla famosa mafia Yakuza menzionata spesso nei
film. Non sarebbe una novità.
Tutto
il mondo è paese.
È
quasi soffocante l’aria che si respira, intrisa di alcol e metallo. Forse sono
i Pachinko che la creano, le sale da gioco delle biglie metalliche da cui esce
il tintinnio fastidioso.
È
anche esasperante per come ragazze, ragazzi e uomini di colore tentano di trascinarlo in qualche locale con la
promessa di divertirsi; peccato che si giochi sull’equivoco, dato che l’unico
intento è di spillare soldi e nulla più.
Tutto
il mondo è paese.
Vede
due uomini palesemente ubriachi con la cravatta in testa che si sostengono
reciprocamente mentre escono da un locale con la scia di sake che l’insegue,
l’odore misto alcol e riso è inconfondibile. Si vede che anche qui c’è l’usanza
di un goccio prima di rientrare a casa.
Tutto
il mondo è paese.
Andrea
arriva quasi in fondo alla via con una punta di delusione, s’aspettava qualcosa
di più.
Alla
fine, si vede il fumo, si sente l’odore, ma non l’arrosto.
Si
ferma e osserva meglio. Quando vede un gruppo di ragazzi nei pressi di una
parete, di cui uno appoggiato mentre gli altri tre vanno e vengono, capisce che
se uno vuole c’è anche l’arrosto.
C’è
un rapido scambio di sguardi col tipo alla parete. Se Andrea si soffermasse su
di lui, arriverebbe qualcuno e farebbero una breve passeggiata come da
tradizione, ma è sufficiente girare gli occhi per fargli comprendere di non
essere interessato.
E
vede anche un paio di ragazze che fingono di telefonare, di cui una è
accucciata in terra con la minigonna plissettata per meglio mostrare il
triangolo bianco tra le cosce. La merce, insomma.
Lei
lo vede e anche qui, Andrea scansa la richiesta volgendo la testa.
Ci
sono cenni, ammiccamenti, piccoli gesti che sono internazionali.
Tutto
il mondo è paese.
Il
marcio è marcio ovunque. Si presenta nello stesso modo con egual tanfo.
Una
volta tolto il filtro dell’ignoranza, non c’è alcuna tendina a separare i
reparti. Non è come al supermercato, che decidi di entrare nella zona limitata.
Gli
occhi di Andrea conoscono il marcio e non c’è alcun filtro inverso per non
vederlo più.
Non
si torna indietro, almeno non come vorrebbe; l’ignoranza, in questo caso
sarebbe buona cosa, ma acquisite certe conoscenze, queste restano dentro come
un marchio a fuoco.
Così
torna indietro solo con i piedi, questo può farlo, sentendo l’amaro in bocca.
Qui
funziona esattamente come in Italia, c’è il velo dell’ipocrisia che serve solo
per mantenere la facciata. I locali saranno anche tranquilli, ma se uno vuole,
basta chiedere che ha tutto e subito senza entrarci. E con i Love Hotel a pochi
passi, è anche comodo. Proprio come a Milano.
Torna
all’insegna luminosa rossa rimpiangendo la perdita del filtro.
Vorrebbe
la tendina divisoria.
Vorrebbe
avere il dubbio di come sarebbe farsi un tiro di coca e continuare a
domandarselo come un qualcosa di cui aver timore.
Vorrebbe
fantasticare su come sarebbe entrare in certi locali per conoscere il piacere
della carne con una sconosciuta.
Vorrebbe
non avere fatto tante cose, che invece ha fatto e lo fanno sentire usato e
vissuto a soli ventidue anni.
Il
mondo a quel punto non sarebbe piccolo come un paese, ma sarebbe misterioso e
col sapore piccante del proibito.
Andrea
non sente più il piccante, deve avere fatto indigestione di yogurt e per questo
forse ormai è nauseato dai latticini.
Arriva
all’insegna rossa e fa un sospiro profondo. Forse quando si superano certi
confini, ci si emoziona di più bevendo qualcosa con un amico. E se l’amico è
Ian, l’emozioni non mancano.
Le
uniche e vere che ha sentito ultimamente sono state grazie a lui.
Riprende
a camminare verso il Golden Gai in cerca di Tōgō sperando di trovarlo.
È
buffo pensare di essere stato nel quartiere a luci rosse e averlo passato senza
un briciolo di tentazione. Anzi, da che è in Tokyo, l’unica cosa a cui pensa
con una punta di proibito sono le sigarette; deve essere perché è proibito
fumare ovunque.
La
cosa sa di contorto, eppure, donne e droga potrebbe averle con uno schiocco di
dita e per questo perdono di attrattiva. Mentre trova eccitante fumarsi una
sigaretta per strada.
Gli
manca fumare per strada rilasciando la nuvola di fumo alle spalle come fosse
una locomotiva d’altri tempi.
Fottutissimi
salutisti che fanno delle sigarette una crociata santa per poi avere le
studentesse minorenni che indossano minigonne inguinali, arrapando pure chi
dovrebbe aver raggiunto la pace dei sensi, come il vecchio dell’altro giorno
che a stento camminava col bastone, ma non mancava di fissare lascivo la
ragazzina che saliva le scale mobili.
Non
c’è da meravigliarsi che abbiano fatto i Tenga tascabili.
È
più complicato vivere di giorno, che di notte qui in Tokyo.
Be’, okay, anche a Milano.
D’un
tratto vede la strada alberata e volta dentro, seguendo il sentiero fino alle
vie strette colme d’insegne luminose. Che posto carino!
Questo
è davvero tranquillo. C’è una sfilata di porte aperte con l’insegna luminosa
che mostra delle stanze con dentro un bancone da bar e una decina di posti a
sedere. Tutto qui.
Ogni
locale ha dei colori diversi e una musica propria.
Favolosi!
Uno
con i lampi blu fluorescenti coglie la sua attenzione, dovrebbe essere quello
che piace a Tōgō. Fa una corsetta e si affaccia.
«Andoro-san!»
esclama subito Tōgō con la caraffa in mano. Poi, grida qualcosa in Giapponese e
tutti lo fissano, compreso il barista. Per fortuna sono solo tre i clienti.
Andrea
fa l’inchino e entra, anzi è più il caso di dire che indossa il locale.
«Konbanwa» dice salutando il suo ingresso con un “buonasera”.
«My
friend Andoro» dice ancora Tōgō dandogli una pacca sulla spalla.
«Ciao
Tōgō» gli dice sedendosi accanto. Deve tenere le gambe divaricate perché non ci
sta e non può spostarsi troppo indietro, visto che c’è il muro acceso da una
miriade di lucette bianche.
Parlano
un mix ormai collaudato; Italiano, Inglese, Giapponese.
Un
vero casino per tutti, ma non per loro due che ridono fin dal primo minuto.
Tōgō
è già un po’ brillo, ha le guance arrossate e gli occhi quasi chiusi. In più,
ha la bocca fissa su un sorriso giulivo che lascia pochi dubbi. E ha la cravatta
che gli cinge la testa.
Dove
l’abbia presa, non si sa. Ma arriva la risposta quando Tōgō parla col barista
che svanisce sotto il tavolo e quando riemerge gliene porge una blu con le
righe gialle.
Andrea
sgrana gli occhi e ride. Non domanda, se la mette e basta, ma chiede una birra.
Arriva una bottiglia argentata con la scritta Asahi.
«Hai,
good» dice Tōgō. Poi, lo fissa mentre sorseggia e attende che gli dica se gli
piace.
È
buona e alza il pollice.
«So,
so» replica Tōgō facendo un altro sorso. «Biiru
Japan is good!»
«Come stai, Tōgō?»
«Baaaddo…»
replica arricciando il naso dicendo che sta “male”. «Cattò! Cattò! Cattò!» dice
battendo la mano sul banco laccato di bianco, che riverbera la luce blu
tingendosi di un celeste accecante. «Eeeeh» getta gli occhi in basso.
«Directoro Baka!» sbotta gettando la testa all’indietro e il barista gli fa
cenno di calmarsi.
Tōgō
è davvero furioso col regista e prosegue a insultarlo. Tra un sorso e l’altro
gli spiega che sono in ritardo perché è un perfezionista, ma senza motivo.
L’album
è stato un successo e il video di “Run!” è atteso, lo capisce. Ma Feng vuole un
altro album e lui è stressato perché non trova ispirazione. In più, gli ha
bocciato le due canzoni che ha scritto dicendo che non erano all’altezza di
“Run!”.
Tōgō
e la sua famiglia vengono dalla campagna. Oltre ai genitori, ha anche tre
fratelli, a carico. Mantiene tutti lui, ora, ma litiga con suo padre perché non
è positivo per un giapponese farsi dare i soldi dal figlio.
«Capisco»
sospira Andrea mentre Tōgō ordina un’altra birra.
Il
barista anche se titubante gliene da un’altra. Tōgō viene spesso qui e lo conosce,
ha anche le sue foto in mezzo ai liquori.
Povero
Tōgō, non deve essere facile creare così dal nulla delle canzoni. Se poi devono
anche superare il peso del successo delle precedenti, forse è un’impresa.
Ora
Andrea legge nel suo amico tutta la frustrazione che mascherava da sobrio.
Tōgō
china la testa in avanti e sembra addormentarsi, poi d’un tratto scatta
indietro e esclama: «Chotto! Chotto!» S’alza in piedi e spalanca la bocca.
Inizia a canticchiare e il barista scuote il capo.
«Ohi,
ohi…» e dice altro che Andrea non capisce. Sbuffa mentre passa un panno su dei
bicchieri.
Andrea
sorride e quasi si commuove per la famigliarità che prova in questo minuscolo
posto che sembra la sua cameretta e quando il barista va a chiudere la porta e
Tōgō attacca a cantare, capisce che è qui che viene per l’ispirazione.
Un
bar-salotto-cameretta in una città grande che offre tutto, anche l’abbraccio
della famiglia lontana.
Passano
più di due ore e Tōgō ha le basi di una canzone, forse.
Comunque,
Andrea ha mangiato dell’udon favoloso; simili agli spaghetti in brodo, ma fatti
con farina di grano, nella sua ciotola c’era anche un pesciolino non ben
identificato.
Non
è impazzito dalla gioia quando ha dovuto inghiottirlo, cosa che ha fatto senza
masticarlo, ma non voleva offendere il barista che gli ha preparato il piatto
per fargli un favore.
Pesce
a parte, era ottimo.
Tōgō
ha pagato per tutti e sono usciti in strada. Non è tardissimo, sono le undici e
trenta e Andrea è intenzionato a metterlo su un taxi perché non è nelle
condizioni di prendere la metropolitana.
Appena
sono fuori, Tōgō gli da un pacchetto trasparente e gli dice che è un regalo. A
vederlo, sembra una confezione di mutande, solo che c’è la foto di una ragazza
in divisa da studentessa.
Strano
regalo…
«Specialo
Panto» borbotta Tōgō ciondolando fino a toccare la parete. «Only for Andoro. My good friend Andoro.» Accenna un sorriso. «Eeeh.»
Andrea
le osserva meglio e sobbalza. Ne ha sentito parlare, in effetti. Sono slip
usati delle ragazze; queste studentesse li indossano per diverso tempo, anche
due settimane, fino a lasciare tutti i loro umori nel tessuto che poi viene
sigillato per salvaguardare la fragranza.
Che
schifo… È disgustato, ma non può certo gettarle in terra davanti a Tōgō. Non sa
nemmeno se siano legali o meno.
Fa
un sospiro e se le mette dietro infilandole nell’elastico dei boxer e coprendole
con la maglia. Appena troverà un cestino, le getterà via.
Prende
il braccio di Tōgō, che porta intorno al collo per tenerlo in piedi, e lo cinge
in vita.
Un
po’ barcolla, ma cammina.
Dove
saranno i taxi?
Potrebbe
però chiamarne uno lui, Ian gli ha installato un’Applicazione nello smartphone
apposta.
Mitico
Ian!
Si
guarda in giro, ma non è un buon punto per attendere, c’è pochissima gente in
giro e loro danno molto nell’occhio così conciati. L’unica è tornare a
Kabuki-chō, all’arco rosso luminoso. Là c’è una strada ampia e c’è gente
brilla.
Così,
camminano fino al punto stabilito senza trovare un fottutissimo cestino per
gettare le Panto usate. Andrea chiama il taxi che gli dice che entro quindici
minuti arriva.
Bene!
È fatta!
In
molti li guardano, ma di sfuggita. In effetti, lui è biondo mentre Tōgō ha i
capelli argento e entrambi hanno una buffa cravatta legata in testa, è come
scrivere in fronte “siamo ubriachi”. Ma a Kabuki-chō è regolare.
Tira
un poco su Tōgō che s’è appisolato, ma borbotta qualcosa in Giapponese a occhi
chiusi.
Dopo
un po’, l’attesa comincia a farsi lunga.
Mi fumo una sigaretta, dai.
Se
la mette in bocca e l’accende facendo un tiro profondo mentre Tōgō grida ancora
e tutti li fissano di colpo.
«Be
quiet!» Andrea gli dice di stare calmo, ma Tōgō si agita e dice ancora “Baka!”
che è un pesante insulto per loro. Di sicuro è rivolto al regista, forse lo sta
sognando.
D’improvviso
sente un fischietto in lontananza e la gente lungo il marciapiede si apre come
le acque del Mar Morto durante il soffio divino. Che cavolo è?
Sembra
il fanalino di una bicicletta. Strano che possa circolare sul marciapiede,
rigidi come sono.
Andrea
aguzza la vista, gli sembra di vedere uno col cappello rotondo che pedala con
foga. O è un elmetto?
Tenta
di vedere meglio, ma è distratto da altri movimenti che lo circondano. Sembrano
fuggire per qualcosa, come quando in centro a Milano i venditori abusivi
arrotolano in fretta e furia la loro merce nello zaino per l’arrivo della
polizia.
Oh!
Andrea
fissa in terra e non vede il quadrato rosso dell’aria fumatori.
Oh,
no!
Era
sovrappensiero quando ha acceso una sigaretta. Spalanca la bocca e sente il
filtro appiccicato al labbro. Ha delle Panto usate, forse illegali, e puzza di
birra da far schifo.
Merda!
Non
pensa. Agisce d’istinto.
Si
carica Tōgō in spalla e fugge dentro Kabuki-chō.



